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I GIOVANI, LA VIOLENZA, IL TERRORISMO

di Rossella Valdrè

twin towers

Ci si domanda che effetto avrà, sta avendo sui giovani e sulle nuove generazioni, l'ondata di violenza e nuovi terrorismi che stanno colpendo il mondo occidentale.

Genitori, insegnanti, professionisti della salute mentale si interrogano su quale messaggio dare a ragazzi e adolescenti, cosa capiranno, cosa filtreranno le loro menti immature, sempre sensibili alle sollecitazioni più estreme oppure del tutto impervie anche ai drammi più profondi.

I giovani sono abbastanza imprevedibili e misteriosi.

Malgrado tutto quello che se ne dice, si teorizza e si scrive, il loro universo resta in qualche modo un universo "altro", abitato da valori diversi, da costumi e abitudini particolari, attinenti ad un linguaggio e a un codice che ci sembra rozzo e volgare, semplificato all'eccesso, e che spesso non riusciamo né a valorizzare nè a comprendere. Isolati in nuovi rituali e nuovi idoli, ci sembravano da tempo indifferenti a tutto.

E invece no. Già i fatti del G8 – ai quali noi genovesi siamo stati vicinissimi e che quindi riusciamo a capire meglio – hanno rivelato un fatto a mio avviso piuttosto inatteso: la grande capacità trainante che il movimento no global ha saputo avere nei confronti non di tutti, ma di una parte significativa delle nuove generazioni.

Non intendo significativa in senso numerico (è pur sempre una minoranza), ma nella voglia e nella forza di esprimere dissenso, scontento e ansia di cambiamento. I giovani che sono stati attivi nelle giornate del G8 e che si trovano ad essere trasversalmente rappresentati nel generico termine di "no global", rappresentano quella voce sommersa, ma estesa, della ribellione giovanile alle ingiustizie del mondo, ribellione che è sempre esistita nella storia e che ciclicamente, nei momenti di crisi, ritorna a farsi sentire e a catalizzare i movimenti sociali e le forze di cambiamento.

Cosa c'entra tutto questo con la tragedia americana?

Un sottile fil ruoge può collegare una parte delle risposte giovanili ai due eventi. Come ha scritto domenica 16 settembre Eugenio Scalfari su Repubblica, in un mondo che da tempo celebra la fine delle ideologie, nasce improvvisamente una forza ideologica tremenda, violenta e tribale, la forza dei poveri del mondo, degli esclusi, la ribellione di chi vive in parti del pianeta da noi giudicate arcaiche, escluse e reiette dai giochi del potere.
dollars and guns Sebbene il terrorismo islamico non si proponga la salvezza dei deboli in quanto tali, utilizza però la voglia rabbiosa di non assoggettamento al modello americano che questi popoli serbano nelle loro coscienze, ne strumentalizza il pur legittimo, se condotto pacificamente, diritto alla propria particolarità, cioè a quell'insieme specifico di valori e tradizioni che distingue una cultura dall'altra, e ne fa un paradossale e potente strumento di guerra.

Una parte delle nuove generazioni si è dimostrata estremamente sensibile a questi temi, apparentemente così lontani. Soffocati da Mc Donald e centri commerciali, omogenizzati dall'imposizione di gusti e marchi pubblicitari che volevano apparentarli ai loro coetanei asiatici, europei e di ogni continente, inaspettatamente alcuni di loro aderiscono a movimenti che dicono "nò a tutto questo, buttano via le griffe firmate e con stivali neri e cani da strada pascolano per il mondo la loro solitudine. Anche senza questi estremi, molti collocano l'insoddisfazione e la possibile noia di un'esistenza che si prospettava senza ideali, nel nuovo ideale dell'antiamericanesimo, inteso ora come il calderone dell'anti potere, anti soprusi, anti ingiustizia, anti sfruttamento.

Dall'altro lato dello spettro, poichè gli adolescenti tendono alle risposte estremizzate (per avere così una più semplice visione del mondo attraverso la radicalizzazione dei conflitti), troviamo quelli che si aggangiano all'idelogia opposta: la ricerca dell'ordine sociale. Con la stessa spinta rabbiosa e la stessa voglia di cambiamento, che qui è valorizzato nel preservare e difendere l'esistente, questa frangia altrettanto significativa trova una ragione all'esistenza nei rinnovati miti della forza, della difesa personale del proprio territorrio, nei valori della nazione e dei simboli che la rappresentano (lo stato, le forze dell'ordine). Pronti a partire e lasciare la vita sui campi di battaglia, come vediamo in questi giorni negli USA, questo gruppo è speculare al primo in quanto a forza della motivazione, spinta idoelogica e possibile fanatismo, cambiando solo il contenuto.

In mezzo, il mare magnum degli indifferenti, degli indecisi, di quelli più fortunati perchè le tribolazioni adolescenziali hanno trovato altre collocazioni e altre soluzioni, o più sfortunati perchè non riuscendo a far parte di nessuna parte, restano soli col loro immenso tempo da riempire, assoggettandosi all'illusione di una vita diversa attraverso pasticche e i nuovi trip.

Pur trattandosi di una riduttiva semplificazione, il caleisdoscopio delle risposte emotive giovanili agli ultimi eventi del nostro mondo, sembra dipingersi così. Ognuno vi trova poi il suo spazio e la sua voce personale, che è semmai compito degli adulti – quelli di cui parlavo all'inizio – anche semplicemente ascoltare, e non condannare frettolosamente. Nè in un senso nè nell'altro, cercando di mettere a tacere le nostre personali posizioni politiche e culturali, il nostro personale vissuto, perchè questo scenario è una scenario nuovo, e può darsi che noi non si abbia niente di più da aggiungere se non la nostra condivisione.

Su tutto grava un senso di incertezza e di indeterminatezza del futuro che le generazioni passate non avevano, non in questi termini di incolumità della stessa vita fisica. Un giovane paziente, prossimo al servizio di leva, mi ha confidato: "non escludo che nel corso della mia vita mi capiterà di trovarmi in guerra".

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ROSSELLA VALDRE'

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