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Il bello del cinema all'aperto di Margherita Fratantonio

Avete letto quel libretto delizioso, uscito ormai dieci anni fa, dal titolo La prima sorsata di birra di Philippe Delerm? Il sottotitolo aggiunge E altri piccoli piaceri della vita; sono quelli che ce la riempiono la vita, se solo riusciamo ad assaporarli.

Due paginette per ognuno di queste gioie quotidiane: l’odore delle mele in cantina (che è la fragranza di una vita più intensa), l’acquisto dei croissant molto presto, mentre tutti gli altri a casa stanno dormendo, sgranare i piselli di mattina, in quell’ora lontana dalla colazione e ancora lontana dal pranzo ("con un ritmo languido, pacificante, che sembra dettato da un metronomo interno") o ancora andar per more, che sanno già d’autunno, di inizio scuola, perché le vacanze sono ormai agli sgoccioli.

Laetitia, la definiva Roland Barthes, sulla scia di Cicerone, un piacere allegro, che non è proprio il gaudium, la gioia perpetua, ma che è già buona cosa. Tra le soddisfazioni quotidiane non poteva mancare un piccolo, meritato, omaggio al cinema.

Delerm esordisce dicendo che "andare al cinema non è propriamente uscire. Gli altri è come se non ci fossero" e continua a rendere l’ovattamento, la luce da acquario, il nostro sederci che è un accomodarci con piccole movenze voluttuose, ciò che precede l’oscurità, prima che si illumini "l’altare".

Non è la stessa cosa all’aperto, dove andare al cinema è proprio uscire, magari dopo una giornata passata in casa a difenderci dal caldo; o è prolungare volentieri l’uscita, se siamo in vacanza al mare. E’ bello uscire per rimanere fuori!

polit2008

Già i momenti prima della proiezione non sono gli stessi di quando si consuma il piacere al chiuso. Certo non sprofondiamo nelle poltrone, anzi ci accontentiamo della scomodità a cui le sedioline di plastica o le gradinate ci costringono.

Dopo aver pagato il biglietto c’è luce abbastanza da poter salutare qualcuno; se siamo in un paese sconosciuto osserviamo gli altri che si salutano e non ci sentiamo stranieri al cinema sotto le stelle perché è un’avventura estiva che tutti un po’ ci accomuna. Qui al nord gli orari seguono i ritmi dell’abbuiare: le dieci meno un quarto a fine giugno, le nove e mezza in luglio, le nove e un quarto ad agosto.

A giugno soprattutto arriviamo (se siamo fortunati insieme ad un volo di rondini) che non è ancora del tutto buio, ma anche più tardi non lo sarà mai fino in fondo. Un po’ di luce della città rimane e della città non è del tutto escluso il rumore: un clacson, un aereo in lontananza, il campanile che batte le ore.

Arrivano anche gli odori: il fumo di chi pensa che all’aperto non si senta, l’autan prestato tra amici. Io, per me, ricordo il profumo di gelsomini di un cinema del sud: chissà se esiste ancora! E poi, quel po’ di venticello che ad un certo punto ci fa coprire le spalle o il cielo che si annuvola e il timore di non arrivare alla fine del film (qui, sotto i cieli settentrionali succede spesso). Che allegria, travestita di rabbia, quando le prime gocce ci fanno riparare sotto un portico!

Certo l’esperienza vissuta en plein air è davvero un’altra cosa! Perché se è vero che il cinema parla all’inconscio, per farlo forse ha bisogno di una fitta oscurità e di una situazione comoda, condizioni per la completa sospensione della vita reale, per immergersi totalmente in una dimensione altra, quella che ha fatto paragonare le immagini dello schermo alle immagini del sogno.

Le affinità tra situazione cinematografica e situazione onirica sono state più volte sottolineata da Christian Metz , da Cesare Musatti per primi, per essere poi riprese da altri intenditori della psiche e del linguaggio cinematografico. Per prima cosa il cinema come fabbrica di sogni, e poi il sogno come soddisfazione dei bisogni latenti, come soddisfazione delle pulsioni. O forse il contrario, non importa. Il tutto favorito dai meccanismi proiettivi e identificatori (a volte anche regressivi) da parte dello spettatore.

Non c’è bisogno di approfondire questi concetti; altri lo hanno fatto prima e molto meglio di noi, né di perdersi nel misurare quanto lo spettatore sia attivo o passivo. E’ solo che se all’aperto non si sprofonda nell’inconscio, non si diventa, come dice Delerm "campagna inglese, strada di New York o pioggia di Brest; la vita, la morte, l’amore, la guerra nel cono di un fascio di luce dove danza il pulviscolo", è forse per questo l’esperienza meno seduttiva?

Il cinema all’aperto si nutre di gratificazioni diverse. Si vorrebbe dire addirittura un piacere sensuale consumato insieme, quasi una sorta di piccola, piccolissima perversione. Gli altri non sono soltanto presenze intuite; li vediamo con le loro abbronzature, con i vestimenti leggeri, con le scollature finalmente esibite . Non c’è la complicità solitaria con lo schermo; un’esperienza vissuta durante l’anno da soli si fa d’estate collettiva. Sarà meno intensa, ma sicuramente più partecipata.

Sarà, sì, meno intensa, ma forse è anche questo il suo bello. E poi c’è il luogo: piazze, giardini, parchi, ville, castelli, cortili. A Milano il Chiostro dei Glicini dell’Umanitaria, a Siena il cinema in Fortezza; a Roma l’isola Tiberina e i tanti, piccolissimi centri dei tanti piccolissimi borghi medievali. Luoghi davanti ai quali passiamo di fretta solo perché sono sulla strada e che finalmente ci accolgono, che finalmente abbiamo il tempo di osservare come meritano. Che ci fanno sentire a casa.

E poi ci sono i nomi: Cinema sotto le stelle, addirittura Stelle sotto le Stelle, Esterno Notte, Notti di Cinema…. Notti di Luna, lo Schermo e la Luna, Chiaridiluna….perchè la luna, lei, certo non può mancare. A volte, sempre qui al nord, è solo l’idea della luna e delle stelle, quando l’afa è talmente afosa da non riposarsi neanche di sera o se lo fa è per lasciare il posto ad un temporale. Però ci piace anche solo l’idea di stare sotto le stelle che non si vedono o sotto una luna opaca, che è lì, come diceva Leopardi, sempre benevola in cielo, una certezza nel nostro vivere così poco certo.

Tra i nomi io preferisco Arena estiva, forse perché così la si chiamava una volta e chissà che il nostro amore per il cinema all’aperto non sia anche l’attaccamento ad un ricordo di noi bambini. Per me è l’odore dei gelsomini, per qualcun altro può essere un gusto di gelato, o una foto di famiglia al completo: dove non ci sono ancora stati lutti, non ci sono state separazioni, neanche quella più comune dell’essere diventati adulti.

Se poi il film non è un granché, ci offendiamo meno. Perché rimaniamo comunque un po’ appagati dal rito, un rito che non possiamo ripetere quando vogliamo, ma solo d’estate, meglio ancora se non si lavora…..e allora va bene così. Domani mattina non dobbiamo alzarci presto, è davvero un altro giorno, ma non in senso consolatorio.

E’ un altro giorno di vacanza e se dobbiamo consumarlo nella lotta contro il caldo, possiamo sempre sperare nel cinema all’aperto — il programma è lì, appeso ad una porta, sul frigorifero, o più modernamente salvato nel nostro pc…..A proposito, cosa c’è in programmazione domani sera?

COLLABORAZIONI

Il tema del rapporto tra Cinema e psiche è molto intrigante sia sul versante specifico della rappresentazione sia sul versante della interpretazione dell'arte cinematografica. Come redazione anche alla luce della sempre maggiore concentrazione dei media saremmo lieti che questa sezione si sviluppasse in maniera significativa e in questa logica contiamo sulla collaborazione dei lettori da cui ci aspettiamo suggerimenti ma soprattutto collaborazione.

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