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I Disturbi del comportamento alimentare e la clinica delle dipendenze: l'esperienza di un servizio per le tossicodipendenze nel trattamento dei disturbi dell'alimentazione.

Il modello bio-psico-sociale

Come per le tossicodipendenze anche per i disturbi alimentari si sono succedute nel corso degli ultimi decenni diversi teorie esplicative dell'etiopatogenesi degli stessi, senza che nessuna di esse potesse ritenersi conclusiva.Si sono così succedute a secondo dei modelli di riferimento ipotesi psicologiche, ipotesi psichiatriche, psicobiologiche e socioculturali, tuttavia nessuno dei singoli modelli interpretativi sembra in grado di esercitare un potere esplicativo e comprensivo esauriente della svariata gamma dei disturbi dell'alimentazione.Il modello bio-psico-sociale cui facciamo riferimento nell'attività clinica del nostro servizio per i disturbi di dipendenza sembra rendere ragione anche della complessità causale e clinica dei disturbi dell'alimentazione (Greben & Kaplan, 1995).In esso si postula che fattori di ordine biologico, psicologico e psicopatologico personale e familiare ed infine fattori di tipo socio-culturale costituiscano se pur con pesi differenti la matrice causale predisponente ad uno stato di insoddisfazione dalle caratteristiche psicologiche peculiari che genera nel soggetto la decisione di eseguire una dieta (Delle Grave, 1996). La dieta dà luogo in prima battuta ad effetti positivi che rinforzano tale comportamento: dà luogo cioè ad una sensazione fisica e psichica di benessere specie se la si è iniziata in condizioni di lieve sovrappeso ma soprattutto perchè riflette una percepita e rinnovata capacità di autocontrollo e di autoefficacia .A lungo andare tuttavia ciò determina l'ingresso in un circuito comportamentale di tipo anoressico che si autoalimenta: si strutturano cioè delle condizioni che perpetuano il comportamento anoressico. Il digiuno infatti determina modificazioni fisiologiche (ridotto consumo metabolico, alterazioni ormonali e neurotrasmettitoriali) e psicologiche: la fame ed il pensiero del cibo diventano pervadenti così come il timore di perdere il controllo sul comportamento alimentare.D'altra parte a causa del ridotto consumo metabolico occorre diminuire l'assunzione di cibo per mantenere costantemente basso il peso e ciò esacerba le disfunzioni cognitive preesistenti: ne consegue un ulteriore incremento della restrizione dietetica. Al timore di perdere il controllo sulla restrizione dietetica che significa perdere il senso di autoefficacia si connette la negazione di malattia e della propria emaciazione.Nella BN il controllo viene perso a causa di episodi di abbuffate e ciò determina l'utilizzazione di una serie di procedure compensatorie (vomito autoindotto ed uso di purganti) che consentono di mantenere sotto controllo il peso corporeo.Generalmente si attua un circolo vizioso che inizia con l'esecuzione di una dieta che non viene rispettata perchè calibrata su un peso ideale oggettivamente inadeguato al set point del soggetto, ciò determina un costante pensiero polarizzato sul cibo ed episodi di abbuffate: l'interruzione della dieta genera sentimenti d'angoscia, colpa e fallimento con una ulteriore perdita di controllo sulla dieta innescando un percorso bulimico o un'obesità iperfagica.L'adozione del modello bio-psico-sociale dei disturbi del comportamento alimentare e dei disturbi di dipendenza consente pertanto, nella nostra esperienza, di mantenere una corretta distinzione dei disturbi, evitando le trappole cognitive insite nel considerare identici disturbi diversi sulla base di analogie, pur se intense e suggestive e permette soprattutto di comprendere l'efficacia di molte strategie terapeutiche caratteristiche della clinica delle dipendenze nell'ambito dei disturbi del comportamento alimentare.

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