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J. Horgan La mente inviolata. Una sfida per la psicologia e le neuroscienze, R. Cortina, Milano 2001, pp 370, EURO 23, 24

Il testo, adeguatamente introdotto da G. Porzionato, è scritto in modo scorrevole e comprensibile da un ottimo divulgatore scientifico americano, ben introdotto negli ambienti della ricerca nelle neuroscienze.

L’autore rileva in apertura che quanti scrivono di scienza si concentrano sugli argomenti più ricchi di risultati e questo "fa sembrare la scienza più potente e veloce di quanto realmente sia". Questo richiama il suo precedente libro La fine della scienza anche se, per quanto riguarda lo studio della mente, Horgan riconosce di avere esagerato con il suo pessimismo. Nella conclusione egli comunque ribadisce il concetto di scienza ironica, cioè scienza che non arriva mai ad una presa salda del reale.Questa definizione si adatta in particolare alle scienze dure e un po’meno a quelle della mente, anche se in quest’ultimo caso i risultati fin qui ottenuti non sono poi così importanti, nonostante l’uso di strumenti come PET, NMR, microelettrodi ecc. che se non altro hanno allargato la base empirica di questo sapere. D’altra parte le scoperte di un numero crescente di neurotrasmettitori, recettori specifici e fattori neurotrofici hanno portato a toccare con mano la complessità di un sistema che sembra sempre più complicato e difficile da spiegare. "Gli scienziati della mente sono bravissimi nel fare il cervello a pezzetti, ma non hanno poi idea di come rimetterli insieme".

Horgan ha intervistato i più importanti neuroscienziati degli USA, da Diesel, a Llinas, alla Goldman-Rakic, a LeDoux, sforzandosi di ricercare la coerenza di un quadro che per ora sembra difficilmente decifrabile. La sua curiosità riguarda gli psicofarmaci (come gli antipsicotici e gli antidepressivi), che hanno certamente contribuito a cambiare la pratica psichiatrica dagli anni ’60 ad oggi anche se, secondo lui, essi non sono efficaci come si dice. Non è un caso che molti neuroscienziati, tra cui la Greenfield, Bloom, Kandel siano convinti che il paradigma freudiano, da altri avversato, sia ancora valido e insostituibile e che esso potrà un giorno essere convalidato dai risultati delle neuroscienze. Anche se nel 1993 è apparso sul Time un articolo intitolato "Freud è forse morto?", Horgan è certo che occorra riformulare la domanda dicendo: "Perché Freud non è morto?". Secondo Kandel, l’efficacia della psicoanalisi può derivare dalle aspettative dei pazienti, cioè da un effetto placebo. Oggi è noto a tutti che a tale effetto si può ascrivere più del 50% dell’efficacia terapeutica degli psicofarmaci e di molte altre forme di trattamento della malattia mentale.

Penso occorra sottolineare che l’esistenza dell’effetto placebo è la più importante delle prove che denunciano le limitazioni del riduzionismo e la sostanziale irriducibilità della mente.

Nel capitolo dedicato alle terapie psicodinamiche, comportamentali ed esistenziali l’autore rileva che "anche se si è assistito ad un declino complessivo della psicoterapia, essa rappresenta ancora una delle forme più importanti di trattamento dei problemi psicologici". Questo nonostante i terapeuti, con buona pace del DSM-IV, non concordino né su come debba essere definito un determinato disturbo, né su che cosa debba essere definito un disturbo.

Nel capitolo 4 viene descritto un meeting tenuto a New York nel 1996 dall’American Psychiatric Association, sponsorizzato da ditte come la Lilly, produttore del Prozac e la Somatics, specializzata in attrezzature per elettroshock (ECT) comprendenti monitor per regolare l’applicazione e documentare l’efficienza, e dispositivi per minimizzare rischi come la rottura e la perdita di denti. Secondo la ditta, l’attrezzatura è efficace per trattare la normale depressione, le sindromi maniaco-depressive e la schizofrenia. A differenza di altre terapie, come il coma insulinico, la cosiddetta "cura del sonno" e la lobotomia, l’ECT non sembra aver subito il contraccolpo della rivoluzione psicofarmacologica. Nell’ambito di quest’ultima, Horgan ricorda alcuni eventi significativi, come le azioni penali intentate alla Lilly da parenti di pazienti trattati con Prozac che si erano successivamente suicidati. Questo comunque non sembra aver scosso la fiducia dei consumatori di Prozac, che nel 1994 venne messo in commercio al sapore di menta in versione per bambini!

Per Horgan, visto che l’effetto placebo domina tutti i tipi di terapia psichiatrica e non solo quelli psicofarmacologici, sarebbe il caso di ottimizzarlo e forse questo sarebbe un primo passo per collegare le proposte dei diversi gruppi di neuroscienziati e psicoterapeuti che sembrano operare nella completa assenza di un quadro unitario.

Il libro dedica parecchio spazio al rapporto tra geni e malattie mentali, a partire dalla critica delle posizioni estremiste di coloro che individuano in difetti genetici la "causa" di depressione, schizofrenia, ma anche di condizioni come l’omosessualità e i comportamenti criminali. Un’epitome delle posizione di Horgan è la seguente affermazione: "Di fatto la debolezza della psicologia evoluzionista non è poi così diversa dalla debolezza della psicoanalisi". Anche la psicologia, come le scienze sociali e ovviamente quelle biologiche, ha adottato entusiasticamente il paradigma evoluzionista darwiniano applicato al linguaggio prima e all’intera mente poi. Come le nostre mani, i nostri occhi e altre caratteristiche, anche le nostre menti sono state messe a punto per perpetuare i geni dei nostri predecessori. Questo assunto, in un certo senso "facile e retorico", sta alla base del lavoro di autori come Pinker, che hanno usato quale punto di partenza la posizione di Noam Chomsky. Per quest’ultimo, comunque, il linguaggio è una capacità almeno in parte innata e non interamente appresa, mentre la psicologia evoluzionista non è che "filosofia della mente con un pizzico di scienza". Quest’argomento si accomuna alla sociobiologia come tema di un acceso dibattito, soprattutto per i pericoli che la sociobiologia evoca se viene usata come giustificazione del razzismo. A questo proposito ha affermato Steven Rose "In un periodo in cui sia la teoria evoluzionista che la psichiatria sono minacciate da rivali assai agguerriti, entrambe meriterebbero qualcosa di meglio da parte dei loro amici".

Il libro passa in rassegna le principali teorie sulla mente illustrando in modo efficace le ipotesi di Fodor, Simon, quelle degli esperti di Intelligenza Artificiale, di olografia, fino a quelle dei fisici quantistici e di Penrose in particolare. Non sembra però che gli sforzi di tutti questi autori abbiano prodotto una spiegazione plausibile dei problemi della mente e della coscienza. Il libro di Horgan può essere considerato al tempo stesso un antidoto a spiegazioni troppo frettolose e un percorso critico che permette di ricavare da tutto quanto è stato proposto una minima quantità di risultati pratici.

Lauro Galzigna

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