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PROBLEMATICHE RELATIVE A PROGRAMMI NALTREXONE

Molto spesso bisogna affrontare alcuni preconcetti sia dell'utente che dei suoi familiari sul farmaco. L'epatotossicità segnalata sul foglietto illustrativo è spesso fonte di discussione e di resistenze, talvolta anche alibi, per non iniziare una terapia con antagonisti. Al contrario, in alcune occasioni, bisogna "smitizzare" il farmaco quando, soprattutto i familiari, lo vedono come meta finale per la risoluzione della tossicodipendenza.
Durante il programma non sono pochi gli utenti che, pur assumendo regolarmente il naltrexone, abusano di altre sostanze sostitutive degli oppiacei (cocaina, ecstasy, cannabinoidi e soprattutto alcool). Particolari problemi ci pone la buprenorfina il cui uso è molto diffuso tra i nostri utenti. Fino ad oggi il laboratorio cui inviamo i campioni urinari, non è in grado di effettuare la ricerca di tale sostanza. Questo non ci permette di seguire correttamente la fase di disintossicazione in cui alcuni utenti continuano l'uso di tale sostanza o la sostituiscono all'eroina. Il test al naloxone è inefficace nel precipitare una sindrome astinenziale in chi fa uso di buprenorfina mentre sviluppa una forte sintomatologia d'astinenza 3-6 ore dopo la somministrazione di 10 o 25 mg di naltrexone.
Anche durante la fase di mantenimento alcuni utenti riescono ad assumere ugualmente buprenorfina soprattutto quando il blocco dei recettori da parte del naltrexone si va riducendo. Un altro problema che si presenta di frequente, è l'incompatibilità tra gli impegni di lavoro dell'utente e l'orario di apertura del Servizio. Quando il paziente vuole garantirsi la riservatezza nell'ambito lavorativo, coinvolgiamo il medico di base perchè sia lui a richiedere al datore di lavoro la concessione di permessi orari. Successivamente noi certifichiamo al medico che tali permessi sono realmente usufruiti per l'assunzione della terapia. Spesso è difficile valutare se la domanda da parte del paziente di iniziare una terapia con naltrexone sottende richieste di tipo strumentale.
Questo avviene soprattutto da parte di utenti con alta componente sociopatica per ottenere dei benefici di legge (es la possibilità di uscire durante gli arresti domiciliari per assumere la terapia e per colloqui), oppure da parte di utenti che utilizzano il naltrexone come alibi per tranquillizzare i familiari. Sono soprattutto questi pazienti, non motivati, che mettono in atto trucchi per mascherare la non assunzione del farmaco (farsi scivolare le compresse in una manica, nasconderle nel cavo orale, vomitare una volta usciti dal Servizio) e verso i quali va accentuato il controllo diretto del personale sanitario.
Alcuni lavori riportano l'opportunità di far seguire un trattamento con naltrexone a ragazzi che si trovano nella fase di rientro dalla comunità. Noi non siamo d'accordo che tale strategia terapeutica avvenga di prassi, ritenendola un "ritorno al farmaco" dopo che la Comunità ha speso molte energie per creare nel paziente un cambiamento sulla modalità di pensare al farmaco. Potrebbe invece essere utile solo nei casi in cui il paziente abbia avuto problemi nelle ultime fasi del programma comunitario e si valuti sia particolarmente a rischio nelle prime fasi di ripresa di contatto con l'ambiente di origine. Non abbiamo registrato alcun caso di overdose durante il trattamento con naltrexone; si sono però verificati alcuni episodi di overdose, in un caso letale, dopo pochi giorni dalla sospensione volontaria dell'antagonista da parte del paziente.
L'interruzione di ripetuti trattamenti con naltrexone da parte dell'utente, se da un lato pone dubbi sull'utilità di riproporre lo stesso tipo di terapia , dall'altro può essere utilizzata terapeuticamente nel fargli elaborare i fallimenti in funzione di aumentare la motivazione ad un programma più strutturato Per concludere riteniamo comunque indispensabile che il programma con naltrexone , così come altri tipi di interventi farmacologici, debba essere sempre integrato da un contemporaneo supporto sociale e psicologico individuale , familiare o di gruppo.
La sola terapia farmacologica è spesso fallimentare e può creare dei "falsi positivi", portare cioè a miglioramenti che il paziente valuta come definitivi ma che per gli opertori sono solo relativi e temporanei.

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