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Euforione

A voi che questa terra generò

dal rischio, per il rischio,

di illimitato ardire libero,

del proprio sangue prodighi…

A voi che un indomabile

Impeto sacro anima,

a tutti voi che vi battete,

che felice sia l’esito!

J.W.Goete Faust II atto terzo: Arcadia

Gruppo e Istituzione

Leonardo Montecchi e Annalisa Valeri

Metodi

Riprendiamo questo tema come un problema e proviamo a svilupparlo come un concetto che si costruisce, si fabbrica, nell’ esperienza.

Dunque, è come sempre dalla esperienza che è necessario partire. Non è una esperienza priva di teoria, ma la concretizzazione in una situazione specifica di elementi astratti, a loro volta derivati da precedenti esperienze.

Si tratta del metodo prassi-teoria- prassi che Antonio Gramsci chiamava filosofia della prassi e che C.S. Peirce definiva pragmaticismo, per distinguerlo dal pragmatismo in cui prevale l'aspetto empirico ed induttivista. Noi, al contrario, ci basiamo su fatti concreti da cui costruiamo ipotesi, o abduzioni, per comporre dispositivi di intervento.

Questo metodo sviluppa schemi di riferimento che diventano operativi nella misura in cui si calano nelle situazioni concrete, seguendo sempre il metodo concreto- astratto-concreto di cui parla K.Marx.

Questi schemi o ECRO, come li chiama Pichon Rivière, costituiscono il codice genetico della Concezione Operativa di Gruppo (COG) ed in questo lavoro cerchiamo di applicare un nuovo giro di spirale per alimentarne, con nuove esperienze, l'architettura concettuale. Grazie all’ epistemologia convergente, proveremo a ricombinare il codice per inserire i nuovi concetti fabbricati nella prassi.

Il metodo ricombinante compone figure frattali che rendono conto delle esperienze concrete in un cambiamento continuo, una dinamica in cui è riconoscibile una traccia, una griglia concettuale, potrebbe dire Bion, che è capace di rinnovare continuamente il proprio nucleo costitutivo di pensiero vivente in atto.

Si tratta appunto di una spirale logaritmica che prosegue indefinitamente sia verso l´interno che verso l´esterno. La curva continua ad avvolgersi attorno ad un punto senza mai raggiungerlo.

Si forma così una figura autosimile in cui una parte è simile al tutto.

Già Bleger nel suo "Psicoanalisi dell'inquadramento psicoanalitico" ha messo in evidenza il rapporto molto stretto esistente nella "situazione analitica", così come lui la chiama, fra processo e inquadramento (enquadre).

Come è noto, per Bleger, perchè possa esserci un processo è necessario un "non-processo", cioè una cornice di stabilità che per lui è rappresentata dall'"inquadramento" della seduta. Il termine inglese utilizzato a questo proposito è setting.

Per setting analitico, fin dall'articolo di Freud "Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico", vengono considerate quelle regole che riguardano gli orari e gli onorari, gli spazi ed i tempi della seduta, i ruoli e lo scopo o gli scopi dell'analisi.

Per Bleger questi elementi costituiscono delle variabili che vengono fissate allo scopo di evidenziare un processo analitico. Queste "variabili indipendenti" costituiscono una cornice che delimita un campo interno in cui si sviluppa la dinamica delle "variabili dipendenti" dal campo. In sostanza le regole diventano lo sfondo, come nella teoria della Gestalt, da cui emerge un figura che è la dinamica della relazione analitica e permette di collegare una seduta all'altra.

Questa proposta di Bleger si avvicina alle analisi di Goffman e dell'interazionismo simbolico sulla funzione dei frame nella comunicazione, e se vogliamo, l'inquadramento psicoanalitico che definisce la "situazione analitica" costituisce, nel linguaggio di Alfred Schutz, una "provincia di significato".

Uno dei punti fondamentali di una nuova epistemologia è proprio il rapporto tra processo e non-processo. Si tratta di un rapporto relativo.

La terraferma è ferma per il mare, ma il mare è fermo per il pesce.

Si tratta di distinguere nel supporto del segno, tra substrato e stato, o vehiculum e significatum. Nel sistema percettivo e neurologico abbiamo un substrato che assume stati, per esempio una sinapsi che si attiva o si disattiva. Lo stato è attivato/disattivato, il substrato è ciò che resta fisso (il non-processo).

Nel computer abbiamo i nuclei magnetici che assumono lo stato 0/1. Questa organizzazione della materia (della materia!) è in grado di registrare e cancellare e quindi trasmettere forme. Così l'acqua, assumendo uno stato definito dalla ampiezza dell'onda e dalla sua lunghezza assume una forma.

Restano da indagare le operazioni sulle forme, le relazione tra le forme. E resta da indagare la trasmissione di energia, perché la forma richiede e trasmette energia, e l'aspetto energetico del segno è un campo ignoto per la semiotica, forse non per la psicoanalisi. (commento di Giampaolo Proni)

Queste regole che si istituiscono continuamente, tanto che Georges Lapassade parla a questo proposito di "istituente ordinario" per definire l'aspetto istituente continuamente in atto nella "definizione di una situazione", divengono il deposito delle ansie persecutorie e depressive.

Eliott Jaques, nel suo classico lavoro: "Sulle le istituzioni come difesa dall'ansia persecutoria e depressiva", ha dimostrato come le regole istituzionali funzionino da contenimento delle ansie psicotiche di base. Ad esempio, le regole che definiscono la situazione "funerale" contengono l'ansia depressiva, la paura di perdere la presenza, come dice Ernesto de Martino. Queste regole caratterizzano un’istituzione ed il suo funzionamento muto e definiscono certi spazi interni che modulano le attività di scambio simbolico e libidinale di una serie di soggetti.

Le norme e le consuetudini si assembrano fra di loro e vanno a comporre una macchina, cioè un insieme di parti biologiche, linguistiche, corporali, materiali che, a differenza di una struttura che ci viene presentata come atemporale, vengono concatenate in un tempo determinato, hanno una durata e lasciano a lato la possibilità di crescita di una soggettività che può rifiutare la macchina, la può cambiare in un’ altra.

Il concetto di macchina è proposto da Felix Guattari e deve essere accostato al concetto di dispositivo utilizzato da Michel Foucoult. Il dispositivo o i dispositivi sono l'insieme di più regole che riguardano la circolazione della sessualità, del danaro e del potere e che sono in grado di tagliare i flussi desideranti che attraversano la macchina o le macchine in diversi punti.

Un dispositivo che si organizza in più contesti può interpretare una domanda di cambiamento di un flusso desiderante attraverso una diagnosi operativa che taglia il flusso in un contesto residenziale e lo immette in uno semiresidenziale. Ad esempio il dispositivo in cui lavoriamo si articola in un contesto ambulatoriale in cui la domanda di cambiamento può essere interpretata proponendo l’immissione in un contesto residenziale come la comunità terapeutica o in uno semiresidenziale come il centro diurno.

Dunque, per tornare a noi, J. Bleger vede nel setting un aspetto di quell’ istituzione che in seguito definirà "gruppo di gruppi" per evidenziarne soprattutto l'aspetto della soggettività e della dinamica e non per concentrarsi sull'aspetto delle norme e delle consuetudini "istituite".

L'articolo di Bleger è successivo all’ esperienza del 1962 a Royaumont (Francia), portata avanti da Georges Lapassade, durante un corso di formazione nella Mutuelle etudiante des etidiantes de France (MNEF), che aveva visto emergere la dimensione istituzionale nascosta nella dinamica dei gruppi.

I partecipanti a quella esperienza, che si erano riuniti per apprendere il gruppo con la modalità del T-Group di K.Lewin, contestarono le regole che permettevano lo svolgimento dell’esperienza, cioè gli orari, i tempi, gli scopi e i ruoli, in termini blegeriani contestarono l'inquadramento, l'aspetto silenzioso, le variabili indipendenti. In sostanza evidenziarono l'aspetto istituzionale che stava nascosto sullo sfondo dell’ esperienza.

Questa esperienza vide la nascita dell’ autogestione pedagogica il cui strumento fondamentale, come è fondamentale nell'analisi di qualsiasi istituzione, è l'assemblea generale che fa emergere gli aspetti latenti, dati per scontati di qualsiasi situazione.

Questa premessa si è resa necessaria per collocare l’istituzione e il gruppo di cui siamo rispettivamente coordinatore ed osservatore nella Comunità terapeutica di Vallecchio di Montescudo di Rimini.

Da questa prassi operativa abbiamo analizzato nell’anno 2005 i testi delle osservazioni del gruppo, per definire gli emergenti seduta per seduta. Abbiamo quindi lavorato sul processo di oltre un anno di gruppo assieme alla Dott.ssa Rosita Guidi.

Mentre lavoravamo sul materiale emerso e riflettevamo concettualmente sull’esperienza presa in esame, il gruppo continuava a svilupparsi e a produrre nuovo materiale. Anche questo nuovo materiale è servito da base per un’ ulteriore riflessione che continua mentre sta continuando il gruppo: prassi-teoria-prassi. I due processi, vale a dire analisi del materiale emerso dal gruppo e produzione continua del gruppo, vanno in parallelo e si influenzano reciprocamente.

Discutendo con Armando Bauleo ci siamo resi conto che questo metodo può apparire troppo esplicativo, come se non ci fosse il caso, come se tutto fosse spiegabile, un errore di un certo materialismo dialettico che si ritrova in Bleger e anche della psicanalisi che pensa di spiegare tutto con il passato. Non è così, anche in questo lavoro il caso o meglio il caos è dominante, noi cerchiamo solo di ipotizzare delle configurazioni possibili sia con la scrittura che con le immagini che costituiscono parte integrante del nostro lavoro.

Il chiarore non esaurisce l’oscuro, noi pensiamo che qualcosa mancherà sempre e dovrà sempre mancare, non c’è una spiegazione totale. L’esistenza dell’ignoto e dell’incomprensibile è l’essenza della natura umana, forse una qualche approssimazione viene dai versi di Juan de la Cruz:

Entréme donde no supe,

y quedéme no sabiendo,

toda ciencia trascendiendo

L´Istituzione

La Comunità terapeutica di Vallecchio nasce nel 1984 all’interno di un movimento che ha origine nel 1977 nella città di Rimini.

Sono gli anni in cui alcuni operatori socio sanitari del servizio pubblico iniziano ad interrogarsi sul fenomeno della tossicodipendenza, sull´impatto che il problema ha nella comunità, sulle modalità terapeutiche più adeguate di intervento.

Per conoscere tale fenomeno gli operatori decidono di andare sul campo, di conoscere i tossicodipendenti, di parlare con loro e di interrogarsi insieme sulle cause e sulle possibilità di cura. E´ dalla piazza che si parte per sensibilizzare la comunità rispetto all´argomento, con una manifestazione a cui partecipano migliaia di persone a Rimini nel 1980.

L´intento è quello di scuotere la città rispetto ad un atteggiamento di delega, passività e di negazione, perché nella città di Rimini vigeva lo stereotipo dell’ "isola felice" priva delle contraddizioni delle grandi metropoli. Questo stereotipo era conveniente all’industria turistica, poiché gli albergatori pensavano che l’ammissione dell’esistenza in loco di un grave problema di tossicodipendenza da eroina avrebbe potuto spaventare i turisti.

Per rompere questo stereotipo si è resa necessaria un fase di mobilitazione basata sull’informazione diretta alla cittadinanza del numero crescente di tossicodipendenti da eroina che si rivolgevano al servizio.

Possiamo definire questa come una fase istituente, in cui "esperti" e tossicodipendenti riflettono insieme su come affrontare una problematica complessa, in cui si incrociano modalità di pensiero differenti, desideri, slanci, conflittualità. In questa fase si ricerca la partecipazione attiva della cittadinanza, si rifiuta l´idea che la tossicodipendenza sia una fenomeno estrapolato dal contesto e dalle dinamiche sociali.

La direzione che si intraprende è quella di creare contesti terapeutici all´interno del territorio, senza separazioni o chiusure, in osmosi con la città. Si definisce un "modello" di intervento terapeutico, inteso come l’ "insieme di pratiche, basate sull´utilizzo di uno schema di riferimento" (Bauleo in "Cambiare: il modello operativo del SerT di Rimini") mai definitivo ed in continuo movimento.

Tra i vari interventi terapeutici di quegli anni viene fondata la Comunità di Vallecchio, che nasce dalla collaborazione fra operatori diversi e 6 tossicodipendenti che accettano per la prima volta il programma residenziale. La struttura è pensata per le persone più problematiche, per cui le terapie ambulatoriali non sono sufficienti. L´istituzione che nasce quindi è un prodotto dell´azione, come dice Deleuze, della fase istituente.

La Comunità si modifica nel tempo, rispecchiando le trasformazioni della tossicodipendenza e la molteplicità delle problematiche. Dopo una supervisione negli anni ´90, per esempio, si apre alle coppie tossicodipendenti, accogliendo e tentando di gestire le dinamiche che un tale cambiamento comporta. Il tentativo è quello di evitare l´istituzionalizzazione della struttura, mantenendo vivo il rapporto dialettico fra la realtà esterna e le modalità di cura dell´istituzione.

Nel 2000 operiamo un’ ulteriore riflessione sui profondi cambiamenti della tossicodipendenza, sulle situazioni estremamente complesse che si presentano, sulle comorbilità psichiatriche che sempre più frequentemente arrivano nei contesti residenziali, essendo di difficile gestione a livello ambulatoriale.

Per rispondere alle esigenze che si presentano, nasce Il Centro Diagnosi e Terapia Breve. Il CDTB si trasforma nel 2006 in COD e si prefigge lo scopo di inquadrare le problematiche specifiche della persona e di definire le modalità di intervento terapeutico più adeguate. I percorsi vengono maggiormente individualizzati e l´occhio con cui si osservano i fenomeni ricorda più quello di una clinica che quello di una comunità terapeutica.

D´altra parte, però, rimane di fondamentale importanza l´aspetto della socializzazione nel COD ed il gruppo costituisce uno strumento terapeutico imprescindibile.

Il gruppo

Il gruppo terapeutico nasce con la prima formulazione teorica del progetto del COD, come strumento che permette di lavorare sulla motivazione al percorso terapeutico e sulle conflittualità che possono nascere durante la permanenza con gli altri utenti e con gli operatori.

Il gruppo, coordinato secondo la Concezione Operativa, si struttura come uno spazio all´interno dell´istituzione, uno spazio "altro" discriminato dallo spazio dell´istituzione stessa. Tuttavia l´istituzione preme sul gruppo, rendendo difficoltosa la discriminazione dello spazio gruppale rispetto allo spazio istituzionale.

Lo spazio fisico del gruppo, per esempio, è un refettorio utilizzato dagli utenti per i pasti, in cui è presente la macchinetta del caffè, a cui alcune persone accedono durante il gruppo, un altoparlante interno alla sala che viene utilizzato per interpellare gli utenti ed "entra" nello spazio gruppale . Le possibilità di boicottare tale spazio è data quindi anche dalla commistione degli spazi fisici e può avvenire sia da parte degli utenti che degli operatori. Il tempo del gruppo è stato sin dall´inizio definito di un´ora e mezzo, vale a dire dalle 14, 15 alle 15,45.

Sul tempo come sullo spazio si giocano le resistenze dei membri del gruppo che possono entrare, uscire, arrivare in ritardo o andare via prima.

I ruoli sono definiti dall’ applicazione della Concezione Operativa, per cui c’è un coordinatore che segnala ed interpreta gli ostacoli cognitivi ed affettivi che il gruppo trova nel lavoro sul compito e l’osservatore che annota ciò che avviene nel gruppo ma non interviene.

Il compito è l’elaborazione della motivazione alla terapia.

Il rapporto fra setting gruppale e setting istituzionale è stato analizzato da vari autori. In particolare Marta De Brasi ha messo in evidenza come il compito gruppale e quello istituzionale possano essere convergenti o divergenti. Durante il processo gruppale può emergere una divergenza fra gruppo ed istituzione ed in questo caso si produce un conflitto con tutte le conseguenze. Il caso preso in esame nel lavoro di M. De Brasi riguardava un intervento in una istituzione nel Nicaragua post-rivoluzionario, per la precisione in un consultorio.

Un altro interessante lavoro, a questo proposito, è quello di R. Picciulin e C. Bertogna riguardo alla comunità terapeutica la Tempesta di Gorizia. Gli autori mettono in evidenza, seguendo Bleger, come l'istituzione si organizzi simmetricamente alla problematica di cui si prende cura. Nel caso da loro preso in esame il setting istituzionale della comunità aveva degli aspetti indiscriminati con il setting del gruppo terapeutico e produceva una simbiosi tipica della dipendenza patologica, caratterizzata, appunto, da un nucleo simbiotico indiscriminato che viene proiettato e depositato nelle forme istituzionali.

Inoltre evidenziano un conflitto irresolubile fra la regola del gruppo terapeutico: "dire tutto quello che passa per la mente" e l'implicazione istituzionale che si manifestava concretamente nelle conseguenze sul programma terapeutico (allungamento, espulsione o altro provvedimento), qualora un integrante del gruppo terapeutico avesse rivelato ad esempio di consumare eroina.

Questioni di setting

Nella nostra esperienza si è istituita un´altra regola di setting che riguarda la libertà di partecipazione al gruppo.

Il compito del gruppo si è andato precisando nel corso del tempo, c'è stato un processo di approfondimento che ha rivelato aspetti latenti, ad esempio si è venuto sempre più chiarendo che "l'attrattore strano", che produce la forma frazionata o frattale del gruppo è la motivazione alla terapia, che contiene in sé la disponibilità al cambiamento e le conseguenti resistenze.

Questo compito solleva una grossa quantità di ansia che viene proiettata sul setting. Continuamente il setting è attaccato in vari modi, si attacca il ruolo del coordinatore a cui viene richiesto di diventare leader e di ordinare la seduta prendendo il potere, di decidere la tematica della seduta e l'ordine ed il tempo degli interventi, ma anche di dire chiaramente chi ha ragione e chi ha torto. Gli si richiede di assumere il ruolo di "duce" che metta fine al caos grippale, violando le regole dell'inquadramento e decidendo la riduzione del tempo della seduta o il suo aumento, gli si richiede di giudicare e guidare il gruppo.

In sostanza si chiede che il coordinatore faccia il lavoro del gruppo che così rimarrebbe nell'assunto di base della dipendenza così ben descritto da W.Bion.

Nel nostro caso la presenza di una équipe (coordinatore e osservatore) ci ha permesso di contenere questi attacchi al setting che abbiamo potuto osservare e naturalmente vivere, come osservatori partecipanti,un pò come quando una mareggiata si scatena contro gli argini di un porto, come all'Habana sul Malecon dove si infrangono le onde dell'oceano.

Questo aspetto riguarda il controtransfert dell’ équipe di coordinazione (coordinatore ed osservatore).

In particolare nell'assetto di questo gruppo gioca un ruolo importante l'implicazione istituzionale. Si intende con questo termine il grado di coinvolgimento con l'istituzione in cui si sta operando.

Renè Lourou nel suo "La chiave dei campi", ha chiarito come l'implicazione istituzionale sia un continuum e proceda da una disimplicazione ad una surimplicazione, secondo una curva a forma di campana. Nel nostro caso uno di noi è più disimplicato perchè proviene da un'altra istituzione, l'Azienda Unità sanitaria locale di Rimini e anche se partecipa alla équipe terapeutica non è un dipendente della cooperativa che gestisce il COD. L'altra terapeuta è più implicata perchè è dipendente della cooperativa e lavora come psicologa all'interno del centro.

La libertà di partecipazione al gruppo è quindi una regola di setting, che si è stabilita in un tempo di 2 anni dalla nascita del gruppo, essendo implicito per tutti i membri, ma non per il coordinatore, che il gruppo, come le altre attività terapeutiche fosse obbligatorio. Inizialmente lo scopo è stato quello di preservare alcuni utenti in difficoltà dai provvedimenti che sarebbero scattati automaticamente per chi non avesse partecipato al momento terapeutico, provvedimenti relativi alle regole istituzionali.

Si è definita una regola "altra" rispetto all´istituzione, che discrimina lo spazio gruppale al quale le persone possono sentirsi libere di partecipare o meno, di dire le proprie opinioni, discutere, arrabbiarsi senza temere necessariamente delle conseguenze.

E´ chiaro comunque che pensare ad una libertà completa del gruppo rispetto all´istituzione sia inverosimile. Le dinamiche dell´istituzione attraversano costantemente il gruppo.

Un’ operatrice della struttura partecipa alla terapia gruppale e ciò comporta delle fantasie su come il materiale prodotto venga portato fuori ed utilizzato.

L´istituzione è dentro il gruppo.

Come regola di setting la libertà di partecipazione non è stata decisa dagli utenti, ma è stata stabilita dal coordinatore, che applicando la Concezione Operativa paradossalmente obbliga alla libertà. Tale regola viene continuamente attaccata dai membri del gruppo che spesso ne auspicano l´obbligatorietà. Le persone si lamentano di questa regola e vorrebbero che il coordinatore facesse sentire la propria autorità e richiamasse tutti al gruppo.

La regola infatti li pone tutte le volte davanti alla scelta di partecipare o meno, responsabilizzandoli sulla possibilità di essere agenti attivi della propria terapia. La libertà si struttura quindi come un ostacolo alla delega e alla dipendenza. Chi viene al gruppo non viene ha un motivo per farlo.

Processi gruppali

E´ molto importante guardare a come si struttura di volta in volta il gruppo. Considerare chi partecipa, chi non viene, chi se ne va, diviene un emergente di una dinamica latente nel gruppo legata spesso ad aspetti istituzionali.

A questo proposito è importante sia il concetto di latente istituzionale, proposto da R. Lourou, che fa riferimento all´aspetto istituito, che gioca un ruolo di resistenza nel lavoro del gruppo, ma anche al concetto di istituzione latente proposto da A.Bauleo, che al contrario fa più riferimento all´aspetto istituente.

Infatti il gruppo operativo attratto dal proprio compito, sia manifesto che latente, nella misura in cui comincia a funzionare, produce uno smascheramento delle complicità istituzionali. Si potrebbe dire che le appartenenze istituzionali funzionano come resistenze nel passaggio dal precompito al compito. In questo senso, il gruppo operativo opera una sovversione rispetto all´istituzione, proprio perché il suo funzionamento, la sua dinamica stacca, per così dire, i propri integranti dai muri immaginari delle appartenenze istituzionali (le professioni: sono insegnante, sono medico, sono psichiatra, sono psicologo, sono educatore e cosi via, ma anche le patologie: sono maniaco depressivo,sono tossico da eroina,sono borderline, ecc...), per immetterli nello spazio gruppale in cui può prodursi una nuova soggettività.

L´illusione gruppale, il termine è di Anzieu, è l´elemento sovversivo del gruppo operativo perché può permettergli di trasformarsi da gruppo oggetto (come direbbe Guattari) così come è istituito, per così dire, sulla carta da parte dell´istituzione, a gruppo soggetto, imprevedibile nella sua dinamica potenzialmente antiistituzionale, perché portatore di elementi istituenti.

In questo passaggio gioca un ruolo decisivo la circolazione dei flussi libidici che permette l´emergere della produzione desiderante, il motore di cambiamento dell´istituzione stessa. Una delle problematiche emerse dall´analisi del processo gruppale, all´interno del COD, è la difficoltà di coesistenza di discorsi e comportamenti differenti dalla dipendenza da sostanze, che tende ad occupare tutto lo spazio tempo gruppale, schiacciando e annullando tutto il resto. Si può pensare che i discorsi ed i comportamenti che rompono radicalmente questo stereotipo vengano ignorati, negati o normalizzati per il timore che suscitano agli integranti del gruppo.

La dipendenza da sostanze può essere considerata una problematica che ha un´origine esterna: " il problema non sono io, ma l´eroina, la cocaina, l´alcool, i farmaci dentro di me. Se li elimino, guarisco".

E´ uno stereotipo basato sulla idea di possessione: sono in preda al "demone della droga". Ogni demone ha un suo nome (coca, ecstasy, ecc..) e c´è una aspettativa esorcistica basata sull’ espulsione del demone. L´idea che l´espulsione della sostanza coincida con la guarigione fa parte dello stereotipo gruppale ed è identificato con il tempo necessario allo scalaggio dei farmaci (metadone, buprenorfina, benzodiazepine).

Questo stereotipo è completato dalla idea che il demone che bisogna convincere a lasciare il corpo si chiama "astinenza". E´ infatti l´astinenza a possedere "l´adepto" al culto della sostanza quando la sostanza non risiede nel corpo. Ed è l´astinenza a produrre i comportamenti tipici del dipendente da sostanze. In questa visione mano a mano che diminuisce la sostanza nel corpo aumenta il "demone" dell´astinenza nella mente.

Nel gruppo ci troviamo sempre di fronte alla richiesta di un esorcismo dell´astinenza, ci viene attribuito il potere magico di scacciare questo demone. A volte emerge imperiosamente la pretesa di una soluzione immediata, catartica di questa "possessione da sostanze". Questa idea è per noi una resistenza al lavoro terapeutico ed alla presa di coscienza, ma è anche un punto di partenza. L´accettazione del ruolo di "signore delle droghe" a cui ubbidiscono tutte le astinenze è un passaggio necessario. L´obbiettivo che la persona si pone (es. scalare la buprenorfina) è il punto da cui si parte per iniziare a lavorare.

Stereotipi

Per la concezione operativa di gruppo lo stereotipo è una forma di pensiero rigido e ripetitivo che impedisce l´apprendimento dall´esperienza.

L’obbiettivo che la persona si pone può essere rappresentato da uno di questi stereotipi: guarisco se tolgo i farmaci

guarisco se trovo l´amore

guarisco se sconto la pena, ecc.

L´esplicitazione degli stereotipi, non sempre chiari in principio, permette l´elaborazione della reale motivazione alla terapia. Sono motivazioni spesso distanti dal motivo per cui un servizio ha inviato il soggetto: permettere un´osservazione che consenta una diagnosi, motivare al percorso terapeutico, ecc.

Riteniamo che la libertà di partecipazione al gruppo faciliti l´esplicitazione delle reali motivazioni al percorso terapeutico, perché, in uno spazio gruppale in cui il coordinatore non ha compiti normativi, è possibile esprimere anche idee "sconvenienti" rispetto all´istituzione e alle sue regole. Solo alleandoci con la motivazione reale possiamo lavorare e favorire un’ eventuale elaborazione della motivazione verso una consapevolezza maggiore dei propri problemi.

Un elemento che si chiarisce allora è che quando non è chiara la propria motivazione, sia molto più precaria la possibilità di concludere il trattamento al COD. Succede per esempio che per alcune persone, per cui non è prevista una disintossicazione da farmaci o da sostitutivi dell´eroina, inviati dai servizi per uno scopo diagnostico e per elaborare un progetto terapeutico, la ritenzione sia a rischio. Da quanto detto sin ora abbiamo riflettuto allora sulla necessità di un obbiettivo chiaro e condiviso, per un buon esito del programma terapeutico.

I trattamenti si sono strutturati sempre più tenendo conto di obbiettivi concreti, semplici, così come di tempi definiti, il più possibile in accordo. Se all´inizio della storia del COD in casi di necessità pratica (difficoltà di ricollocazione nel territorio, di reinserimento in famiglia, ecc.) abbiamo prolungato il tempo di permanenza, alla lunga ci siamo resi conto che questi percorsi potevano concludersi con un fallimento, perché non si era tenuta in dovuta considerazione la motivazione di chi diceva di volere rimanere al COD, ma che profondamente si percepiva in una situazione di stallo ed assenza di progettualità. Riflettere quindi sugli elementi prodotti dal gruppo terapeutico ci ha permesso di apportare delle modifiche anche a livello istituzionale, mai definitive ovviamente, per cui dal gruppo come istituente ci sono state delle ripercussioni sull´intero COD, che a sua volta influenza il gruppo con una modalità circolare aperta a spirale.

Così il gruppo operativo diviene gruppo operativo produttivo, come dice A. Bauleo.

destini

Dall´analisi della storia del gruppo emerge l´idea di destino come uno degli stereotipi di base.

L'idea stereotipata di destino è caratterizzata dalla coazione a ripetere la propria storia e quella dei propri padri, senza possibilità di cambiamento, di deviazioni da un cammino segnato.

Questo è per noi uno stereotipo di base, un ostacolo al lavoro terapeutico, il più complesso fra quelli emersi, apparentemente inattaccabile nella sua rigidità.

Se non ci si può sottrarre ad un destino segnato, a poco vale l´analisi dei propri problemi, la motivazione al cambiamento. A nulla serve impegnarsi, lavorare. Tutt’al più ci si può aspettare un colpo di fortuna dall´esterno, che non dipende da noi. Appunto nell'antica accezione latina di fortuna: "fortuna imperatrix mundi" in cui la fortuna è il fato, il destino è determinato dagli astri.

Sembra concretamente il manifestarsi dell´aspetto "demoniaco" della coazione a ripetere di cui parla Freud in "Al di là del principio del piacere". Come è noto, Freud vede nella Wiederholungszwang un automatismo di ripetizione che costituisce la radice di ogni sintomo e che è l´essenza dello stereotipo. Nella metapsicologia dell´ultimo Freud la necessità di ripetere un’ esperienza spiacevole violerebbe il "principio di piacere" che governa ogni pulsione e delineerebbe l´appartenenza della coazione a ripetere al gruppo di pulsioni che riunisce sotto la denominazione di thanatos ,cioè l´istinto di morte. Nel gruppo questo "istinto" si evidenzia come la forza contraria all´aggruppamento, alla costruzione di vincoli grippali. In sostanza è una resistenza narcisistica alla circolazione libidica fra gli integranti del gruppo che impedisce al gruppo stesso di essere produttivo. La coazione a ripetere emerge con la forza dell´individuo che si rivolge a se stesso totalmente interessato a contemplare il proprio ombelico : la monade di Leibniz, priva di porte e di finestre.

Questa situazione, in cui il gruppo interno degli integranti prevale sulla realtà del gruppo esterno, è la condizione nella quale le fantasie individuali legano il flusso libidico e ne impediscono la circolazione. Gli integranti sono seduti nel gruppo ed apparentemente si guardano gli uni con gli altri, ma non c´è nessuna interazione, domina l´idea della ripetizione della propria vicenda individuale, c´è la fantasia non esplicitata del mito di Sisifo.

Perché faticare ancora per portare il macigno in cima alla collina quando già so che il macigno crollerà a valle e dovrò eternamente ricominciare questa condanna?

Riportiamo qualche emergente del gruppo in tal senso:

"sta succedendo la stessa cosa… i miei hanno avuto le loro difficoltà e io sono cresciuto così e mia figlia uguale…una catena che non si spezza"

"lo conosco e lo riconosco, fatto e rifatto centinaia di migliaia di volte"

"perché ci provi se sai già che fallisci?"

Ci sembra di aver individuato questo mito come resistenza al compito, il mito individuale in cui tutto si ripete.

La situazione, in questo caso, ci appare come se gli intergranti fossero seduti con il volto verso l´esterno del gruppo e si dessero le spalle. E´ in questa situazione di dominio narcisistico, in cui il proprio gruppo interno assorbe l´investimento libidico, che si possono aprire dei varchi per permettere la creazione di vincoli con i coordinatori, con gli altri integranti e con lo scopo o gli scopi del gruppo.

Allora le monadi cominciano ad aprirsi ed i dialoghi, che spesso ricordano i drammi di Bekett, si aprono alla consapevolezza del qui ed ora per intuire che la ripetizione non si produce da un evento originario iniziale di cui le ripetizioni sarebbero continue copie. L´evento originario, un trauma ad esempio, una violenza subita o un lutto o un abbandono, insomma una causa di una catena di conseguenze, diventa un mito e dunque impossibile da modificare in quanto appartenente ad un altro ordine logico. Questo mito originario o mito della origine, produce la catena delle ripetizioni cui nessuno può sfuggire. Così si ripete continuamente l'evento originario mitico che non può mai essere cambiato ed in questo caso la ripetizione è una ripetizione in negativo,una continua serie di copie sempre più imperfette di un originale.

L´intuizione dell´aspetto affermativo della ripetizione, come dice Deleuze, rompe con l´idea di un fatto, un evento, un’ origine mitica ed immodificabile della ripetizione perché apre il destino alle possibilità e dunque alla libertà della ripetizione. La ripetizione differente non ha nessuna origine, è un flusso aperto, affermativo.

Come dice Nietszche bisogna volere l'eterno ritorno dell'uguale:

'Ora io muoio e mi dissolvo,' tu diresti 'e in un attimo non sono più nulla. Le anime sono altrettanto mortali come i corpi. Ma il nodo delle cause nelle quali io sono avvolto, ritorna e mi rifarà di nuovo! Io stesso appartengo alle cause dell'eterno ritorno. Io ritorno, ritornerò ancora, con questo sole, con questa terra, con questa aquila, con questo serpente; ma non per una nuova vita o una vita migliore o una vita consimile: ritornerò di nuovo eternamente per condurre questa medesima vita, nel grande come nel piccolo, e insegnare ancora l'eterno ritorno di tutte le cose: per pronunciare ancora la parola del grande meriggio della terra e dell'uomo, ed annunciare di nuovo agli uomini il Superuomo. (Fiedrich Nietzsche " Così Parlò Zarathustra", parte terza, Il convalescente) colpe Accanto a questo stereotipo ne abbiamo rilevati altri, cioè l´idea che il percorso terapeutico serva ad espiare una colpa e che quindi va sopportato, adattandosi passivamente alle norme comportamentali e facendo scorrere il "tempo della pena".

"mi sembra un carcere, la differenza è che là fai i festini e fai passare il tempo""

"non mi voglio bene…non me ne frega niente di me, ho fatto troppi sbagli, mi sono rovinato la vita"

Anche se questa idea ostacola il lavoro di gruppo è meno pesante del primo: si può sempre sperare che una volta espiata la pena la vita possa ricominciare, si può sognare, avere desideri, tensioni verso il futuro.

La colpa si presenta come risultato di una trasgressione. E’ stata violata una legge, non solo la legge del parlamento attualmente vigente, forse anche quella, ma più profondamente è stata trasgredita la "Legge del padre" come direbbe Lacan, che vieta di cogliere il frutto dell’albero proibito.

Insomma si coglie la radice della cultura giudaico-cristiana e cioè: in questa "valle di lacrime" che è il mondo non c’è posto per il piacere ma solo per il dolore che ci purificherà dal "peccato originale" e tramite il sacrificio del vivere ci immetterà nella felicità futura dell’altro mondo. I piaceri, invece, ci vincolano al principe di questa terra e ci impediscono l’ascesi, ci appesantiscono e per così dire ci sprofondano negli inferi.

Tanto da fare venire in mente il patto di Faust:

Faust

Se potrai illudermi a segno Che io sia gradito a me stesso, se mi potrai, nel piacere, ingannare, Sia questo il mio ultimo giorno! T’offro questa scommessa. Mefistofele

Accetto Faust I: Studio

Si può solo apparentemente rimediare a questa "colpa". L’espiazione avviene attraverso la punizione del corpo che è costretto a provare un surplus di dolore. Questo sacrificio permette la purificazione dalla colpa di avere provato il piacere. Ma non basta.

Se il piacere è vietato alla collettività, questa si pone nel confronti dei trasgressori come L’Altro generalizzato di cui parla George Mead e questo Altro diventa un "creditore danneggiato" che va in collera contro il debitore e lo pone fuori dalla legge. Contro di lui può essere perpetrato qualsiasi atto ostile.

E’ diventato un "homo sacer", direbbe Giorgio Agamben.

Dice Nietzsche: Il "castigo" in questo stadio del costume è semplicemente l’immagine, la mimica del normale comportamento nei confronti del nemico detestato, disarmato, abbattuto, che non soltanto ha perduto ogni diritto alla protezione, ma anche alla compassione, ed è dunque il diritto di guerra e l’affermazione vittoriosa del vae victis in tutta la sua inesorabile crudeltà. Genealogia della morale, Dissertazione seconda paragrafo 9

Pensiamo a questo proposito a quello che è successo e a quello che succede nelle comunità terapeutiche dove sembra sia tutto possibile: violenze sessuali, uccisioni, occultamenti di cadaveri in discariche.

La struttura di questo stereotipo aggiudica all’osservatore ed al coordinatore nel gruppo il ruolo di spettatori della "festa crudele" del castigo che servirebbe a ricongiungere il trasgressore alla comunità di cui ha violato la Legge. Questo ruolo fa emergere controtransferalmente il sadismo.

Si direbbe che ci si trova nella posizione di quel personaggio del film Salo-Sade di Pasolini, che guarda le efferatezze con un binocolo rovesciato.

Riportiamo un emergente di un gruppo:

"il periodo che sono stata qua è stato il più brutto della nostra relazione…me lo mettevano contro"

Ma l’équipe di coordinazione si trova fra la Scilla del sadismo e la Cariddi dell’ ascetismo, infatti l’altro ruolo che viene proiettato è quello di rappresentanti del principio di realtà che non prevede il piacere. E’ come se rappresentassimo un Super-io Sadico incapace di provare piacere se non attraverso la crudeltà e portatore di un imperativo morale categorico alla Kant cui i trasgressori dovrebbero adeguarsi passivamente.

Ancora una frase emersa in gruppo:

"se stai sotto padrone bisogna stare zitti"

Ma sicuramente nel patto alla ricerca di un piacere che non sazi, a noi è data la parte di Mefistofele, e così quando emerge il senso di colpa per le azioni commesse : Faust:

…..Lo strazio di lei sola mi rode l’esistenza fin nel midollo delle ossa…E tu irridi tranquillo al destino di migliaia come lei! noi dobbiamo tenere il ruolo che ci viene assegnato e rispondere a questi rimorsi come

Mefistofele:

Eccoci al limite della nostra intelligenza, dove voi uomini cominciate a vaneggiare .Perchè ti metti con noi se non sai andare fino in fondo?Vuoi volare e soffri di vertigini? Siamo noi che siamo venuti a cercarti o tu noi?

Faust I Giornata cupa-Campagna

E’ difficile mettersi nel posto di Mefistofele, ma è necessario per provare ad interpretare questo stereotipo che impedisce al gruppo di pensare. Il gruppo, in questo modo, si può riappropriare del proprio senso di colpa, del desiderio di punire il trasgressore, della ricerca del piacere, sopportare la contraddittorietà fra sentimenti opposti e provare ad uscire da un pensiero rigido.

amori

Un altro ostacolo al lavoro terapeutico è l´idea che la risoluzione ai propri problemi avvenga incontrando l´amore (il COD è una struttura mista, in cui non sono vietati i rapporti di coppia).

Questo stereotipo richiama l´assunto di base dell´accoppiamento di Bion. Anche in questo caso tale idea rende poco importante l´analisi dei propri problemi, la presa di coscienza che invece è lo scopo del gruppo terapeutico, ma è comunque presente una tensione desiderante su cui si può cercare di lavorare all´interno del gruppo. L´amore, infatti, apre le possibilità al presente.

E´ speranza e progettualità, è l´opportunità di liberare i flussi libidici a volte bloccati da tempo, sotto il peso delle patologie, perché possano circolare nel gruppo. Chi si innamora o viene al COD con la motivazione di trovare un/a compagno/a, può aprirsi a nuove relazioni e a possibilità di pensiero diverse, uscendo da se stessi e da modalità stereotipate di comportamento.

Può succedere però che il proprio mondo interno e più in specifico i vincoli creati nel passato, vengano riprodotti nel presente, senza elaborazione o cambiamento.

L´altro, di cui ci si innamora, non è realmente un altro, ma uno schermo su cui proiettare le proprie modalità di relazione passate. Si riproducono allora schemi relazionali rigidi che sono causa di malintesi, poiché non sono il frutto di una comunicazione reale fra le persone, ma la riproduzione di schemi comportamentali stereotipati.

In particolare quando l´altro non esiste se non come proiezione di sé, si produce un vincolo narcisistico che diventa un ostacolo al lavoro di gruppo.

A volte, poi, la speranza di trovare l´amore si trasforma in dipendenza (ciò richiama gli assunti descritti da Bion di dipendenza e accoppiamento, resistenze al lavoro terapeutico). La propria vita e la propria felicità dipendono interamente da un altro, sono nelle mani di un altro.

Questo tipo di vincolo pone il soggetto in una condizione di passività e forma una resistenza al lavoro del gruppo, poiché evidenzia la possibilità di risoluzione magica delle proprie problematiche in un altro con caratteristiche a volte idealizzate o mitiche. Riportiamo di seguito un emergente di un gruppo terapeutico, che può esemplificare ciò che abbiamo detto:

" Il problema è una ragazza..non ho rapporti da 6 anni perché voglio lei"

Questo emergente segnala la resistenza alla costruzione di vincoli nel qui ed ora per la permanenza di un vincolo idealizzato nel gruppo interno. Di nuovo si segnala il narcisismo come un ostacolo al lavoro del gruppo sul compito,che è direttamente la costruzione di legami con gli altri. Questo emergente segnala la resistenza alla costruzione di vincoli nel qui ed ora per la permanenza di un vincolo idealizzato nel gruppo interno. A volte l'istituirsi di vincoli amorosi è così precoce e volatile da pensare che Puk abbia sparso casualmente i suoi filtri sugli occhi degli integranti del gruppo.

sulle cui ciglia saggiare il potere del mio fiore a far nascere l´amore. W. Shakespeare "Sogno di una notte a mezza estate" Atto II scena II Inoltre, abbiamo potuto verificare che, nonostante i rapporti di coppia non siano vietati nel COD, spesso nel gruppo emerge l´idea che il lavoro terapeutico possa essere un ostacolo alla relazione di coppia, la fonte di discussioni e problemi.

:"non vorrei che mi mettessero nella condizione di dover scegliere tra il programma e stare con lui."

Abbiamo constatato che la presenza simultanea dei due membri di una coppia è rara, spesso uno solo partecipa al gruppo, oppure nessuno dei due. Una possibile spiegazione sta nel concetto dell´ansia depressiva all´interno del gruppo.

Il gruppo operativo, seguendo Pichon Rivière, ha come scopo il cambiamento di comportamenti e ruoli acquisiti, attraverso nuove modalità che si apprendono in gruppo. Tale cambiamento però suscita ansie di attacco e di perdita, vale a dire la paura di non saper affrontare una realtà nuova percepita come pericolosa (ansia persecutoria) perché gli strumenti usati in precedenza non sono più adeguati e la paura di perdere i vecchi strumenti, i propri ruoli e le proprie certezze (ansia depressiva).

Tali resistenze, sempre presenti nel lavoro gruppale, possono diventare massicce quando si teme che il cambiamento possa mettere in discussione un vincolo di coppia. La risposta può essere allora quella di chiudersi rispetto all´esterno ed al gruppo, cristallizzando modalità di comportamento per prevenire cambiamenti e possibili abbandoni.

Il gruppo stesso reagisce cercando di espellere un membro della coppia che può diventare facilmente il capro espiatorio che assume su di se il deposito delle ansie paranoidee degli intergranti. Così di volta in volta può essere attribuito il ruolo dell´infedele o traditore che manipola il vincolo illudendo la fedeltà dell´altro per raggiungere scopi nascosti. Oppure vengono messi in scena drammi della gelosia con l´assunzione inconsapevole dei ruoli di Desdemona Otello e Iago.

Ma è soprattutto l´amore contrastato a dominare le dinamiche di gruppo. In questo stereotipo Giulietta e Romeo si ripresentano continuamente e mentre nel gruppo interno l´amore infelice diviene una resistenza alla formazione di vincoli, nel gruppo attuale si ripresenta sotto la forma della ripetizione subita e non voluta. A volte si presenta l'aspetto dell'amor fou che ricorda i versi di Cavalcanti:

Voi che per li occhi mi passaste 'l core e destaste la mente che dormia, guardate a l'angosciosa vita mia, che sospirando la distrugge Amore.

E questo vera e propria liason dangereuse provoca fughe dal gruppo e dall'istituzione e talvolta termina con la morte. Un emergente di questa situazione è rappresentato da una coppia che lascia il gruppo e fugge dalla comunità per vivere una relazione che termina quando lei si sveglia alla mattina e trova il suo compagno accanto a se freddo e rigido stroncato da una overdose. Ma non sempre emerge questo aspetto distruttivo, a volte l'intensità del sentimento riesce a motivare alla costruzione di vincoli che permettono al gruppo di lavorare sul compito del cambiamento del proprio gruppo interno e dei propri fantasmi. Non è possibile prescindere dalla complessità che certe dinamiche pongono all´interno del gruppo, che si possono solo accettare ed analizzare.

Libertà Parlare di libertà in un gruppo all´interno di un´istituzione richiama la questione libertà-obbligatorietà che ha visto coinvolte le istituzioni e le ha percepite modificarsi nel tempo, con processi a volte lenti, a volte difficoltosi.

Intendiamo riferirci alle istituzioni totali, come il manicomio, le carceri, i campi di concentramento, i CPT si potrebbe azzardare, in cui il conflitto fra libertà e obbligatorietà è tuttora vivo.

Parlare di libertà di un gruppo terapeutico allora non ha una valenza solo "tecnica", ma profondamente ideologica nel senso più puro del termine. Alla base del concetto di libertà sta quindi l´idea che ogni individuo è responsabile della propria cura, che può scegliere di affrontare la propria malattia o di non farlo, che partecipa attivamente alla terapia e che ha in sé gli strumenti per agire.

Significa quindi prendere le distanze dal concetto di adattamento passivo dell´individuo ad un qualsiasi progetto già definito a priori. La libertà ha in sé l´idea dell´imprevisto, del non certo, di un percorso in evoluzione. E ha in sé anche la possibilità di disobbedire ad una norma prefissata. La disobbedienza è possibile solo se non è certo cosa è bene e cosa non lo è, se ci si pone in una situazione di parità rispetto agli altri e di sfida rispetto a soluzioni già definite.

Con la libertà come strumento terapeutico quindi ci si pone l´obbiettivo ambizioso di aiutare le persone a rendersi più consapevoli e più attive nella realtà. In tal senso ci rifacciamo al concetto di adattamento attivo di Pichon Rivière e continuiamo la prassi di Franco Basaglia.

Sui muri del manicomio di Trieste c´era scritto: La libertà è terapeutica. La partecipazione libera al gruppo pone, come abbiamo già detto, tutte le volte l´individuo davanti alla domanda: "voglio andare? O no?" e rifacendoci ad un film di Nanni Moretti, anche alla domanda "Mi si nota di più se vado o se non vado?", vale a dire che impatto ha sugli altri la presenza o l´assenza della persona in un dato momento, come messaggio comunicativo non verbale.

La libertà non è solo quella di partecipare o meno, ma anche libertà di espressione e di pensiero. Non ci sono regole da seguire su cosa dire o no, su pensieri consentiti o meno. Lo scopo è quello di permettere lo svilupparsi di una comunicazione meno stereotipata. Ad un livello più profondo una comunicazione più libera può far emergere ansie psicotiche di confusione, depressive o di persecuzione.

Sull´istituzione vengono depositate infatti, come descritto da Eliott Jacques, le ansie psicotiche dell´individuo che può trovare una modalità di contenimento alle parti di sé che procurano sofferenza. Il gruppo è uno spazio in cui possono venire mobilizzate tali ansie. Lo spazio è protetto dal setting, ma al suo interno le ansie possono circolare. E´ il setting che protegge rispetto a tali ansie ed il gruppo stesso, che condivide e distribuisce il carico emozionale su tutti i partecipanti.

A volte chi partecipa al gruppo può sentire emozioni forti e disturbanti ed avere paura. Una paura per esempio, anche se non necessariamente consapevole, può essere quella della dissoluzione dell´identità personale nel gruppo. Questa paura richiama il concetto di socialità sincretica, descritta da Bleger.

Nel gruppo, infatti, esistono dei vincoli silenziosi ed invisibili, ad esempio le persone che si trovano nella sala d´aspetto di una stazione ci appaiono come individui isolati e privi di contatto fra loro, ma se il treno o l´autobus, come nel film "Lista de espera", non arriva si evidenzia la socialità per interazione, la cooperazione, il lavoro per uno scopo comune. Il compito fa emergere i vincoli della socialità per interazione.

Questo fenomeno è anche descritto da Sartre in "Critica della ragione dialettica", quando parla delle persone che aspettano l´autobus in una condizione di serialità. L´uscita dalla serialità avviene quando qualcuno indica uno scopo: "c´è da prendere la Bastiglia!" allora dalla situazione di sfondo della serialità emerge il gruppo in fusione, che è prodotto dal compito.

Anche Felix Guattari quando parla di gruppo oggetto e gruppo soggetto si riferisce allo stesso fenomeno. Il gruppo operativo, a differenza di altri tipi di gruppo, vuole mobilizzare la socialità sincretica e permettere che emerga la parte psicotica nel gruppo, ma dà la libertà agli individui di poterlo fare rispettando i propri tempi.

La distanza che ogni persona può prendere dal gruppo è diversa. Sono gli stereotipi che contengono le ansie psicotiche di base.

Gli stereotipi sono schemi cognitivo-affettivi che emergono in qualsiasi gruppo come ostacolo al libero pensiero. Sono le uova che il gruppo deve rompere perchè possa liberarsi la capacità di apprendere dall´esperienza. Solo un clima di libertà permette al gruppo di sopportare l´ansia che si sviluppa dalla rottura degli stereotipi. E’ la libertà a creare il clima emotivo che permette l´elaborazione dell´ansia. La reciproca fiducia nella libertà è l´accettazione della differenza degli integranti. Solo così il gruppo non diventa dipendente da un leader o non deposita sul coordinatore il compito di abolire le differenze e impara che non c´è nessuna colpa per il piacere della conoscenza.

Un utente da tempo presente nel Cod, per esempio, non partecipa mai al gruppo ma passa davanti alla sala in cui siamo ogni volta. La distanza che al momento ha trovato rispetto al processo gruppale è dunque questa, ma non è detto che le cose non possano cambiare nel tempo. Altre persone partecipano al gruppo entrando e uscendo in continuazione, altre ancora sono presenti costantemente. Non è detto che chi partecipa costantemente sia più addentro degli altri al processo gruppale.

Una osservazione critica rispetto alla libertà di partecipazione è che chi non è motivato può evitare il processo terapeutico.Anche in questo caso l´assenza della persona ci dà una fotografia della situazione.

Ma come si può lavorare su questo?

Se partecipa a qualche gruppo si può far notare che ci si è resi conto che oggi c´è e che ne siamo contenti. Non è indifferente per il coordinatore e per il gruppo che la persona ci sia o non ci sia.

L´atteggiamento positivo di tale affermazione ha lo scopo di evitare giudizi. Spesso basta dire questo perchè la persona spieghi come mai non è venuto altre volte e ci dia informazioni su di sé e sulle proprie motivazioni. L´interpretazione delle presenze-assenze è generalmente gruppale: il coordinatore ha un´idea di chi c´è e chi non c´è e lo esplicita. Questo fa sì che i membri del gruppo prendano più consapevolezza degli altri e li richiamino in gruppo.

In alcuni casi è stata prescritta l´obbligatorietà del gruppo dall´équipe del Cod, per singole persone: "il gruppo è libero ma tu sei costretto ad andare".

Ciò si pone come un intervento terapeutico calibrato su una specifica situazione in uno specifico momento. Lo scopo è quello di non far giocare alla persona il conflitto "vado o non vado al gruppo?", ma proiettarlo sull´équipe terapeutica: " L´équipe mi costringe ad andare al gruppo, io non vorrei".

Solo in un secondo momento il conflitto viene reintroiettato dalla persona e sopportato. L’équipe terapeutica ha adottato tali modalità in situazioni specifiche eccezionali che non hanno a che fare con la gravità della patologia, ma con situazioni di stallo da cui il singolo non riesce ad uscire.

In genere questi interventi, pensati sulla persona e temporanei, hanno portato risultati positivi.

Per concludere, possiamo dire che il compito del gruppo, che è quello di parlare delle motivazioni alla terapia, si lega in modo stretto al concetto di libertà: può succedere che una persona che viene al COD perché obbligato (da sanzioni legali, da problemi pratici di abitazione, lavoro, sostentamento) partecipi liberamente alla terapia del gruppo. Questa contraddizione fra l´obbligo alla permanenza e la scelta di stare in gruppo, magari neanche profondamente pensata e consapevole, crea comunque uno sfasamento fra due piani che può aprire un varco al pensiero.

Bibliografia

Samuel Bekett Teatro Mondatori
Jaques Lacan Scritti Einaudi
Charles S. Peirce Opere Bompiani
Erving Goffman La vita quotidiana come rappresentazione Il Mulino
Felix Guattari Una tomba per Edipo Bertani

Josè Bleger Psicologia della Conducta Paidos
Psicoigene e Psicologia Istituzionale Lauretana

Simbiosi e ambiguità lauretana

Alfred Schutz Don Chisciotte e il problema della realtà La Nuova italia

Karl Marx Liniamenti di critica dell’economia politica La Nuova Italia

Giorgio Agamben Homo Sacer Einaudi

Antonio Gramsci Quaderni dal Carcere Einaudi

Jean Paul Sarte Critica Della Ragione Dialettica Il saggiatore
Enrique Pichon Riviere Il Processo Gruppale lauretana
Psicologia del la vida cotidiana Nueva Vision
Armando Bauleo Ideologia Gruppo e Famiglia Feltrinelli
Psicoanalisi e gruppalità Borla

Comunicazioni personali

Lezioni alla scuola di prevenzione J.Bleger
Franco Basaglia L’Istituzione Negata Einaudi
Che cos’è la psichiatria Einaudi
Georges Lapassade Stati modificati di coscienza e transe Sensibili alle foglie
Transe e dissociazione Sensibili alle foglie
Lezioni alla scuola di prevenzione J.Bleger di Rimini
J.W.Goete Faust Mondatori
Juan de la Cruz Poesie Einaudi
W. Shakespeare "Sogno di una notte a mezza estate"
Otello
Giulietta e Romeo Mondatori
Fiedrich Nietszche Così parlò Zaratustra Adelphi
Genealogia della morale Adelphi
Marta De Brasi Leonardo Montecchi L’Orizzonte della prevenzione Pitagora
Marta De Brasi Armando Bauleo Clinica Gruppale e Clinica Istituzionale
Leonardo Montecchi Varchi Pitagora
Leonardo Montecchi Tesi di Prevenzione http//:www.bleger.org
Guido Cavalcanti Rime Einaudi
Gilles Deleuze Differenza e ripetizione Cortina
Istinti e istituzioni Mimesis Eterotopia
Benoit Mandelbrot Gli oggetti frattali: forma, caso e dimensione; Einaudi

Filmografia

Salò e le 120 giornate di Sodoma Anno 1975 Regia Pier Paolo Pisolini

Ecce Bombo Anno 1978 Regia Nanni Moretti

Lista de Espera Anno 2000 Regia Juan Carlos Tabio

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