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Giuseppe Lago, Orientamenti diagnostici in psichiatria e psicoterapia clinica, Edizioni Scientifiche Magi, 2002, pp. 436.

 

Come non accadeva da molto tempo, abbiamo sfogliato le pagine di un manuale dove la clinica psichiatrica viene riproposta nei suoi aspetti molteplici e complessi, pur rimanendo lineare e agile, come deve viverla e padroneggiarla colui che si confronta giornalmente con il disturbo mentale, ed è chiamato ad esprimersi, orientandosi e indicando le scelte terapeutiche più adeguate.

"Orientamenti Diagnostici", appunto il titolo, ma la visione è ampia e abbraccia in un insieme l’approccio fenomenologico e la comprensione profonda psicodinamica. Non è pertanto un testo di psicopatologia, basato esclusivamente sull’analisi dei fatti coscienti, ma neanche un testo di psicoanalisi applicata alla psichiatria, com’era tradizione un tempo da Arieti in poi.

In questo volume di oltre 400 pagine, c’è il riflesso dell’epoca attuale, che vuole lasciarsi alle spalle il Novecento e le ideologie che lo hanno lacerato, per proporre il superamento, almeno in psichiatria, dei riduzionismi, ovvero delle ipotesi che, nel presentare un aspetto della realtà, pretendono di globalizzarne la lettura, proponendosi come "vangeli" cui aderire ciecamente o comunque in modo pedissequo, per poi contrapporsi ad altri "vangeli", in una sorta di guerra di trincea che logora ciascuno e alimenta tutti, ma non giova neanche un po’ ai pazienti da trattare.

Il libro di Giuseppe Lago non nasconde la propensione per il metodo psicoterapeutico e per l’indirizzo psicodinamico; nello stesso tempo mette al centro dell’attenzione la realtà clinica che parte dall’esperienza e dall’osservazione, dimostrando di accettare tutti quei suggerimenti teorici che servono alla clinica medesima, senza alcuna idolatria culturale e dipendenza intellettuale di scuola o di partito.

"La théorie c’est bon, mais ça n’empêche pas d’exsister ", diceva Charcot a Freud, confermando il fatto che nella prassi la teoria della clinica è assai più importante della teoria in assoluto, più consona quest’ultima ai dibattiti filosofici.

Negli undici capitoli della Prima Parte del libro, infatti, vediamo fluire davanti a noi un contrappunto continuo tra metodo, teoria, fenomenologia, senza che mai si possa sentire la sospensione di un discorso astratto o l’abbandono a una diatriba fine a se stessa. L’economia del discorso affronta la complessità di aspetti che vanno continuamente integrati, fornendo il confronto con altri aspetti e la distinzione con altri ancora, senza mai lasciare la strada maestra del senso e del rispetto per l’eventuale lettore, in altri libri attirato in una foresta di concetti avulsi dal contesto o in un mare di citazioni dotte ma dispersive.

La Prima Parte si conclude rapida, senza avere la pretesa di esaurire un argomento immenso, avendo fissato, però, i fondamenti del discorso psichiatrico ed escludendo la nostalgia e i rimpianti per una psichiatria "perduta", ad esempio, come quella anteriore all’applicazione della legge Basaglia in Italia.

In questa Prima Parte del libro, abbiamo trovato, invece, la consapevolezza di venti e più anni di esperienza da elaborare e di uno statuto della psichiatria da rinnovare senza un ritorno al manicomio, come pure di una nuova identità dello psichiatra da definire non solamente attraverso il contributo delle neuroscienze.

La Seconda Parte, i casi clinici, consiste nel racconto e nella discussione di numerosi film d’autore, col preciso intento diagnostico e la possibilità di oggettivare l’osservazione, parlando di personaggi che tutti possono visualizzare. La scelta dei film, oltre ad essere di estrema attualità, contribuisce ad aprire un nuovo spazio nella didattica psichiatrica, di cui l’autore è un praticante esperto da diversi anni, quale docente della Scuola Medica Ospedaliera di Roma e del Lazio (SMORRL) e quale presidente di una società ONLUS di Formazione in Psichiatria (ASFORPS).

La Terza Parte del libro, infine, è in grado di accontentare i palati più fini in campo psicopatologico, sia per la sottigliezza delle argomentazioni, sia per l’accuratezza delle citazioni. Argomenti come la schizofrenia, l’autismo, il manierismo, il borderline, la bouffée delirante, vengono affrontati con la massima cura, facendo a meno solo di un eccesso di verbosità.

Anche dalla lettura di questa parte finale, si esce con una leggerezza ed un compiacimento legato all’aver colto e discriminato le linee di un discorso infinito, di cui si sente di aver individuato la trama e distribuito i percorsi e dal quale si ricevono stimoli, non solo per la comprensione ma anche per la ricerca.

Chiudendo il libro di Giuseppe Lago, proviamo un motivo in più di soddisfazione per la nostra professione e abbiamo la consapevolezza di averne un po’ ribadito l’importanza e averne ritrovato il fascino.

Di questo siamo riconoscenti all’autore, l’opera del quale proponiamo a tutti i colleghi e alle persone interessate.

 

Andrea Balbi e Piero Petrini

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