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Pensieri del Venerdì Santo

Parlavamo proprio su queste pagine, mesi fa, dell’Ecce Homo, e del dolore che si trasferisce dal somatico al mentale, e ancora dello scioglimento della metafora del dolore mentale nelle mani del pittore. Nel nostro Ecce Homo, quello di Genova.

Ed ora, Mel Gibson. Un Ecce Homo diverso da quello di Antonello. Intanto, ci dice che gli uomini sono cattivi: non abbiamo dubbi su questo, e lo sapeva bene anche Freud.
Come non ho dubbi che l’esecuzione capitale, nell’ambito dei rituali penali antichi (romani e non), doveva essere efferata.
Non fecero crocifiggere, i Romani, seimila gladiatori ribelli lungo la strada da Roma a Capua, ai tempi di Spartaco, appena pochi anni prima? E non ho neppure dubbi che il reclutamento dei sadici in queste situazioni fosse allora come oggi di grande successo.
E’ difficile pensare Seneca col flagello in mano, ma è facile pensare un mercenario trace nella stessa posa: anche se non possiamo dimenticare che la raffinatezza non abolisce il sadismo, lo fa solo diventare raffinato.

Ma via, l’uomo è cattivo. Mi ricordo ora quel che successe quando ero bambino, tra i monti dell’entroterra ligure: un anziano contadino (Giömu, chiamavano, forse Gerolamo?) conduceva un carro di buoi con un carico di legna; uno Spitfire lo attaccò in volo radente con le mitragliere, uccise i buoi, egli scampò fuggendo e rannicchiandosi sul ciglio della strada, lo Spitfire cabrò, tornò indietro a cercarlo, lo trovò e con le sue mostruose mitragliere spense il povero vecchio.
Il pilota, immagino, lo avremmo ritrovato due anni dopo, se lo avessimo cercato, nei panni di un affabile bancario nella City, a Londra. Ma ora capisco perché mi era venuto in mente il mercenario trace.
Abbiate pazienza: sediamoci in fondo ed ascoltiamo un momento in silenzio Tucidide, la Guerra del Peloponneso, Libro VII, 27/29/30. Dunque, gli ateniesi hanno assoldato dei mercenari traci per unirli al corpo di spedizione contro Siracusa, ma i traci sono arrivati tardi, la flotta ateniese è già partita.
Cosa ne faranno gli Ateniesi di questi milletrecento pericolosissimi Traci Dii? Ascoltiamo:

Quella stessa estate giunsero ad Atene anche milletrecento fanti leggeri traci della tribù dei Dii, armati di daga, destinati a rinforzare il contingente affidato a Demostene per la spedizione in Sicilia.
Mi si erano presentati troppo tardi, e gli Ateniesi pensavano di rispedirli in Tracia da dove erano venuti…………………… Precisamente per tale crisi economica, intenzionati a risparmiare, gli Ateniesi licenziarono subito i Traci che erano giunti troppo tardi per Demostene: l’incarico di guidarli sulla via del ritorno fu affidato a Diitrefo, cui si ordinò anche, costeggiando (dovevano passare attraverso lo stretto di Euripo), di servirsene per infliggere il massimo danno al nemico dove si presentasse l’occasione. E costui cominciò con uno sbarco nella zona di Tanagra, dove fece compiere una razzia volante; poi, al tramonto, effettuò il passaggio dell’Euripo da Calcide di Eubea e sbarcato in Beozia scagliò le truppe contro Micalesso.
Quella notte bivaccò senza destare allarmi presso il Santuario di Ermes (che un tratto di circa sedici stadi separa da Micalesso).
All’aurora si dispose ad investire la cittadina, di importanza modesta, e se ne impossessò al primo urto, poiché gli abitanti non disponevano di difese efficaci e non potevano aspettarsi che a tanta distanza dalla costa verso l’interno potesse piombare loro addosso un aggressore.
La cinta era fragile, in più di un punto diroccata, qua e là troppo bassa: perfino alcune porte eran rimaste aperte, tanto era lontano il sospetto di un pericolo. I Traci, penetrati di forza in Micalesso, razziarono case e santuari sterminando gli uomini, senza discernere l’età matura dall’acerba, con strage ininterrotta, l’uno dopo l’altro, chiunque capitasse a tiro, trafiggendo piccoli e donne: anzi massacrarono anche gli animali da soma, e qualunque essere vivente cadesse loro sotto gli occhi.
Poiché la razza dei Traci, purchè si sentano le spalle protette, è tra le genti barbare la più sanguinaria.
Quel giorno, tra i mille episodi dell’innominabile violenza, quando la morte imperava in tutte le sue infinite forme, si gettarono anche su una scuola elementare, la più frequentata tra quelle locali, e sorpresi i bambini ch’erano appena entrati, li fecero a pezzi fino all’ultimo.
Per la città tutta non era mai accaduto flagello più doloroso: né mai altro, vi s’abbattè così improvviso e cruento.

L’imperturbabilità di Tucidide è insopportabile. Non ha, lo storico antico, la retorica di noi moderni, soprattutto dei nostri giornalisti. Sa che l’uomo è cattivo, e riferisce, senza stupirsi e neppure indignarsi. Quel po’ di enfatico, di indignato e di accorato ce la mette il nostro traduttore che, neppure lui, sopporta Tucidide quando fa così.
Ancora un po’ di pazienza: sentiamolo in greco e confrontiamolo con la traduzione:

"Quel giorno, tra i mille episodi dell’innominabile violenza …" no, no!, vuol solo dire: "e allora tra tutti gli scompigli …". Ancora "… quando la morte imperava in tutte le sue forme ", ma no! "si realizzava ogni aspetto della morte … E ancora "…sorpresi i bambini che erano appena entrati, li fecero a pezzi, fino all’ultimo …" macchè: " si imbatterono nei bimbi che erano arrivati, e li ammazzarono tutti".

Tucidide è imperturbabile. Tucidide sa.

Se Mel Gibson voleva sottolineare la cattiveria degli uomini, lo invitiamo a leggere Tucidide, più efficace di lui.

Ma se voleva definire il senso della Passione, allora è fuori strada. Capisco che i preti, di queste immagini truci e sanguinose, possano compiacersi o, comunque, possano dare su queste la loro approvazione. In fondo devono pur dire alla gente che le sofferenze di Cristo non erano cosa da poco, che erano sofferenze davvero, inflitte veramente al corpo dell’uomo Cristo, e che per noi Egli ha davvero sofferto.
Superiamo, diranno loro, questi come se, questi stereotipati simbolismi, queste croci dorate, questi Crocifissi che parlano con voce melensa, questi Crocifissi oggetto di discussioni politiche come simboli da esporre o no.
La Croce, dicono loro, è sofferenza vera, per redimere noi peccatori, ed è giusto che la vediate, che la percepiate con tutti i sensi.
Ed io li capisco.
Ma se il lavoro dell’opera d’arte è quello di cogliere il punto centrale del problema, e se qui il punto centrale è quello di cogliere l’immenso dolore mentale, il peso tremendo di chi non ne può più, di fronte al peccato originale, alla cattiveria degli uomini, e di chi offre il proprio dolore per la loro redenzione, allora Antonello da Messina c’è riuscito, Mel Gibson no.

Lo avevamo detto, proprio da queste pagine, in tempi non sospetti, cioè quando di Mel Gibson non si parlava.
Il nostro Ecco Homo, quello di Genova, fa transitare dal dolore somatico al dolore mentale, e lo vedevamo attraverso Freud: ricordate? Appendice C di Inibizione Sintomo e Angoscia.
Ma se si insiste, si preme, si scompone, si anatomizza il dolore fisico, se troppe grida, troppo sangue, troppa violenza invadono il corpo, si restituirà forse la verità, ma l’opera d’arte fallisce lo scopo, perché in quel caso il corpo si fa strada e rimane solo e dominante, il dolore ritorna tutto fisico, la mente non ha più luogo, ed il dolore mentale è perduto.
Ed il dolore somatico, da solo, è troppo poco, e non basta a redimere l’uomo dalla sua cattiveria.
O se vogliamo cambiare i termini, non basta ad elaborare il lutto.

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ROMOLO ROSSI

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