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La dimensione negativa della schizofrenia


L'incontro con alcuni pazienti diagnosticati come schizofrenici può dar luogo ad una strana ed inquietante sensazione. L'icastica descrizione che ne dà E.Minkowski resta scolpita nella memoria:"Urtiamo contro il vuoto".
Nell'impatto di quest'urto non si trova l'acutezza graffiante suscitata da un'intuizione delirante rivelatoria, né la tenacia compatta di una convinzione delirante; ma la forza imbattibile dell'assenza.
A partire dagli anni 80 termini quali "sintomi negativi" e "schizofrenia negativa" sono entrati nell'uso della psichiatria clinica e hanno fortemente condizionato sia le strategie della ricerca empirica, sia l'impostazione dei protocolli terapeutici, farmacologici e riabilitativi.
Tuttavia, nonostante questo enorme successo, il concetto di "negatività" è oggetto di severe critiche metodologiche che possono essere così riassunte:
- in primo luogo, i cosiddetti "negativi" sono sintomi del comportamento (condotte osservabili estrinsecamente) e non sintomi dell'esperienza (fenomeni vissuti attinenti al mondo interno) e come tali hanno una scarsa rilevanza per l'inquadramento psicopatologico e diagnostico;
- in secondo luogo, una cospicua e certo non trascurabile tradizione di studi psicopatologici attribuisce a tali sintomi "negativi" non un significato diagnostico nel differenziare dicotomicamente due sotto-sindromi schizofreniche (una appunto "negativa", l'altra "positiva"), bensì un significato dinamico.
Questa tradizione vede nella dimensione negativa da un lato la deficienza che precorre e contribuisce a generare i fenomeni produttivi psicotici (allucinazioni e deliri), avvicinando il concetto di "negatività" a quello di vulnerabilità; dall'altro l'esito infausto (peraltro non obbligato) di taluni percorsi schizofrenici.

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