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Antonello Correale, Area traumatica e campo istituzionale, Borla, 2006, 339 p., 32 Euro.

 

 

Il testo di Correale intende affrontare il problema, attuale e complesso, delle istituzioni in ambito psichiatrico e del rapporto che esse stabiliscono col gruppo dei curanti, con particolare riferimento al significato da attribuire al disagio interiore e all'isolamento comunicativo del paziente. Sarà inevitabile, infatti, venire a contatto col nucleo traumatico, spesso profondo e nascosto, del suo disturbo psichico, su cui tende a sovrapporsi una fase cronica, che può essere vissuta con un senso di inesorabilità e di frustrazione se non compresa con gli strumenti interpretativi idonei.

I primi capitoli del libro sono dedicati allo studio delle complesse dinamiche di gruppo che caratterizzano il campo istituzionale: la fenomenologia del gruppo, da un lato, evidenzia al suo interno una carica emotivo-ideale in grado di influenzare positivamente il lavoro di ogni singolo curante che vi partecipa; dall'altro lato, tuttavia, in assenza di un'attenta supervisione, vi è il subdolo rischio che si instaurino quelle frequenti tendenze alla chiusura e all'irrigidimento che caratterizzano il lato deteriore di ogni istituzione.

Affrontando nella sua complessità il rapporto dialettico tra gruppo e istituzione, l'autore ha l'occasione di sviluppare i temi originariamente proposti nel testo "Il campo istituzionale" (1999). Il modello di "campo" qui proposto, secondo la teoria originaria di K. Lewin (ispirato ai principi della psicologia della Gestalt) e i contributi del pensiero di Bion, consiste nell'intreccio magmatico di fattori emotivi, valori, aspirazioni, impulsi, che caratterizzerebbero il gruppo nel suo complesso piuttosto che i singoli partecipanti. In tale contesto, il gruppo non assumerebbe più le caratteristiche di un'entità statica, ma verrebbe concepito come un organismo in continuo movimento: utilizzando un nuovo concetto di spazio (in seguito alla rivoluzionaria teoria della relatività di Einstein), inteso non più come distanza tra gli oggetti, ma come risultante di un sistema di forze interagenti, il gruppo sarebbe quindi immerso in un complesso sistema di "vettori orientati carichi di affettività", che lo permeano ed influenzano direttamente il comportamento dei singoli individui.

Tale visione, che evidenza l'apporto del gruppo nella sua totalità, non intende comunque, secondo l'autore, trascurare la posizione del singolo individuo all'interno di esso; anzi, l'atmosfera di ogni campo di gruppo risulterebbe proprio costituita dalla tensione che si crea tra elementi psichici di origine individuale e collettiva: "Da un lato ogni singolo individuo concorre all'agglomerato complessivo degli elementi che costituiscono il campo, dall'altro il campo stesso si propone come uno spazio complesso con cui l'individuo si mette in relazione, assumendolo internamente come un insieme di immagini, valori e forze che diventano sue proprie" (Correale, 1999).

Con la costituzione di un gruppo di lavoro, l'emergere di idee guida all'interno di esso e la formazione degli assunti di base, il singolo operatore sarebbe nelle condizioni di proteggersi dai vivi sentimenti di angoscia che provengono dal contatto continuo con la psicosi ed i gravi disturbi di personalità. In tale contesto, infatti, secondo l'autore, il curante può disporre degli strumenti operativi idonei per individuare ed affrontare l'area traumatica del paziente, che nella psicosi consiste nella tragica esperienza di perdita della realtà e di depersonalizzazione (il mondo diventa enigmatico, indecifrabile, avvolto in un area di mistero), mentre nel disturbo borderline di personalità si realizza nella percezione di una realtà che appare odiosa e frustrante, nella sua indifferente staticità e lontananza. Al di là di tali caratteristiche comuni (a seconda del disturbo di base), ogni paziente avrebbe il suo nucleo traumatico, spesso ancora oscuro ed incomunicabile, nascosto invano da meccanismi di difesa e comportamenti compensatori ormai automatizzati.

Il terapeuta deve essere quindi consapevole del "terrore" che accompagna il paziente nell'addentrarsi in quest'area vulnerabile e ignota, e restare prudente nell'affrontarla, come di fronte ad una centrale nucleare che emette radiazioni sempre più intense quanto più ci si avvicina. Secondo l'autore, tuttavia, nessun trattamento psichico può essere efficace se paziente e curante non ritornano insieme, anche se gradualmente, su questo luogo di angoscia e sofferenza, ora con una mentalità nuova, che si contrappone alla passività e all'inerzia della mente psicotica.

Il contesto di gruppo sarebbe inoltre indispensabile per superare i momenti critici all'interno della relazione tra singolo operatore e paziente ed affrontare eventuali resistenze e problematiche legate al transfert. L'autore intende utilizzare questo termine in modo meno rigido e specifico rispetto alla psicoanalisi tradizionale, per riferirsi a quel complesso insieme di desideri, fantasie e sentimenti, spesso contraddittori, che si sviluppa in modo potente all'interno di ogni relazione terapeutica significativa, al punto da diventare potenzialmente sconvolgente per il curante, fuori da un contesto idoneo.

Se quindi, da un lato, l'operatore avverte in modo molto urgente l'esigenza di affidarsi ad un gruppo di colleghi, per evitare una penosa sensazione di insufficienza, dall'altro vi sarebbe il sottile rischio che il terapeuta venga inghiottito da un apparato istituzionale costituito da contingenti necessità burocratiche, espresse da un linguaggio spesso freddo e impoverito. Obiettivo del curante sarebbe quindi quello di costruire innanzitutto una dimensione di privatezza e di intimità con il paziente, per costruire insieme un linguaggio inizialmente segreto, allusivo, carico di sentimenti ancora inesprimibili, che nella relazione a due può quindi maturare ed assumere spontaneamente una forma (grazie alle competenze e all'esperienza del terapeuta).

Ci si riferisce qui soprattutto ad un linguaggio metaforico, che trascende i limiti del riduzionismo scientifico ed affonda le proprie radici nell'area inconscia della mente: la metafora, secondo quanto afferma anche Ricoeur, ha la caratteristica di introdurre nel discorso un'apertura potenzialmente fertile di sviluppi, in quanto permette di cogliere significati nuovi ed inesplorati, proprio perchè non è circoscritta da una serie di regole convenzionali di tipo logico e razionale.

L'autore sostiene quindi l'opportunità di un atteggiamento attivo del terapeuta nella relazione col paziente, per promuovere le sue funzioni riflessive attraverso l'utilizzo di un linguaggio vivo e ricco di immagini stimolanti, per indurre nella sua mente aperture a nuovi orizzonti espressivi, in modo che l'interpretazione del curante non diventi un indottrinamento di nozioni, ma una funzione naturale ed inevitabile, quasi una riformulazione di concetti che il paziente aveva già percepito sul piano intuitivo, senza esserne cosciente razionalmente.

Utilizzando le concezioni freudiane e il successivo apporto delle teorie di Bion, Correale considera il transfert come un fattore cruciale, sia della relazione terapeutica tra paziente e curante, sia della cornice gruppale che la supporta. Coniugando, pertanto, questi elementi di derivazione psicoanalitica con una visione fenomenologica, l'autore sottolinea come esista in ogni rapporto umano, un "elemento personale" trascendente una logica razionale (al di là del determinismo biologico), che si manifesta durante il colloquio attraverso immagini simboliche ed elementi sensoriali. L'incontro con il gruppo permetterebbe quindi un significativo sviluppo di tale produzione metaforica, che può diffondersi indiscriminatamente ad ogni membro, diventando quasi una funzione poetica collettiva.

Compito del terapeuta e del gruppo sarebbe quello di affrontare ogni caso clinico sotto due punti di vista: quello relativo alla dimensione scientifica pura, basato sulla raccolta dei dati empirici, la prova e la verifica, in funzione di un'accurata diagnosi differenziale, e quello che si riferisce alla dimensione interpretativa, in cui si aspira invece alla ricerca di un senso e di un significato al disturbo del paziente.

Spiegazione e comprensione risultano così due modalità di approccio al paziente che andrebbero adeguatamente sviluppate, senza confusioni epistemologiche o subordinando una dimensione all'altra: Correale, in particolare, sottolinea il rischio che un linguaggio vivo e ricco di immagini significative, all'interno di una relazione terapeutica tra curante e paziente, venga successivamente impoverito e semplificato in termini tecnicistici e pseudoscientifici quando il terapeuta deve comunicare con il gruppo istituzionale.

In realtà, la logica dell'evidenza scientifica si rivelerebbe insufficiente ad illustrare un caso clinico nella sua complessità, se non fosse accompagnata anche da una logica "della coerenza interna", che mira allo sviluppo di un'interpretazione efficace del sintomo del paziente, secondo il suo significato simbolico, alla luce dello sviluppo storico della sua personalità (come affermato anche da Gadamer e dal circolo ermeneutico).

La supervisione del caso clinico può divenire il momento ideale in cui la funzione poetica del gruppo può sviluppare il suo potere interpretativo in modo illuminante, se condotta da un leader imparziale, esterno all'istituzione, che si trovi nella giusta distanza emotiva per contenere ed elaborare le emozioni e l'apporto dell'equipe terapeutica.

L'autore sottolinea come in ogni seduta di supervisione compaia inevitabilmente una "scena centrale", che racchiude, in un'immagine carica di significati simbolici, tutto il senso della storia clinica del paziente. Essa consiste spesso in un frammento di anamnesi o in un episodio riferito da un operatore, dal forte impatto iconico, che ha il potere di aggregare nella mente del supervisore gli altri frammenti della storia, come una sorta di cornice integrativa.

Tali scene modello hanno la caratteristica di coagulare il senso della psicopatologia del paziente, fungendo da orientamento per interpretare gli episodi successivi della sua vita ed aprendo un varco all'interno della sua area traumatica, come un improvviso frammento rivelatore. Dalla scena centrale sarebbe possibile, inoltre, ricostruire le caratteristiche della relazione fondamentale che ha strutturato la personalità del paziente (mobilitata inevitabilmente nel transfert), e ne ha segnato la vulnerabilità in specifiche situazioni conflittuali.

La dinamiche evidenziate da Correale all'interno del gruppo risentono in modo significativo dell'influsso di Bion, secondo cui pensieri frammentari e "bizzarri" impregnano l'atmosfera in cui vive ogni essere umano. Nella visione di quest'ultimo autore, influenzato da concetti di derivazione platonica, il pensiero precederebbe il pensatore: il soggetto avrebbe invece la funzione di captare questi frammenti ancora ineffabili e di esprimerli in forma discorsiva. Come afferma anche Foulkes, nei gruppi terapeutici vi sarebbe una grande proliferazione di questi pensieri migranti (eredità della storia del singolo individuo, ma anche del mondo circostante), che attendono solo di essere elaborati da un membro dell'equipe e comunicati alla collettività.

Un'adesione rigida alle teorie di derivazione psicoanalitica avrebbe come conseguenza una subordinazione del soggetto alla dimensione oggettuale, considerando il ruolo dominante svolto dall'inconscio gruppale (del quale l'individuo sarebbe solamente un passivo portavoce). Correale invece intende ricorrere ad una dimensione fenomenologica per rivendicare un'autonomia del singolo individuo, il cui contributo all'interno del gruppo sembra nascere proprio attraverso la tensione emotiva che si sviluppa tra il suo pensiero, dotato di un'intrinseca originalità, e la matrice collettiva. Questa relazione dialettica con il gruppo istituzionale può consentire, inoltre, al soggetto di suscitare discussioni, scambi di opinioni e di introdurre idee nuove, che contrastino un processo di cristallizzazione altrimenti inevitabile.

Dalla spontaneità soggettiva dei singoli membri si può sviluppare uno "stato nascente" all'interno dell'equipe terapeutica, ovvero quel momento ideale in cui si ha la sensazione di essere giunti ad un'acquisizione che segnerà la storia del gruppo, veicolata da sentimenti di entusiasmo e trepidazione. Il successivo processo di istituzionalizzazione, da un lato, avrebbe la fondamentale funzione di conservare la scoperta, dall'altro, tuttavia, comporterebbe inevitabili fenomeni di irrigidimento e semplificazione dei contenuti innovativi.

L'autore sottolinea come gli stati nascenti tendano a svilupparsi in un contesto di "gruppalità diffusa", in cui, cioè, il contributo originale di ogni singolo individuo viene riportato continuamente al gruppo, per creare un'atmosfera carica di tensione emotiva, sorgente di significati nuovi. Tale modello si contrappone alla ripetitività e alla prevedibilità che rischia spesso di caratterizzare la vita istituzionale, scandita da riunioni dominate dalle esigenze burocratiche e dalle tendenze conservative. Si aspira quindi a privilegiare la creatività dei singoli operatori e la loro tendenza a creare legami spontanei e fertili di sviluppi, senza confondere queste esigenze con comportamenti anarchici e confusivi.

La dimensione fenomenologica che ispira il testo di Correale ha senza dubbio il merito di voler sottrarre gli aspetti più profondi dell'esperienza psichica al riduzionismo biologico, consentendo un significativo salto epistemologico rispetto alle concezioni naturalistiche, che mirano, in un'ultima analisi, a ricondurre la personalità umana ad una serie di automatismi comportamentali, basati su processi fisico-chimici. Questa visione della vita psichica, come originaria problematica soggettiva, acquisisce un particolare valore nel contesto della cultura psichiatrica attuale, sempre più influenzata dal mito dell'operazionismo radicale e dalla pretesa di esaurire la complessità dell'esperienza interiore nei ristretti schemi diagnostici del DSM.

Tuttavia, il rischio nell'assumere una posizione puramente esistenzialistica potrebbe comportare la rinuncia ad inquadrare scientificamente la vita soggettiva, finendo per illuminarla settorialmente e rinviarla ad una dimensione trascendente, i cui fondamenti ultimi si ritengono empaticamente "comprensibili", ma non concettualizzabili razionalmente.

Anche dal punto di vista pratico, l'autore intende privilegiare la dimensione intuitiva, creativa e spontanea della relazione con il paziente, fondando l'attività ed il buon funzionamento del gruppo sul talento e l'inventiva dei membri. Tali capacità sarebbero forse rese ancora più funzionali ed efficaci se supportate anche da un modello teorico, che inquadrasse in modo sistematico la personalità umana, i conflitti su cui si fonda e l'originaria contraddizione del suo essere (partendo, ad esempio, dal contributo della psicopatologia di Jaspers, che unisce la sensibilità fenomenologica al rigore medico-scientifico).

Coniugando quindi le competenze psicopatologiche con la capacità di immergersi nel flusso dell'esperienza psichica del paziente, sarà possibile accompagnare quest'ultimo lungo la strada, ricca di insidie, che conduce alla sua area traumatica. Essa, da luogo di terrore e sofferenza, potrà così diventare punto di partenza per dare un senso ad un'esperienza esistenziale altrimenti oscura, vuota ed angosciante.

Gabriele Giacomini

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