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Dibattito tra Ettore Perrella e Antonello Sciacchitano
su psicoanalisi e psicoterapia:
un appassionato "litigio" tra due analisti lacaniani

Quarta parte di dieci parti

(Vai alle parti 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10)


Da Sciacchitano a Perrella

Milano, 4 settembre 1997

Caro Ettore, fa piacere discutere ogni tanto con qualcuno che ti pone questioni intelligenti. Tento di spiegarti la mia posizione, che in fondo è semplice, sulla questione dell'Uno. Propongo la nozione di classe propria alla von Neumann-Gödel-Bernays come interpretazione del non tutto lacaniano. La giustificazione è che il non tutto, pur essendo un universale più "grande" dell'universale comunemente usato, l'universale insiemistico, manca di qualcosa. Di cosa? Proprio come la classe propria, manca della possibilità di essere concepito come tutto e, quindi, come uno.

Di tale impostazione si possono discutere alcune conseguenze. Per esempio, a mio avviso, è sostenibile la tesi che il non tutto lacaniano è l'"uno che non è" platonico. Sia come sia, a questo punto non dovrebbe essere difficile per te comprendere perché l'insieme di Cantor (l'insieme di tutti gli insiemi) o l'insieme di Russell (l'insieme di tutti gli insiemi che non si autoappartengono) non sono insiemi come gli altri. Infatti sono non tutti, ossia classi proprie. Di cui non si può dire che sono "uno" perché di loro non si può predicare qualcosa come un tutto, pena la caduta in contraddizione. Di fatto, non si possono pensare come elementi di altre totalità(provaci!). Non esiste, cioè, un predicato di cui siano soggetti.

Come mai? Qui viene il bello. Sono portato a credere che l'analisi precedente sia naturalmente falsa. Il non tutto non esiste. È un effetto del linguaggio, della sua struttura discreta a elementi significanti. Il linguaggio si rivela limitato. Non consente di predicare tutto di tutto. Ma da qui a dire che il non tutto non esiste o, equivalentemente, che Dio esiste, il passo è scabroso. Primo, perché si finisce dritti filati nel discorso religioso e, secondo, perché non si può uscire dal linguaggio. Il motivo non sta nella dominanza del registro linguistico, come sembra fare un certo Lacan. Il motivo è che per poter dire: "Io esco dal linguaggio", devo prima porre il linguaggio come un tutto per poter dire, poi, che ne esco. Ma, secondo me, il linguaggio naturale, qualunque linguaggio naturale, è una classe propria, proprio come l'insieme di Cantor o di Russel. Solo più interessante.

Venendo a problemi umanamente affrontabili, uno dei principali è l'articolazione tra l'uno come elemento (livello che chiamo intensionale) e l'uno come tutto (livello che chiamo estensionale). Per l'analista l'interesse sta nel distinguere tra l'uno come elemento linguistico e l'uno come totalità corporea immaginaria, il primo sempre uno e il secondo... non sempre.

Sono curiosissimo di leggere cosa scriverai sui modi platonico e aristotelico di pensare l'uno. Domenica annuncerò le tue belle intenzioni alla redazione di aut aut.

Ciao, ciao, Antonello.


Milano, 8 settembre 1997

Da Sciacchitano a Perrella

Caro Ettore, finalmente trovo il tempo per rispondere alla tua lettera, che come ti dicevo in un precedente E-Mail, trovo molto impegnativa. Vengo subito al sodo, trascurando di polemizzare su dettagli dove la tua argomentazione mi pare debole. Sono punti che provvederai tu stesso a rafforzare, se vuoi(per esempio, là dove dici che nessuno può dire cos'è etica, mentre in precedenza ti riferisci alla pusillanimità degli analisti che non prendono posizione politica come te. Allora, tu sai cos'è etica?).

Credo che il discrimine tra le nostre posizioni sia quando affermi che "nella psicanalisi si tratta... della formazione, vale a dire della possibilità di custodire almeno qualche briciola di alcuni principi morali e civili che ci sono stati trasmessi e che abbiamo il dovere di trasmettere a nostra volta ad altri. Se la psicanalisi non serve a questo, a che accidente serve?" La mia risposta è disarmante: "A niente". Non è una boutade. É l'inizio di una teoria che vede correre per la società non un solo discorso, per esempio quello idealistico della conservazione delle conquiste dello spirito. Con Freud fa capolino nella nostra civiltà un discorso - e quindi un legame sociale - non finalizzato ad alcuna elevazione dello spirito né ad alcun risparmio dei beni accumulati. Si chiama psicanalisi. È l'inverso del discorso del padrone, che pretende la conformazione del soggetto ai valori dello spirito e la parallela produzione di sempre maggiori beni. E non ha nulla a che fare con il discorso servile di chi al padrone tiene bordone: la psicoterapia, oggi; da sempre la medicina, regina del conformismo filisteo di tutti i tempi.

L'operazione intellettuale di Freud non è facile da seguire perché, attraverso una prima fase di ricerca di senso - nel sogno come nel lapsus - sfocia nell'insensatezza della pulsione di morte e della ripetizione.E l'insensatezza urta contro lo spirito religioso che ci permea da tutti i pori, essendo imposta dal padrone. La freudiana pulsione di morte, al contrario, implica che, a un certo punto dell'analisi, quello che credevi avesse un senso (la cura, i valori morali, lo Spirito Assoluto) svanisce, si afanizza. L'uno si disfa. Il tutto si parzializza. Il soggetto cade dal trono (ma Lacan lo chiama étron, stronzo) del suo fantasma.

Vuol dire, come sostieni tu, che "nessuno può dire: questo è etica e quello invece no. E soprattutto nessuno deve dirlo"? Vuol dire, a mio parere, una cosa molto più disperante, caro Ettore: che anche il tuo relativismo fa acqua. Che sei alla mercé dell'inconscio. Il quale ti impedisce anche il comodo relativismo. Vuol dire che, da ora in poi, l'etica passa non più attraverso i principi morali tramandati dalla civiltà ma attraverso un desiderio, che prima era ágraphos ma ora, attraverso l'analisi - mai fosse cominciata! - è stato scritto e ti porta dove vuole lui e... tuo malgrado. "Quando eri giovane ti cingevi e andavi dove volevi; da vecchio un altro ti cingerà e ti porterà dove vuole lui", profetizzava Gesù a Pietro. Questo è etica. Lo si può dire, a posteriori. Tutti possono dirlo, coloro che hanno veramente fatto un'analisi. Non certo gli stolti dei farisei e i pusilli dei filistei.

In proposito ti ringrazio per avermi suggerito il bel verbo paolino di katakronéin. Lo farei giocare con kataphronéin, nel senso di "riprendere i sensi" dopo essere passati per l'alienazione nell'Altro. Voglio tornare a casa mia da estraneo, insomma. E nessun padrone deve obbligarmi ad adeguarmi al suo bene e nessun servo deve consigliarmi il mio, neppure se ha l'autorizzazione di Stato.

Mi dispiace che consideri il mio discorso autoritario. Il mio discorso è mio e non chiedo sia condiviso da molti (ma c'è qualcuno che lo condivide). Concederai che possa dire qual è la mia etica. Se non lo facessi, negherei il percorso fatto durante il quotidiano lavoro analitico. La mia etica è, direi, non-nichilista: tutto è insensato ma qualcosa si può fare. E mi do da fare, come puoi testimoniare tu stesso, che hai scritto un articolo sull'uno in Platone e Aristotele su mia spinta. E spero che non mi deluda. Spero che sia un articolo sommamente inutile. Giusto per mettere alla prova la metanoia dell'intelletto, costruita in analisi.

Venendo a Spaziozero, ti confermo che l'affaccendamento intorno alla legge 56 non mi interessa punto. Ripeto, senza paura di passare per statalista, quanto già detto: lo Stato ha tutti i diritti di controllare la conformazione agli ideali civili che regolano la civile convivenza. In questo senso, la psicoterapia è un processo di conformazione. Ergo lo Stato ha diritto di legiferare sulla psicoterapia. Lo dico per fissare bene gli obiettivi della politica per la psicanalisi. La mia politica non va contro lo Stato che legifera in materia di conformazione. Non sono - mi spiace per te, che forse ci speravi - un rivoluzionario che vuole imporre altre conformazioni, alternative alle vigenti! La mia politica è una politica culturale. Voglio annunciare a chi ha il tarlo del pensiero che si può pensare - magari poco, ma bene - fuori dagli schemi ricevuti dalla tradizione: la logica binaria, la verità come adeguamento, l'etica come conformismo ai dettati del Super-Io. Ma mi dici tu quanti oggi, anche tra i nostri amici, si interessano a un programma così - dicono con disprezzo - "intellettuale"? E lo dico senza alterigia ma con profondo rammarico. Vuol dire che non pensano. E se non pensano è segno che non hanno fatto esperienza dell'inconscio. Il quale è un mucchietto di pensieri, per lo più inadeguati alla realtà di tutti i giorni. C'è un bel aforisma all'inizio delle storielle da calendario di Brecht: "Un pensante (sic)ha bisogno di poche cose: poca luce, poco pane, poco pensiero".

Concludo queste mie considerazioni inattuali con un riferimento politico. È in atto nel mondo un processo di convergenza tra psicanalisti lacaniani e non. Questa è la politica da attuare per rilanciare la psicanalisi: promuovere il legame sociale analitico, i transfert di lavoro e di ricerca, i dibattiti come questo nostro epistolare. Perché è lì che si annida il segreto della lunga analisi freudiana, cominciata un secolo fa. E che forse finirà tra breve, grazie ai troppi analisti che si preoccupano di cose che non li riguardano: la psicoterapia (e le sue leggi), la veterinaria e magari la Borsa, trascurando la bella psicanalisi. La psicanalisi è un segreto che noi stessi non conosciamo e a cui mi sento di lavorare con l'entusiasmo dell'adolescente e il disincanto dell'uomo maturo. Spero di averti tra i compagni di lavoro. Ma ti annuncio che mi vedrai sempre meno alle riunioni di Spaziozero se continuerai ad annoiarmi con la legge 56 e le commissioni ministeriali.

Komischerweise sono partito con l'intento di scrivere una lettera ben argomentata dialetticamente. Invece è venuta fuori una lettera molto personale (personlich). La mia insegnante di tedesco mi rimprovererebbe. Spero, tuttavia, che tu non la prenda in senso patetico.

Con affetto, Antonello

P. S. Ho la sensazione di averti deluso. La legge 56, tu la consideri ingiusta, io giusta (giusta per la psicoterapia, indifferente per la psicanalisi).Perciò non mi metto a battagliare per cambiarla. Allora mi consideri traditore della causa.

Per rimediare ti ricordo cosa fare con la legge ingiusta, secondo Freud (almeno a lui permetti di dire cos'è etica?). Dice semplicemente e più coraggiosamente di Agostino che non resta altro da fare che es herzhaft zu übertreten: "trasgredirla coraggiosamente". Lo dice nella Laienanalyse, a proposito! La citazione è in tedesco perché invano lo cercheresti nella traduzione-farsa di Musatti (che si limita a suggerire di "non tenerne conto"!).

E per continuare il carteggio e dissipare il tono patetico ti offro unospunto polemico, in codice. "Sag' mir mal: die Ministerien zu besuchen, gilt es für dich als das ungerechte Gesetz herzhaft zu übertreten? Es sieht mir zwar aus, sich zur Sache überzutreten" ["Dimmi un po': frequentare i ministeri, significa per te trasgredire coraggiosamente la legge ingiusta? A me sembra convertirsi a essa"].


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