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Fernand Deligny, Œuvres, L’Arachnéen, Paris 2007, pp. 1854, Euro 58

Figura al tempo stesso mitica e mal conosciuta, Fernand Deligny (1913-1996) ha avuto di recente l’onore di una riedizione in volume della maggior parte delle sue opere. Distante dall’impegno politico diretto ed esplicito, Deligny è stato contemporaneo e partecipe di un’epoca di sperimentazioni ed invenzioni la cui portata resta da misurare: l’epoca delle contestazioni dell’istituzione psichiatrica, ma anche della critica delle istituzioni in generale; l’epoca del rifiuto dei modelli normativi tradizionali nell’educazione e nell’"aiuto" ai marginali e ai disadattati, ma anche di un movimento teorico e pratico che, nelle opere dei Foucault, Deleuze, Guattari, Lacan, Althusser, Lévi-Strauss (tutti più o meno noti a Deligny), spingerà la critica delle norme identitarie cui è legata la soggettività fino ai confini dell’"umano", fino ad interrogare ciò che si apre oltre le frontiere dell’identità e del soggetto, ripetendo il gesto del Freud di Aldilà del principio di piacere. È certamente questo gesto quello maggiormente paragonabile all’attività di Deligny, che, come già Freud, appunto, ha condotto la sua esplorazione di una dimensione inaudita dell’individuazione umana secondo le forme di un discorso inclassificabile, ma in qualche modo legato ai saperi e alle pratiche molto più rassicuranti del campo psichiatrico, di quello pedagogico, o addirittura di quello morale — campi accomunati dal fatto che in essi la sagoma ritagliata del soggetto è immediatamente associata alle grandi partizioni tra norma e deviazione, tra normale e patologia, infine tra umano, e non umano: ed è quindi nel rapporto a questi campi che deve installarsi ogni esperienza intesa a metterne in causa le categorizzazioni ed il loro pacifico ménage.

Fernand Deligny, nato a Lille, studente e poi intellettuale bohémien, militante antifascista e comunista, inizia la sua carriera di "operatore sociale" nel 1938, come supplente in una "classe di perfezionamento" della scuola elementare di rue de la Brache-aux-Loups nel 12° arrondissement di Parigi, per un anno scolastico che terminerà in un’altra scuola a Nogent-sur-Marne; in entrambi i casi, lavorerà in classi riservate a bambini "difficili" — secondo una legge del 1909, le classi di perfezionamento sono destinate all’educazione dei "deficienti intellettuali" o "anormali pedagogici", differenziati rispetto agli "anormali asilari" (cfr. Michel Chauvière, "Devenir Deligny", in F. Deligny, Oeuvres, cit., p. 369); ivi praticherà metodi — detti "attivi" o "concreti" - vicini alla cosiddetta pedagogia attiva di Célestin Freinet (giochi di mimi, disegni, racconti, uscite all’esterno, attività collettive, appello alla creatività, all’invenzione, all’improvvisazione collettiva). Ma Deligny è già un eretico della pedagogia: in questi metodi non vede delle strategie educative meglio adattate ai soggetti "anormali", né un’espressione di filantropia più o meno paternalista, ma piuttosto una via d’accesso a quelli che definisce "esperti in attitudini e maniere d’essere" sorprendenti. È la specificità di queste forme di vita originali che presentano i bambini "anormali" ad interessare Deligny, un interesse che non può venir soddisfatto dallo sguardo delle istituzioni in cui opera, ma solo dal suo détournement, pratica in cui Deligny si rivelerà maestro. Dal 1939 al 1943 lavora come instituteur spécialisé all’Istituto medico-pedagogico dell’ospedale psichiatrico di Armentières, uno dei più importanti della Francia dell’epoca, e gli vengono affidati i bambini "ritardati profondi ineducabili" detenuti nel pavillon 3 (che darà il titolo ad una delle sue prime opere, ora in Oeuvres pp. 43-109), ove sono riuniti i perversi costituzionali e i folli di pertinenza medico-legale, e che in effetti raccoglie diversi tipi di disturbi psichici e di marginalità sociale. Deligny si trova quindi ai confini tra educazione e psichiatria, senza che la sua pratica possa realmente inserirsi nell’una o nell’altra specialità. Nel pavillon 3 elimina le punizioni, organizza delle uscite, dei giochi, delle attività sportive o artigianali, collaborando attivamente con i guardiani, in genere operai disoccupati, ex-detenuti, o artigiani impoveriti; stigmatizza la segregazione e l’indifferenza di cui sono oggetto queste "centinaia di bambini condotti in quel luogo da vaiolo, alcoolismo, tubercolosi, cattivo carattere e certificato medico, reclusione volontaria o amministrativa e ordinanza di custodia provvisoria" (Les vagabonds efficaces, in Oeuvres cit. p. 167). Nonostante i suoi metodi sollevino scandalo e proteste, nel 1943 beneficia di una congiuntura istituzionale imprevista e favorevole, ricostruita in particolare da Michel Chauvière (si veda l’art. cit. e Id. L’enfance inadaptée: l’héritage de Vichy, Editions ouvrières, Paris, 1980, 1987). Il regime vichysta è all’origine di diverse iniziative nel campo delle politiche dell’educazione "specializzata" per l’infanzia "disadattata", indipendente tanto dall’Education nationale che dalla giustizia minorile. Si tratta di realizzare un sistema di presa in carico che soppianti l’amministrazione pubblica, e soprattutto metta fuori gioco l’odiato sistema dell’Education nationale, pilastro istituzionale e ideologico della Terza Repubblica, e focolaio delle élite laiche radical-socialiste. Questo sistema, instaurato appunto sotto la Terza Repubblica come motore dell’unità della nazione e della formazione di un modello francese di cittadinanza democratica, è di fatto una forma singolare di legame sociale, ancora riconoscibile (benché in crisi) nella Francia odierna, e che Vichy cercherà di cancellare nel corso della sua "rivoluzione nazionale". All’epoca, la nozione di "infanzia disadattata" non è chiaramente definita: essa include i bambini difficili, tra cui i delinquenti, ma anche ogni altra forma di assistenza all’infanzia, dai bambini abbandonati ai portatori di handicap e ai malati cronici (cfr. M. Chauvière, cit., p. 370). Il settore si trova quindi in una situazione "ibrida" tra educazione specializzata, psichiatria e giustizia, senza appartenere realmente ad alcuna di queste sfere: stato di ambiguità istituzionale (ed epistemologica) che offrirà il destro alle pratiche eterodosse di Deligny, ma che prima avrà permesso a Vichy di rimaneggiare l’intero settore per i suoi scopi — sarà così lanciato il programma delle Associazioni regionali di salvaguardia dell’infanzia e dell’adolescenza (Arsea), ispirato al decentramento regionalista della "Révolution nationale", e alla sua ideologia paternalista dei "pericoli morali", e sostenuto da un’elite psichiatrica ascoltata dal nuovo regime. Le Arsea, dipendenti dal Commissariato per la Famiglia, organo del Segretariato di Stato alla Famiglia e alla Sanità, amministrano ciascuna un Centro di osservazione e selezione (COT), dal quale passano per un esame medico psicologico i delinquenti minorenni prima della collocazione in un centro d’accoglienza, hanno il compito di creare scuole di quadri rieducatori, e sono sorvegliate dal Consiglio tecnico per l’infanzia deficiente e a rischio morale, composto perlopiù da medici e presieduto da Georges Heuyer, grande artefice della psichiatrizzazione dell’educazione specializzata, creatore della prima clinica di neuropsichiatria infantile (1925) e primo titolare di una cattedra universitaria di psichiatria infantile (Op. cit. pp. 112-113). Questo dispositivo istituzionale — il cui mix tecnocratico-paternalista di medicalizzazione e moralizzazione del trattamento dei sujets è di pura marca vichysta — si incontra inoltre con lo scoutismo e con i vari movimenti giovanili ereditati dal XIX secolo. Vichy incoraggia queste aggregazioni, caratterizzate da una morale virile e militaresca; ma già nel 1937 nascono da una costola dello scoutismo i Centri d’addestramento ai metodi di educazione attiva (Cemea), che collaboreranno alle trasformazioni del settore educativo fin nel dopoguerra. Questo è il quadro istituzionale in cui Deligny, divenuto un "esperto" (nel 1943 il Commissariato per la Famiglia gli propone la direzione del settore di prevenzione della delinquenza giovanile del Nord della Francia), inizia a profittare della riorganizzazione dei dispositivi e delle pratiche per sperimentare soluzioni che faranno da subito scandalo: crea a Wazemmes, nei pressi di Lille, un club di prevenzione, un luogo d’accoglienza aperto gestito da sorveglianti-operai e sostenuto dall’associazionismo cristiano e dalla municipalità in una logica di articolazione tra la presa in carico e la vita associata locale; nominato nel 1945 direttore del COT di Lille, pratica l’osservazione familiare per non sottrarre i bambini alle loro circostanze di vita abituali, sostiene il carattere acquisito delle perversioni (era allora una tesi eretica, e sta tornando ad esserlo, in Francia e altrove…), lascia circolare liberamente i suoi assistiti, si appoggia a collaboratori operai, sindacalisti e disoccupati, usciti dallo stesso ambiente degli adolescenti e dei bambini del COT. Le autorità amministrative e giudiziarie sono ostili alla "triplice dissidenza di Deligny, quanto al regime educativo, quanto al pedigree e al modo di reclutamento dei suoi educatori, e quanto al rispetto della divisione del lavoro tra le istituzioni abilitate" (M. Chauvière, cit. p. 371). Deligny inizia una secessione dal settore dell’infanzia disadattata, monopolio della destra clericale, e ad ottenere il sostegno di psichiatri e operatori legati alla sinistra comunista; nel 1946 l’Arsea lo sospende dalle funzioni, ma troverà un appoggio istituzionale al suo lavoro da parte delle numerose realtà sociali legate al PCF, cui Deligny è vicino da sempre: il Centro laico degli ostelli della gioventù, e il Servizio civico della gioventù. Tra i militanti di questi movimenti incontrerà Emile Copfermann, che sarà suo editore presso le edizioni Maspero, e Felix Guattari. Deligny inizia a concepire l’idea di una "rete" di presa in carico di adolescenti delinquenti o caratteriali gestita e animata da militanti dei movimenti per l’educazione popolare e degli Ostelli della gioventù: si profila l’esperimento della Grande Cordata, associazione che nascerà nel 1948, con il sostegno del Laboratorio di psicobiologia dell’infanzia di Henri Wallon, che sarà presidente della Cordata, e con l’aiuto di numerosi psichiatri ed educatori comunisti. Sostenuta dall’impegno di militanti e volontari (spesso usciti dai Cemea), la Grande Cordata accoglie adolescenti affidati dagli ospedali, dai servizi sociali o dalle famiglie, che vengono inviati in tutta la Francia presso dei responsabili degli ostelli, o delle famiglie di artigiani e operai. Il dispositivo della Grande Cordata presenta già una considerevole assenza di assegnazioni istituzionali riconoscibili: le "regole" della presa in carico sono flessibili, non vi sono le strutture fisiche e architettoniche della reclusione, non vi sono psichiatri, gli "educatori" spesso non svolgono alcun ruolo pedagogico. Deligny, interessato all’immagine cinematografica, interlocutore e corrispondente di André Bazin e François Truffaut (collabora alla sceneggiatura dei 400 colpi), ipotizza un film — mai realizzato — composto da sequenze filmate dagli adolescenti durante i loro viaggi attraverso la Francia: l’immagine inizia ad apparire come un mezzo privilegiato per costituire un archivio sui generis delle esperienze di Deligny. Compare anche l’interesse per il tracciato dei percorsi dei "soggetti" come chiave d’accesso alla loro singolarità. La psicologia di Wallon — anti-determinista e incentrata sull’ambiente in cui l’atto del soggetto "si costituisce come pensiero tramite gli intermediari del rito, del simbolo e della rappresentazione"(p. 385, cit. tratta da M. Foucault, "La psychologie de 1850 à 1950") — serve a Deligny a dare una base teorica alla pratica di modificare le circostanze e le occasioni in cui agiscono i suoi affidati per sperimentare gli effetti delle variazioni. Ma Deligny si trova in contrasto con gli intellettuali comunisti che, al pari di Wallon, animano la Grande Cordata: per lui, il dispositivo serve a fornire un’alternativa globale ai dati sociali ed istituzionali ed alla loro trasformazione in norme; egli rifiuta pertanto il riadattamento sociale tramite il lavoro, in voga tra i seguaci del pedagogo sovietico A. S. Makarenko — ogni tentativo di ricondurre il soggetto a più miti consigli rispetto alle norme sociali, mediche, economiche, politiche, morali, ecc., gli è estraneo (pp. 387-388): ciascun adolescente dovrà trovare un modo di vita a lui consono attraverso un percorso singolare e contingente, attraverso la reiterazione di liberi tentativi di cui la Cordata deve allestire le condizioni effettive. Con la morte di Wallon nel 1962, il sostegno istituzionale e materiale alla cordata vacilla e l’esperimento chiude i battenti nei primi anni Sessanta. Deligny risiede tra il 1965 e il 1966 alla clinica di La Borde, resa da Guattari e Jean Oury il simbolo della psichiatria istituzionale. Deligny partecipa alla vita collettiva di La Borde, cui lo avvicina l’esigenza di sperimentazione aldilà delle definizioni normative e disciplinari, "l’idea di istituzione nel senso di una struttura entro cui condurre una ricerca esistenziale comune"(p. 641), pur restando estraneo e diffidente rispetto alle pratiche "gruppali", all’enfasi sul collettivo, e soprattutto all’onnipresenza della parola "che regna, universale, storica, dimostrativa, omicida"(p. 638). Il suo interesse va piuttosto a fenomeni di soggettivazione, e alla relativa presa in carico, situati aldilà o aldiqua della parola, accessibili solo tramite forme di pensiero non-verbale, grafiche, immaginali. Questa dimensione, la cui esplorazione segnerà tutto il percorso successivo di Deligny, accentuandone o rivelandone l’originalità assoluta, gli è aperta innanzitutto dall’incontro con Jean-Marie J. ("Janmari"), bambino artistico affidatogli nel 1966. Muto, inaccessibile se non attraverso gesti e fughe ora improvvisi ora stereotipici, Janmari conforta la diffidenza di Deligny nel linguaggio e nelle istituzioni che esso sorregge, e lo spinge a separarsi dalla terapia istituzionale. Se per François Tosquelles, i bambini anormali possono essere "ripresi" in senso non sociale ma esistenziale, grazie ad un apparato in cui sia possibile la co-esistenza fondata sulle "relazioni umane" (p. 641, citato da F. Tosquelles, "Condition et avenir des débiles profonds"), per Deligny si tratta certo di ricostruire un ambiente vitale adeguato, ma totalmente privo di finalità socializzanti o terapeutiche, e soprattutto volto, più che a mettere all’opera l’efficacia dinamica delle "relazioni umane", a permettere di cogliere una dimensione ai limiti, o forse aldilà, dell’umano stesso. La secessione di Deligny dall’umanesimo attivista comune a Wallon e alla terapia istituzionale si accompagna ad una secessione da qualunque forma istituzionale riconoscibile: a partire dal 1969, si dedica a realizzare un nuovo réseau nelle Cévennes, con l’appoggio finanziario di privati, associazioni benefiche e celebrità (i Pink Floyd…), destinato ad accogliere e ad osservare bambini e adolescenti classificati come autistici e psicotici, reiterando fino alle estreme conseguenze il duplice rifiuto — costante nel suo percorso — di educare o formare, e di curare. Tuttavia, un certo nichilismo istituzionale di Deligny non significa che quest’ultimo sia partigiano di un "ascolto" umanista, empatico ed indiscriminato dei "soggetti". Si tratta piuttosto di inventare nuove strategie per accedere, in modo il più possibile impregiudicato da esigenze riadattative, a modi di essere estremi, ad esperienze al limite dell’intelligibilità. L’interesse di Deligny per gli artistici si rivela progressivamente dominato da un radicalismo antropologico che trasforma il réseau delle Cévennes in una grande esperienza etnologica: si tratta di decifrare dei modi di esistere posti ai confini dell’umano, in uno spazio pre-simbolico in cui l’agire stesso sembra collocarsi aldiquà di un conferimento di senso qualunque. I bambini autistici sono ospitati nelle "aree di soggiorno" disseminate nel territorio del réseau: qui, essi dispiegano dei comportamenti che sembrano sfuggire alle categorie di senso, azione, soggetto, attraverso cui si definisce abitualmente l’umano. Essi mostrano uno strato di umanità che precede, ed eccede al tempo stesso, l’individuazione di un’immagine dell’uomo, punto archimedico dei criteri di normalità, salute, adattamento, ecc. Aldiquà del linguaggio, gli esseri che Deligny lascia liberi di dispiegare i propri modi singolari sono perciò aldiquà dell’ordine simbolico che presiede all’individuazione sociale, culturale, "psichica", e sessuale. Essi rappresentano il resto "costituito dall’umano a-soggettivo e non-istituzionale" (B. Ogilvie, Au-delà du malaise dans la civilisation, in Oeuvres, cit., p. 1573); le condizioni materiali d’esistenza allestite nelle "aree di soggiorno" attivano la "gesticolazione compulsiva anormale e disturbante" di questi esseri a-individuali, "frontiera infima tra l’uomo della cultura ed il suo essere biologico" (Ibidem), i cui gesti non sono mossi né dal senso né tantomeno dal desiderio — infatti, se Deligny rimprovera alla psicanalisi di rimuovere troppo facilmente questo strato infimo della pre-ominazione, sembra però concordare con Jacques Lacan sul fatto che solo l’ingresso nell’ordine simbolico trasforma la nudità asignificante del reale in un "parlessere" desiderante. Come nota B. Ogilvie, Deligny, lettore ed interlocutore di tutti i maestri dell’epoca "strutturalista", sembra indicare il rovescio e l’impensato delle loro imprese teoriche - condizione archeologica, e quindi sepolta, di possibilità di ogni discorso sui "funzionamenti dei codici culturali ed istituzionali", in quanto incompatibili con la costruzione ideologica di una natura umana sostanziale (p. 1572), sarebbe allora il resto neutro, pre-umano ma atto a divenire il supporto dell’ominazione attraverso le strutture del simbolico. Questo resto recuperato dalle investigazioni di Deligny è vittima di un’esclusione da parte delle definizioni essenzialistiche e normative dell’umano, secondo una denuncia dei discorsi di disumanizzazione degli strati infimi dell’infraumano in cui Deligny ritrova l’antiumanismo di Lévi-Strauss, la critica del potere e delle norme di Foucault, la teoria del soggetto come effetto ideologico di Althusser (che gli renderà visita nelle Cévennes). L’immagine diagrammatica è lo strumento con cui Deligny ha cercato di cogliere ed archiviare le traiettorie di queste singolarità asoggettive, rese inaccessibili dalla loro estraneità al linguaggio. Dal 1969, Deligny e i suoi collaboratori hanno realizzato delle carte su cui venivano trascritti gli spostamenti degli autistici: "Insieme, ogni mattina, studiavano le tracce, la forma delle deviazioni, le coincidenze tra le traiettorie (…) i punti dello spazio in cui i bambini si immobilizzano, l’effetto sui loro tragitti di un evento nuovo od imprevisto"(p. 798), sistema di graficizzazione che deve render possibile il cogliere e fissare delle forme di vita la cui esistenza, priva di discorso e di memoria storico-biografica, è confinata alla consistenza di schemi e ritmi spaziali o spazio-temporali, organizzati da una logica (e quindi portatori di una significazione) immanente, ma refrattari al senso radicato in una soggettività. In Mille Piani, Deleuze e Guattari celebreranno la rottura di questa procedura incentrata sui milieux e sui gesti che li riempiono rispetto alla profondità memoriale dell’archeologia psicanalitica. In effetti, il radicalismo di Deligny non è lontano da quello di Freud: si tratta sempre di rendere significante uno strato dell’essere che si colloca, non in modo contingente, ma per definizione, in uno spazio estraneo all’espressione, con tutti i paradossi (e le tentazioni di recupero prematuro dell’estraneità nel dicibile e nel familiare "addomesticato") che ciò comporta. Paradossi del dicibile e dell’istituzione che lo sorregge, ma soprattutto paradossi legati alla volontà di una società, o di una pratica istituzionale, di fare i conti con ciò che è radicalmente impossibilitato a venir formulato in termini "propri", e che perciò stesso richiede una capacità insolita di esporsi al lavoro di una negatività che nessuna istituzione - sia pure aperta, democratizzata e in via di permanente ricostruzione autocritica - può interamente ridurre ai propri termini.

Andrea Cavazzini

andreacavazzini@libero.it

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