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Angelo Lallo - Lorenzo Torresini, Psichiatria e nazismo, Nuova Dimensione, Edicilo Editore, Portogruaro 2001.

di Maddalena Mapelli

 

I fatti: l'11 ottobre del 1944 sei ebrei internati nell'ospedale psichiatrico di San Servolo di Venezia vengono prelevati su ordine delle SS. Il loro destino non sarà la libertà ma di nuovo l'internamento questa volta nei campi di concentramento.

Il libro ridà un volto a sei persone riconsegnandole alla memoria di chi non vuol dimenticare e ridisegna sei storie sottraendole al buio degli archivi dove ne restava traccia solo all'interno di impietosi resoconti burocratici (bastava una ricevuta al direttore dell'Ospedale, per l'avvenuta consegna della "merce", per sbrigare le pratiche di uscita dei degenti dal manicomio).

Ma non è solo l'appello a "non dimenticare" il motivo di fondo del breve saggio che resterebbe, per quanto accurato nella ricerca archivistica e di testimonianza, relegato tra le tante pagine già scritte (e film già visti) per ricordare alle nuove generazioni le atrocità dei regimi dittatoriali e per indurre a non cadere negli stessi errori.

La particolarità di Psichiatria e nazismo sta nei pesanti interrogativi di fondo che emergono man mano che la ricostruzione dei fatti e delle storie al singolare si delineano: che legame c'è tra la psichiatria come scienza e l'ideologia della razza elaborata dal regime nazista?

E ancora: il paradigma di una scienza come la psichiatria che rinchiude il malato in manicomio, che erge vere e proprie mura tra il normale e il diverso, che usa le scariche elettriche come terapia, non è forse lo stesso paradigma che sta alla base del concetto di razza elaborato dal nazismo che considera "indegna di essere vissuta" la vita dei diversi? Che responsabilità ha una scienza che afferma la diversità e che arriva a credere all'esistenza di una razza, quando poi viene effettivamente applicata alla realtà e diventa, come è diventata, "soluzione finale" cioè eliminazione sistematica e fisica del diverso?

E ancora: non è evidente il legame tra l'ideologia nazista e la propaganda che anche nei recenti fatti dell'ex Jugoslavia ha portato ad elaborare e mettere in pratica il concetto di pulizia etnica?

Interrogativi che gli autori pongono e lasciano aperti anche se il titolo del saggio parla chiaro e toglie ogni punto di domanda limitandosi ad affermare, appunto, il legame tra psichiatria e nazismo.

Le pagine di questo breve saggio si leggono tutte d'un fiato, perché in fin dei conti raccontano delle storie e sembra di rileggere Primo Levi o Solgenitzin o di rivedere Schindler's List di Spielberg o La vita è bella di Benigni.

Ma ti viene voglia anche di andare a ripescare col videoregistratore i documenti della propaganda nazista - riproposti nei lavori di Caracciolo e De Felice - dove gli ebrei vengono, attraverso giochi di luci e inquadrature particolari, fatti passare per malati di mente o identificati con i topi che rovistano tra la spazzatura. L'ideologia di un regime diventa uno spot per convincere, per persuadere, per creare consenso.

La storiografia più recente e aggiornata cerca appunto di togliere il velo alle ideologie, di smascherarne i fondamenti dopo che le ideologie stesse sono state riconosciute come tali perché, nella realtà della storia del Novecento, se ne sono visti gli effetti devastanti.

In questa direzione la ricerca si fa interdisciplinare, proprio perché i fondamenti di una scienza (in questo caso la psichiatria) vanno vagliati da più punti di vista, senza presupporre che esista ancora un muro invalicabile al di là del quale possa essere elaborato un sapere assoluto e scientificamente fondato.

Ed è sicuramente una scelta di metodo quella che ha messo assieme un ricercatore storico, Angelo Lallo, ed uno psichiatra, Lorenzo Torresini, gli autori del libro, assieme a Liliana Picciotto Fargion , ricercatrice storica sulla Shoah della Fondazione Cdec di Milano.

Non è un caso che la prefazione a quello che a tutta prima sembra solo un breve saggio di ricerca storica sia scritta da Mario Galzigna - docente di Storia del pensiero scientifico e di Epistemologia clinica alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Cà Foscari (Venezia) - che si chiede: "Quanto del tradizionale manicomio (delle sue tecniche e dei suoi saperi oggettivanti) continua a vivere nella psichiatria clinica dei nostri giorni? Cosa sopravvive oggi nel nostro paese di quel manicomio che è stato e che è tuttora, in varie parti del mondo, complice, quanto meno oggettivo, delle procedure di esclusione e di annientamento della diversità?".

La storia delle sei persone prelevate dal manicomio di San Servolo diventa il racconto di sei destini le cui fila sono tessute da un protagonista che non appare e al quale loro stessi non sanno, nonostante ne abbiano la possibilità perché avvertiti di quanto poteva accadere loro dai medici dell'ospedale, di doversi sottrarre. Ma i sei ebrei non capiscono chi sia il vero nemico, se l'ospedale o ciò che li aspetta fuori dall'ospedale. Non c'è nelle loro vicende un nemico in carne ed ossa. Quel nemico reale, con un volto preciso, che, se si trattasse di un romanzo o di una novella, rende appassionante ogni intreccio in cui a muoversi siano personaggi con un nome e un cognome. E' un nemico invisibile; è un'ideologia più forte, evidentemente, degli uomini stessi, ridotti al ruolo di comparse: un'ideologia che ha vinto e che ha schiacciato nel passato migliaia di persone, così come continua a vincere oggi, ogni giorno, nel presente, ogni qualvolta persone mosse da un'ideologia si dimenticano di sé e della loro storia fino al punto da arrivare ad ammazzare altre persone.

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