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Fritjof Capra, La scienza della vita. Le connessioni nascoste fra la natura e gli esseri viventi, Rizzoli, Milano 2002, pp. 429, Euro 19,50

Dopo il best-seller Il Tao della fisica, che era soprattutto un tentativo di avvicinamento "umano" alla scienza, Capra ha dedicato alla sua utopia ecologica altri saggi in cui la nobiltà delle intenzioni non era sempre sostenuta da una sufficiente chiarezza di proposizioni operative e di obiettivi.

In questo libro la sua proposta è più puntuale e credibile, poiché cerca di integrare in un orizzonte concettuale unificato la dimensione biologica, quella cognitiva e quella sociale della vita secondo una prospettiva sistemica.

La prima parte del libro è una sintesi lucida ed elegante delle conoscenze relative alla natura della vita, a mente e coscienza, alla realtà sociale. La seconda parte riguarda le sfide del secolo presente riguardanti le organizzazioni e le reti del capitalismo globale, la sfida biotecnologia e la possibilità, o meglio la necessità, di cambiare le regole del gioco per rimodellare la globalizzazione cercando un punto di equilibrio tra sviluppo ed ecostabilità. Il suo discorso sembra alieno da ideologismi e dotato di un’accattivante e molto credibile concretezza.

Patrtendo dal tentativo di definire la vita, Capra s’interroga sui fondamenti dell’identità cellulare discutendo in termini di matematica della complessità, ovvero di dinamica non lineare i caratteri auto-organizzativi delle biomolecole. Nelle cellule si possono individuare due tipi di reti e cioè una "rete metabolica" che collega i nutrienti ai metaboliti cellulari e una "rete epigenetica" relativa alla produzione delle macromolecole. Questa prospettiva si contrappone radicalmente a quella del determinismo genetico poiché la produzione di nuove cellule non dipende solo dalla funzione e dalla struttura del DNA, ma coinvolge l’intera rete autopoietica cellulare e le sue interconnessioni con l’ambiente esterno.

Capra ripercorre il cammino dell’evoluzione molecolare prebiotica descrivendo la formazione delle membrane cellulari a partire da molecole fosfolipidiche anfifiliche (e non come incorrettamente affermato "sostanze grasse e oleose", ma Capra non è un biochimico). Dalle membrane nasce l’organizzazione delle protocellule e quella delle reti catalitiche di trasformazione dei metabolici e della produzione di energia che da forme primitive di vita si evolvono e si sviluppano utilizzando meccanismi di mutazione, scambio di geni e simbiosi.

La capacità dei viventi di esprimere una mente e una coscienza viene affrontata a partire dalla visione sistemica cui hanno contribuito, tra gli altri, Gregory Bateson, Humberto Maturana e Francisco Varela, che hanno identificato il processo della cognizione con il processo della vita.

Il dualismo cartesiano viene così superato e la mente non viene identificata come una cosa, ma piuttosto come un processo che richiede l’intera struttura di un organismo, indipendentemente dal fatto che esso abbia o no un cervello. La cognizione non corrisponde così con la semplice rappresentazione di un mondo che esiste indipendentemente dal soggetto, ma come continuo processo in cui, attraverso la vita, il mondo viene fatto emergere.

Capra passa in rassegna le diverse teorie e proposte attuali sulla natura della coscienza, da quella riduzionista della Churchland e di Crick, a quella neurofenomenologica della scuola cilena, da quella denominata "del nucleo dinamico" di Edelman e Tononi, a quella basata su "assembramenti di cellule neurali in risonanza" di Varela. Quest’ultime sostengono in particolare l’interdipendenza tra neurofisiologia ed esperienza, cercando di superare la visione rigidamente riduzionista di quelli per cui esiste solo la neurofisiologia.

La dimensione sociale della coscienza viene quindi collegata alle relazioni tra autocoscienza, pensiero concettuale e linguaggio simbolico, che suggeriscono il concetto di "mente incarnata", cioè di una coscienza strutturalmente regolata dalla nostra natura fisica e dall’esperienza corporea. La sintesi tentata da Capra si basa sulla distinzione tra una "prospettiva dello schema" e una "prospettiva della struttura" all’interno dei sistemi viventi. Questi ultimi, visti come strutture dissipative nel senso della termodinamica di Prigogine, sviluppano i processi cognitivi come espressione delle capacità autopoietiche collegate alla loro natura di rete (forma) di reazioni chimiche (processo) che producono i componenti cellulari (materia) e infine di significato che esprime il carattere mentale dei fenomeni sociali e cioè delle interconnessioni tra individui.

Le reti di comunicazioni su cui si basa la dimensione sociale hanno proprietà autogenerative e producono un insieme di relazioni da cui emerge la dinamica della cultura, il potere politico e la realtà della tecnologia.

La seconda parte del libro si apre con un’analisi dell’esistenza e della leadership delle organizzazioni sociali e passa a definire le reti del capitalismo globale alla luce delle tecnologie informatiche che hanno prodotto la New Economy. Il mercato globale viene descritto come un automa la cui logica (perversa) non coincide con quella delle tradizionali regole di mercato e che produce un sempre crescente arricchimento dei paesi sviluppati e un sempre crescente impoverimento di quelli sottosviluppati. Le dinamiche in gioco riguardano così il flusso di risorse e di capitali che va verso i paesi ricchi e il flusso di rifiuti inquinanti che va in direzione opposta.

L’esame dell’impatto delle biotecnologie su ambiente e cultura viene quindi portato avanti considerando lo sviluppo dell’ingegneria genetica, le tecniche di clonazione, la cosiddetta Rivoluzione Verde, le sorgenti di energia e l’eticità di tutto questo alla luce del fatto che tutte le innovazioni sono state fin qui guidate dal solo criterio del profitto. I rischi biotecnologici sono quindi raffrontati con un’alternativa ecologica basata su coltivazioni organiche e fonti di energia alternativa, con una proposta forte e concreta di cambiamento delle regole del gioco che permette di progettare la globalizzazione eliminando o attenuandone gli effetti negativi.

Questo libro è un nobile tentativo di fornire agli oppositori della globalizzazione, il cosiddetto popolo di Seattle, un’alternativa al velleitarismo fumoso che insidia la loro così come ogni altra utopia. Proprio perché la globalizzazione è un risultato del progresso tecnologico-scientifico e dell’industrializzazione, Capra propone le coordinate razionali e i presupposti scientifici che possono giustificare le idee di sviluppo sostenibile, di riduzione dell’inquinamento e di umanizzazione di un sistema che deve abbandonare la logica del solo profitto per salvaguardarsi da possibili catastrofi.

LAURO GALZIGNA

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