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Bruno Morchio "Maccaia, Una settimana con Bacci Pagano"

Fratelli Frilli Editori Pagine 272

Prezzo Euro 16,50

Eccoci di nuovo a parlare di Bruno Morchio, scrittore nostro, con due anime, malattie psichiche e romanzi gialli. Questo Bruno che sembra non riesca a transitare per Via Balbi, lui e il suo investigatore, senza concionare sui poveri o sui ricchi, sui figli di papà o sulla globalizzazione. Non si sa bene se sia un pregio o un difetto. Il nuovo romanzo è "Maccaia", ma "macaia" con un "c" solo o "maccaia" con due "c"? Da dove deriva poi? Mah! Bruno ha le sue idee, o per lo meno, il suo investigatore. Il quale continua a girare senza mutande, e questo francamente non lo capisco bene. Non penserà troppo agli aspetti sensuali e un po’ troppo poco ai problemi igienici? C’è poi una strana atmosfera, non in senso metaforico, in questo romanzo. C’è afa a Genova, a primavera. Ma chi ha mai sentito l’afa a Genova a primavera? Via, il nostro Bruno è un po’ denigratorio sul nostro clima! A Genova a primavera non c’è afa, si sta benissimo! Del resto nel romanzo precedente Genova sembrava Vladivostok. In compenso sembra che Bruno sia diventato un po’ meno di sinistra, che si stia avvicinando a Berlusconi? Rimane però molto attaccato a Mozart. O a DaPonte? Perché quello che risulta qui non è tanto la musica di Mozart, quanto i versi di DaPonte. La musica di Mozart non riesce a farcela sentire nel romanzo, dovrebbe allegare un cd. Questo detective, che è molto simpatico, ha un pregio, o difetto: è caricaturale. È un personaggio che ha i suoi modi stereotipi di parlare, misogino per la verità, e dice cose come queste: "Come si fa a vivere con donne così?"

Ora come farà il nostro Parodi, così come faranno Marlow, Spillane, Poirot, Maigret, forse eccezion fatta per Nero Wolfe, ora che non possono più fumare in ufficio?

Ma torniamo un attimo al moralismo: quando se ne libererà Bruno? Guardate:

"Lei capisce che due miliardi non sono mica bruscolini.

-Neanche la vita di un uomo è un bruscolino!- e gli si affaccia alla mente il cargo di albanesi."

Dai Bruno, smettila un po’! Ma subito dopo si vede la levatura dello scrittore:

"Dovrà un attimino accordarsi con il nostro presidente"

Ecco quel che mancava, lo stile e l’uomo: "attimino", ciliegina sulla torta! Grandiosa, secondo me, annotazione di stile. Il libro è fatto tutto così, di piccole annotazioni stilistiche che esprimono bene un mondo, delle persone, dei modi di essere, dei modi di esprimersi. Ecco, se lasciamo stare il predicatore Giordano Bruno Morchio (meglio sarebbe se si chiamassa Girolamo), viene fuori uno scrittore molto bravo, che scrive un libro molto interessante. Qualche volta il linguaggio lo tradisce, vuole collegare "le evidenze", sarebbero "le prove" in italiano; "evidences" sono "le prove" in inglese, ma dopo che in medicina c’è la "evidence based" e abbiamo tradotto "basata sull’evidenza", cosa può fare il povero Bruno? Cosa vogliamo fare, i puristi?

Ma perché questa assurda, improbabile mistura italo-ispanica del linguaggio? Ma è sicuro che un sud americano in Italia per dire "mente" dice "miente" ? Ho l’impressione che questa sia un’altra caricatura di linguaggio che egli sta costruendo. Se vuole, può fare come Gadda, ed inventarsi un linguaggio ex novo. O come Dante. Ma così!

Capito? Avrete mille cose da notare, avrete da compiacervi, da arrabbiarvi, da interessarvi, da opporvi, ma, perbacco, avrete davanti un libro e quindi, signori, leggetelo! Troverete pensionati del porto che in genovese invece di parlare del Genoa disquisiscono sui grandi modelli sociali come li ha in testa lui, Bruno; troverete dialoghi platonici sulle piccole cose; troverete piccoli borghesi che sono raffinati gourmets; ma qualcosa, vi assicuro, troverete sempre.

Caro Bruno, quando ti sarai liberato dal provincialismo sarai un ottimo scrittore, forse più che ottimo, chissà, dico sul serio ( anche se non riesco a trovare nella nostra lingua il superlativo del superlativo). Ma questo libro leggetelo. Come diceva Foscolo: "Italiani io vi esorto alle storie" io più modestamente vi esorto a Bruno Morchio.

E siccome il nostro investigatore, Bacci Parodi, molto si basa sulla sua genovesità, qui c’è da fare subito un’aggiunta: nel nostro provincialissimo giornale locale, Bruno Morchio ha sentito il dovere di scrivere un articolo sull’identità ligure, a seguito di un altro articolo, di quello che chiameremo S.G.P., o Sussiegoso Grillo Parlante, che è un nostro simpatico scrittore locale che scrive articoli sul Secolo XIX su problemi di interesse generale. Il nostro S.G.P. era arrivato ad una conclusione sull’identità: l’identità, diceva, è un problema complesso ed egli cercava di capire la sua identità di ligure. Ora, egli l’ha trovata nella Via Aurelia; ecco, la Via Aurelia dà l’identità ai Liguri: figuriamoci uno di Grosseto, oppure un abitante a Roma nel quartiere Aurelio, come si sentiranno liguri! Gli americani, che in queste cose fanno le gaffe più grosse di tutti, esattamente nel libro di Torrance, dicevano che Ezra Pound fu esposto in una gabbia nella strada Aurelia che prende il nome dal grande imperatore Marco Aurelio. Gli americani, si sa, in queste cose non li batte nessuno.

Ma via! Sappiamo tutti che di identità discute chi non ce l’ha! Chi ce l’ha non ne parla, perché l’identità è quella cosa che quando la si ha non la si sente. La si sente molto quando non la si ha e se ne va a cercare una artificiale. Ecco, questo il nostro Bruno l’ha capito benissimo, a differenza del Sussiegoso Grillo Parlante. E ha capito che l’identità è una cosa che c’è ormai poco perché in un mondo dove trenta milioni di persone guardano assieme lo stesso spettacolo televisivo l’identità regionale diventa una cosa molto fumosa, come molto fumosa è l’identità nazionale. Tutti vogliamo il multietnicismo, e poi stiamo a discutere di identità. Ma si può suggerire una soluzione: l’identità ligure, se proprio la vogliamo trovare, sta nell’area del "belin". Esiste un’area geografica, linguistica, dove si usa il "belin", e quella è propriamente l’identità ligure. Guardate per esempio un ovadese: un ovadese dice "belin", nonostante sia in Piemonte, ed è quindi ancora ligure. Un alessandrino non lo dice più e non c’entra più niente con i liguri. Quindi voi avete un’area linguistica identificata dalla grande parola che è "belin" col suo potere identificante. "Identità du belin", direbbe un buon genovese. Bruno Morchio l’ha capito perfettamente. Purtroppo questa identità va perduta nel momento in cui si sentono i giovani di oggi in Liguria che dicono "minchia": orrendo anatema chiamare "minchia" l’organo genitale maschile. I miei cari amici siciliani avranno i loro motivi per chiamare al femminile un organo genitale maschile, ma per i genovesi " u belin" è, perbacco, maschile. Ecco come si confondono le idee, e si polverizza ogni tipo di identità, persino quella di genere, altro che quella regionale! È un’idea che dò a Bruno Morchio, se la vuole usare per un prossimo articolo, che io spero, sostituirà quello del S.G.P. o per il prossimo "belin" di romanzo, già da ora molto atteso, posso assicurarlo, da tutti noi.

Romolo Rossi

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