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Claudio Imprudente

UNA VITA IMPRUDENTE — Percorsi di un diversabile in un contesto di fiducia.Ed. Erickson

di Marzia Dellepiane

Imprudente. Di nome e di fatto.

Questo libro racconta il percorso di vita, arricchito, peraltro, di aneddoti divertenti e contributi di personaggi noti (giornalisti, rappresentanti della Chiesa, addirittura il nostro Presidente della Repubblica!), di Claudio Imprudente, non un comune disabile, ma un "diversabile", come egli stesso si definisce.

Diversabile, diversamente abile. E l’abilità è quella di aver saputo creare, con la sua disabilità, qualcosa di difficilmente immaginabile senza una buona dose di fantasia (perchè no, anche un pò di maniacalità!): il CDH (Centro Documentazione Handicap) di cui è Presidente; la rivista HP (Accaparlante), di cui è Direttore; numerose altre iniziative, con cui si è, "abilmente", reso "visibile", non nella sua diversità, ma nella sua diversabilità.

Le considerazioni riguardanti la disabilità sono sempre molto pericolose, perché rischiano, pur con le migliori intenzioni, di scivolare nella banalità.

Peggio ancora, nell’ambivalenza di un amore per pietà.

Ecco, in effetti pare che i racconti di Claudio Imprudente, da una parte, rifiutino tale cliché, proponendo un diverso modello di relazione, che valorizzi il rispetto, la capacità di superare la difficoltà di un disagio comunque evidente, creando soluzioni alternative che pongano in risalto le qualità, e la ricerca di queste, piuttosto che le incapacità.

D’altra parte, pare che il libro ne resti al tempo stesso vittima, a cominciare proprio dal termine diversabile, che richiama comunque alla diversità, peraltro mascherata, nel senso che, credo, letteralmente, diversabile dovrebbe significare capace a fare qualcosa che altri non sono in grado di fare, mentre nel caso in questione potrebbe più facilmente riferirsi alla capacità di fare qualcosa come gli altri, senza negare una difficoltà di fondo. Inoltre, la visibilità, il "potere mediatico" conquistato, fanno pensare a quella "saga" dei buoni sentimenti, del volersi tutti bene, e del voler ancor più bene, dell’ammirare ancor più chi soffre e chi è sfortunato, che pare essere tanto di moda ultimamente, piuttosto che ad una reale integrazione.

Una integrazione che, con grande tenacia, viene sempre ricercata, una vita che trova un suo equilibrio, oscillando tra due opposti aspetti: la negazione, come negazione di malattia vera ("Se mi invitano a qualche "Festa del malato" non ci vado perché non sono malato", etc etc), negazione di un disagio ben evidente, difesa dalla sofferenza e dalla frustrazione, che crea il terreno per fantasie, oserei dire, talvolta grandiose di una realtà anche più normale di quelli dei cosiddetti "normodotati" gravi, come vengono da Claudio definiti. All’opposto, l’altro aspetto è quello depressivo, inevitabile, che, però, viene, in questo libro, totalmente bypassato (lasciando pensare ad un prevalere del primo meccanismo), per dare spazio ad una grande ironia che pervade tutti i racconti di Claudio, e, probabilmente, anche la sua quotidianità.

Di facile e scorrevole lettura, questo libro può essere adatto a tutti, ma in particolare a chi è in grado di confrontarsi con una diversità comunque angosciante, sia essa corporea, reale o vissuta, e con il profondo senso di inadeguatezza che ne deriva, guardando oltre la superficie dell’ironia e l’illusione della felicità.

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