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GENOVA E IL G8

Parliamo di un argomento di attualita' immediata, il G8. Dato che sono una voce genovese, mi sembra abbastanza ovvio parlare di questo singolare e stravolgente evento. Naturalmente non parlero' dei significati politici anche perche' in questa sede ci interessano poco, parlero' invece del modo in cui e' stato recepito dalla mia esperienza clinica, dove il fantasma del G8 e' venuto nella seduta analitica. Devo dire che e' venuto proprio come fantasma corposo; i sentimenti che ho visto sorgere intorno a me , presentati sia in modo diretto che indiretto sono sati prevalentemente di tipo depressivo. Il G8 ha prodotto nei Genovesi una risposta depressiva che prevale di gran lunga su quella proiettiva, cioe' sulla protesta sulla rabbia per l'impedimento, per l' isolamento, per le misure di pulizia, per i contestatori che rompono, che distruggono le vetrine. Tutto questo e' stato nettamente secondario, anche se nei mezzi di comunicazione si trova piu' evidente anche perche' fa piu' notizia, colpisce di piu' e' piu' drammatizzabile, la depressione di per se' non si puo' riportare ad un certo livello di informazione. In realtaa' il vissuto e' depressivo, di abbattimento, di scoramento, un sentimento di autochiusura, su un sentimento di fondo di perdita dell'io.

Questo perche'?

La prima impressione che si e' avuta in questi giorni di Genova e' stata quella di un'aggressione, di un ritorno storicamente al Medioevo, visto che una citta' cintata a cui si accede per alcuni varchi e' una rappresentazione medievale, certamente tutto cio' che si intende per una citta' moderna. Pensare ad una citta' in cui non si entra in modo permeabile da qualsiasi periferia, ma in cui si entra da alcune porte e' cosa che ripugna, e' una condizione arcaica e primitiva che vive sulla paura, sulla possibilita' della penetrazione forzosa da parte di personaggi estranei. Il mondo moderno tenta sempre piu' ad abolire il concetto di dentro -fuori.

Se poi vogliamo arrivare ad un momento piu' vicino, quali potrebbero essere i miei ricordi infantili, e' il periodo della guerra; allora Genova era cosi', ma non proprio cosi', devo dire c'era piu' permeabilita' e piu' ariosita' in tempo di guerra con l'occupazione tedesca di quanto non ci sia adesso con l'occupazione di queste due parti che occupano: le forze dell'ordine e le forze che possiamo definire della contestazione.

Quindi la citta' e' tornata ad essere una citta' medievale, con la differenza che manca degli elementi positivi della citta' medievale, cioe' della vivacita' del rapporto dell'immedietezza, del raccogliersi intorno alla pieve del paese e, perche' no, anche degli elementi estetici: una cinta turrita medievale e' unabella cosa, ancora oggi andiamo a vederle. Certamente uno sbarramento di ferro brutale non e' una bella cosa.

La mancanza di permeabilita' e la chiusura sono un primo elemento depressivo, ma credo che non sia il solo. In realta' tutte queste chiusure e sbarramenti risulterebbero essere contenitive e protettive, il fatto e' che la gente in questa chiusura si e' sentita non dentro, ma fuori, espulsa.

Ora bisogna capire che questa cosa ha un importanza particolare e speciale per un genovese. Genova, se dividiamo le citta' in due categorie: quelle di sesso maschile e quelle di sesso femminile, cioe' quelle penetrative caratterizzate da torri, monumenti, da elementi occupanti spazio, come potrebbe essere Roma. Genova non e' cosi', basta guardarne la pianta, vederla dall'alto od osservare un'antica incisione, si vede che e' caratterizzata da un elemento fortemente femminile, cioe' dal porto, un punto recettivo. Fa parte di quelle citta' piu' caratterizzate dall'essere pentrate, dal contenere. E' una citta' molto contenitiva, forse questa insenatura elemento intrauterino amnioticoe' proprio dei Genovesi i quali tendono ad essere contenuti dalla citta', sono quelli che forse piu' di tutti tra gli Italiani soffrono di spleen, nostalgia e hanno piu' difficolta' a distaccarsi dalla citta'.

E questo aspetto nuovo e' stato vissuto come espulsivo per cui il cittadino si sente, al di la' degli aspetti politici per cui si sente disappropriato della citta', si sente proprio espulso sui toni emozionali, solo e sperduto e quindi i Genovesi hanno preferito la fuga. Io, che mi sono vergognato un po' di questa, chiamiamola così, pusillanimità, poi mi sono reso conto che questo è legato ad un allontanarsi, ad un non voler vedere questo mondo espulsivo. Genova è in effetti come un grande genitale femminile, mi ricorda il quadro di Courbet "La origine du Monde" in cui l'origine del Mondo è proprio un grande genitale femminile recettivo che non si adatta ad essere chiuso con sbarramenti, con questo strano modo anticoncezionale, se non a prezzo di grande depressione dell'espulso. Questo, credo, è quello che è accaduto: una grande depressione dell'espulso, che si è sentito fuori, solo, sperduto e al freddo. Cattiva vacanza, quindi, quella dei genovesi che sono usciti: una vacanza dell'espulso, è più il viaggio di un emigrato forzoso

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