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spazio biancoDibattitosul contributo di Mauro Fornaro,
"Jaspers e Freud,
ovvero i limiti dellapsicoterapia ad orientamento fenomenologico":
interventi di AndreaAngelozzi,
SalvatoreManai, e Mauro Fornaro

Seconda partedi tre parti:
Risposte di Mauro Fornaro

Prima parte: Interventi criticidi Andrea Angelozzi e di Salvatore Manai
Seconda parte: Risposte di Mauro Fornaro
Terza parte: Repliche di SalvatoreManai e di Andrea Angelozzi
(Vai alla prima e alla secondaparte del contributo di Mauro Fornaro)

26/12/97, Mauro Fornaro:

Caro Manai,

grazie per la tua replica al mio intervento su Jaspers e Freud. Facendoqualche osservazione a mia volta, consentirai che mi riferisca qua e làall'intervento di Andrea Angelozzi,che ho letto dopo il tuo, sia perché tu stesso vi fai riferimento,sia perché alcune osservazioni riguardano pure lui:

- Richiami molti nomi di fenomenologi, ma divergenti sono le posizionitra di essi e anche l'accezione di fenomenologia non è univoca.Pertanto, se si vuole fare un discorso più approfondito occorreaver la pazienza di contestualizzare i concetti autore per autore. Nonso, ad esempio, quanto la nozione cara a Husserl di epochéabbia rilevanza in Jaspers; mentre certo Jaspers ha difficoltà adaccettare la nozione husserliana di intuizione eidetica. Jaspers mi pareper questo lato più vicino all'esperienza, quella clinica in particolare,e ciò va a suo merito. Binswanger è ancora un'altra cosae notiamo le significative differenze tra il Binswanger husserliano e quelloheideggeriano. In altre parole, e penso anche all'intervento di Angelozzi,mi pare un errore storiografico leggere lo Jaspers della "Psicopatologia"attraverso Husserl: Husserl, più che suo maestro mi appare a luiparallelo. Considero poi Jaspers campione dell'approccio fenomenologicoin psichiatria, perché fu quello che aprì la strada. Certo,molti che vennero dopo, se ne differenziarono non di poco. Ma perchéfu il primo, a lui non si può non fare riferimento.

- Una breve nota sull'uso del termine rappresentazione. Lo intendo,personalmente, in un senso assai affine a quello di fenomeno, anzi èquanto di "fenomenologico" si traduce nella psicoanalisi di Freud- debitore in qualche misura al suo maestro viennese Brentano. Penso infattiall'etimo tedesco di vor-stellen, alla lettera "porre davanti",da cui Vorstellung (solo approssimativamente reso con "rappresentazione"),che intenderei a sua volta come ciò-che-si-pone-di-fronte. Comenon vedervi assonanze con la prae-sentia dei fenomenologi? E notiamoche anche nel caso di Freud - non il Freud di certa psicoanalisi dellerelazioni oggettuali - si prescinde dalla realtà oggettiva o menodi ciò che si dà alla mente. Insomma proprio Vorstellungmi pare un termine fecondo per confronti tra fenomenologi e psicoanalisti.

- L'obiezione principale che mi fai è che fenomenologia cometeoria e psichiatria come prassi stanno su due piani affatto distinti,che dunque non c'è una terapia ad orientamento fenomenologico, mache la fenomenologia è una sorta di grosso contenitore cui dovrebberoattingere un po' tutte le tecniche psicoterapiche. Intendo bene? Se sì,rilevo:

a) l'uso del termine psicoterapia - e "psicoterapia ad orientamentofenomenologico" non è certo espressione dei fenomenologi -può avere una legittimità, sia per la grande diffusione cheha oggi, sia per avere un termine-terreno comune di confronto tra indirizzidiversi. Ma, se l'espressione non ti piace, puoi pure sostituirla con ladenominazione storicamente più accreditata di "psichiatriafenomenologica".

b) Certamente è difficile individuare una specifica tecnica psicoterapicafenomenologica e qui come altrove ho l'impressione che quando si chiedonoprecisazioni, determinazioni sul piano concreto spesso il fenomenologoguizzi via, dicendo appunto che la fenomenologia fornisce solo le condizionia priori ecc., l'atteggiamento di base, la fondazione. Il risultatoè che - se consenti questa improvvisata generalizzazione - tantoi fenomenologi hanno voluto fondare e rifondare le varie discipline (pensoalla logica, alla sociologia, ecc.) che ben poco poi, nella piùmodesta empiria, hanno costruito su quelle fondamenta, loro o gli specialistidella relativa disciplina. Tu me ne dai conferma in certa misura, quandodici appunto che la fenomenologia non ha nulla di specifico da offrire,ma sarebbe premessa di ogni tecnica psicoterapica: salvo il fatto poi chei vari indirizzi psicoterapici non se ne fanno praticamente nulla di quellapremessa o fondazione (come appunto accaduto nel rapporto con altre disciplinescientifiche).

c) Però non sono convinto che le cose stiano come dici nel casodella psichiatria, perché mi pare che ci sia uno stile, quanto menouna modalità, una sensibilità peculiare dello psichiatrafenomenologo, nell'affrontare il paziente: vedi non solo i casi clinicidi Binswanger, ma anche i recenti lavori del nostro Borgna. A me pare questoun modo di lavorare di grande sensibilità e di grande umanitàverso il paziente, nonché ricco di penetrazione nel "significato"ontologico, esistenziale del malessere psichico - cosa che deve fungereda utile richiamo ad ogni tipo di psicoterapia. Ma l'approccio fenomenologicomi pare povero di strumenti esplicativi sul piano delle "dinamiche"psicologiche, dell'eziopatologia psichica (non vedo una contraddizione,al contrario una complementarità tra ricerca del senso, ontologico,esistenziale, e spiegazione ovvero ricerca della causa, psicologica, relazionaledel disturbo mentale.)

d) Se non fosse come dico, cioè se non fosse vero che gli psichiatrifenomenologi traggono anche conseguenze in specifiche modalità diapproccio al paziente, come spieghi gli attacchi (penso a Jaspers e a Binswanger)ad altre prassi terapeutiche, quella psicoanalitica nella fattispecie,e alle correlative supposizioni teoriche? (Non credo che ci sia alcunaprassi psicoterapica che non abbia almeno implicitamente delle presupposizioniteoriche: anche il discorso fenomenologico è una - legittima - preconcezione;ma parimenti preconcezione è ogni concezione che suppone - sbagliando- di non avere preconcezioni! Heidegger stesso, prima dei post-neopositivisti,come saprai, ha falsificato l'epoché husserliana, e lo stessoHusserl della "Crisi delle scienze"...).

e) Un atteggiamento di tipo epocale - anzi più radicale ancoradella epoché prima maniera perché metterei tra parentesil'ego cogitans stesso - è quello che richiederei ad ognianalista (e in certa misura ad ogni psicoterapeuta). La sua posizione idealedovrebbe essere assolutamente uno stato di disposizione mentale passivo-recettivo:"fare la parte del morto" in seduta, per dirla con Lacan, essere"senza memoria e senza desiderio", per dirla con Bion, senzamemoria di teorie, senza desiderio di guarire. Sono posizioni che enfatizzanoil lasciarsi andare (sich überlassen) di cui dice Freud, quandoparla delle associazioni libere e dell'attenzione liberamente fluttuante.Questo non significa che le teorie su cui l'analista si è formato,che l'esperienza che lo ha formato non entrino nella relazione; ma solose toccano qualcosa della sua persona, sono significative nel vivo dellarelazione terapeutica. Inoltre resta aperto tutto il campo della riflessionesuccessiva alla seduta: su ciò che è accaduto in seduta,sulla psicogenesi del caso, ecc. E qui la teoria massicciamente interviene,anche nella semplice descrizione del caso clinico.

Cordialità

Mauro Fornaro


Caro Angelozzi,

ai ringraziamenti per il tuo lungo intervento, seguono osservazionispecifiche, oltre a quelle comuni a Manai:

- Mi spiace che non hai colto il senso della mia posizione: ben lungidal voler rivendicare i fasti epistemologici delle Naturwissenschaftene tanto meno dal volervi ridurre la psicoanalisi - malgrado certe espressionidi Freud in tal senso - cerco un al di là della dicotomia Natur-Geisteswissenschaft.Guardando la recente epistemologia e i recenti sviluppi delle scienze naturalisono convinto che le formulazioni in merito di Rickert, Windelband pernon dire di Dilthey siano obsolete. Cerco in particolare di superare ladicotomia tra spiegazione causale e interpretazione (o ricerca del senso)che ha animato recenti e meno recenti contrapposizioni epistemologiche,specie a proposito della psicoanalisi, tra ermeneuti da una parte ed eredidel (neo-)positivismo dall'altra. Ti rimando a un mio prossimo lavoro su"Relazioni causali e relazioni di senso", che dovrebbe uscirealla fine del prossimo anno su un numero monografico della rivista bologneseDiscipline filosofiche, curato da Roberto Brigati. Ciò cheimputo agli epigoni della psichiatria fenomenologica, cosa più graveche non per gli iniziatori di cent'anni fa, è di continuare a presupporrequello schema epistemologico (scienza della natura versus scienzadello spirito), specie quando relegano la ricerca delle cause all'areasomatico-biologica, escludendo che la psiche possa essere trattata conconcetti causali, quando rifiutano leggi, spiegazioni generali, per rifugiarsinell'assoluta singolarità del caso, ecc.: sono dicotomie che vannosuperate. Anche leggendo nella storia clinica più singolare, comelo stesso Ricoeur ha riconosciuto in lavori più recenti, ci sonosegmenti di spiegazione di tipo causale-legale-universale. Ma giàWeber a inizio secolo ebbe osservazioni di grande perspicacia in ordineal superamento della schema diltheyano. Jaspers non apprende la lezioneweberiana e resta invece attaccato allo schema di Dilthey. Certo Jaspersriconosce dignità al metodo naturalistico - e ci mancherebbe! -ma reputa che abbia nulla a che fare con un tipo di psicologia che miraa cogliere il vissuto soggettivo, il senso - e qui a mio parere sbaglia,assieme a Dilthey.

- Il centro delle tue osservazioni mi pare però consistere nellaperorazione a favore della legittimità di più metodi, ingenerale e nella fattispecie della psichiatria. Giustamente osservi chequesto è punto qualificante dell'impianto della Psicopatologia generale,mentre la psicoanalisi sarebbe riduttivamente limitata al metodo "naturalistico",sempre secondo Jaspers, o peggio sarebbe un ibrido di metodi incompatibili.Sono consapevole della sensibilità metodologica di Jaspers, anzidi certo suo metodologismo kantianeggiante, come quando dice che occorre"sviluppare e ordinare le conoscenze sul filo dei metodi... conoscereil conoscimento e con ciò chiarire le cose" (Psicopatologiagenerale, ed. 1957, p. 33). Tuttavia:

a) resta pur vero che la novità e direi il fulcro della propostajaspersiana è l'idea di affrontare il disturbo mentale attraversola verstehende Psychologie. E a mio parere nessuno potràtogliere a Jaspers i meriti storici di un approccio tanto umano quantoinnovativo al paziente psichiatrico. Però trovo che lo stesso approcciopresenta significativi limiti e sono quelli esposti rispondendo a Manai.Al già detto aggiungerei l'osservazione di quanto si preclude Jaspersrifiutando la nozione di uno psichismo inconscio - ridotto o al soma oall'Unbemerkte -; sostenendo poi, per altro con coerenza, l'ideadi una Beschränktheit del comprendere, specie nel caso dellapsicosi. All'interno invece di categorie epistemologiche meno restrittive,molto di più hanno detto gli approcci ispirati alla psicoanalisicirca il vissuto, le fantasmatiche dello psicotico. Ti rinvio a un interessanteintervento in merito di Fauto Petrella, "Oltre il muro dell'incomprensione"(The practitioner, 1986, nn. 88-90).

b) E' vero: è illusorio ogni metodo che pensa di esaurire laconoscenza della mente umana. Ma non mettiamo ostacoli di principio o pregiudizialial procedere della comprensione, come invece la nozione di Beschränktheit,oltre quelli che già si incontrano di fatto nel procedere dellaricerca. Certo la nozione di comprensione, non già rifiutata, varettificata, integrata e direi arricchita.

c) Jaspers intende, a mio parere, un po' a compartimenti stagni i varimetodi, per la pregiudiziale che "una strutturazione metodologicaè anche analisi obiettiva di ciò che è" (p. 46).Anche per questo accusa Freud di fare un discorso ibrido, utilizzando lerelazioni di senso "come se" fossero spiegazioni causali. Comegià dicevo, Jaspers vive in maniera rigida la dicotomia tra causae senso, tra approccio naturalistico e approccio umanistico - metodi perlui sì parimenti accettabili, ma purché stiano nel rispettivoe predeterminato ambito! Me lo confermi indirettamente tu, proprio quandopensi di smentirmi, là dove dici che "la conoscenza causalenon è limitata al fisico, ma entra anche nei processi psichici,ove può utilizzare i concetti della psicologia comprensiva".Cito da Angelozzi: "Comprendiamoi nessi all'interno di uno stato depressivo, che non di meno puòessere, nella sua interezza, causato da eventi biologici" (corsivomio). Certo usi la nozione di causa per spiegare la depressione, ma soloper il momento somatico: né in te né in Jaspers trovo lapossibilità di usare la stessa nozione per il rapporto tra processimentali, tra rappresentazioni, la stessa nozione per spiegare dei vissuti,per spiegare come delle idee possano "causare" disturbi somatici(alludo all'isteria, ai disturbi psicosomatici, ecc.). Questo a mio parereè il risultato di una certa rigidità nell'intendere la nozionedi causa, è il risultato, almeno in Jaspers, altresì di unaconcezione mitica della scienza: neppure a proposito delle scienze "dure"un epigono del positivismo oggi direbbe, stando alla tua citazione di Jaspers,che "scienza è ogni conoscenza necessaria, universalmente valida,ricontrollabile da chiunque..." (per non parlare poi degli epistemologipost-neopositivisti, tanto duttili da aprire nuove possibilità siain generale sia nella fattispecie dello statuto delle discipline psicologiche.Vedi ad esempio il lavoro di M. Buzzoni, Operazionismo ed ermeneutica.Saggio sullo statuto epistemologico della psicoanalisi, Milano: FrancoAngeli, 1989).

d) In conclusione, lavorerei per una maggiore integrazione tra metodial di là della semplice loro coesistenza, rinunciando al metodologismoche predefinisce l'oggetto. O meglio, lavorerei per una sorta di "rimescolamentodelle carte" tra quelle categorie epistemologiche che sono inteseda Jaspers essere appannaggio rispettivamente dell'uno o invece dell'altrometodo.

Una nota finale là dove dici di non capire perché "l'ipotesicausale debba essere necessariamente più profonda della descrizionedei fenomeni". Personalmente resto fermo all'idea che scienza siacomunque spiegare e spiegare sia uno scire per causas. L'idea diuna scienza meramente descrittiva è povera cosa: 1) perchéin ogni descrizione, in ogni termine che si reputa meramente descrittivo,c'è implicita una teoria, una concezione (le parole non sono mereetichette di cose) o quantomeno c'è un ritaglio semantico tipicodella lingua che si sta usando, dell'idioletto poi di ciascuno; 2) perchéneppure il fisico si accontenta del fenomeno: con Einstein, ad esempio,non solo ci si chiede come funziona la gravità (cioè le correlazionifunzionali tra fenomeni gravitazionali), ma pure quale sia la sua natura(alludo agli sforzi per ricondurla a una teoria unificata di campo elettro-gravitazionale).

Sperando di non aver ulteriormente intricato l'argomento, gradisci vivecordialità.

Mauro Fornaro


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