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"CAOS CALMO", 2008 di Antonello Grimaldi, con Nanni Moretti di Rosella Valdrè

 

 

"Io canto per consumare l’attesa,

Allacciarmi la cuffia
chiudere la porta di casa –
non ho altro da fare"
(Emily Dickinson)

Se non si sapesse che la regia e’ ad opera di Antonello Grimaldi, "Caos calmo" ci sembrerebbe a pieno titolo un film di Nanni Moretti. Sue sono le angolature, le pause, lo stile delle frasi monche e reiterate, insomma l’atmosfera complessiva del film, senza alcuna sbavatura. Non credo che questo si spieghi solo col fatto che Moretti ha preso parte alla sceneggiatura, cosa che senz’altro conta, ma piuttosto sembra uno di quei felici casi in cui l’interprete riesce, grazie allo spessore della sua personalita’ aritistica, a soggettivare completamente la vicenda e il personaggio su di’ se’, sicche’ alla fine, di "Caos calmo" ci dimentichiamo che e’ tratto dal romanzo di un altro e che ha la regia di un altro, risultando del tutto aderente alla poetica di Moretti.

Non ho letto il romanzo di Veronesi, se non in qualche stralcio qua e la’, ma il Pietro Palladini morettiano non credo ricalchi esattamente il protagonista del libro, e poco importa, anzi. Perche’ il Pietro del film e’ un soggetto sofferente e stupito del tutto coerente con quello de "La stanza del figlio", o de "La seconda volta", per citare due esempi tra gli altri.

La trama e’ semplice. Pietro e’ un manager romano di successo a cui un giorno, improvvisamente per una caduta in terrazzo, muore la moglie, mentre lui si trova alla casa al mare con lo scanzonato fratello e, sempre accidentalmente, si ritrova a salvare una donna da un possibile annegamento. Quando arriva a casa, la tragedia e’ avvenuta. Per voce della figlia di sei anni, Claudia. un immediate senso di colpa: mentre la moglie moriva, lui era altrove, e salvava la vita ad una sconosciuta.

La ripresa del lavoro, che attraversa una delicata stagione di fusioni e di perdite, gli e’ difficile, si sente come estraniato, privo di interesse.. Accompagna la figlia Claudia al primo giorno di scuola elementare e da li’, tutti i giorni fino a Natale, si siedera’ sulla panchina di fronte alla scuola ad aspettare.

"Caos calmo" e’ dunque la storia dell’elaborazione di un lutto che avviene nello spazio improvvisato dell’attesa. In quest’attesa, dentro giornate apparentemente tutte uguali, Pietro non e’ pero’ un soggetto passivo, non assistiamo alla deriva malinconica di un barbone; al contrario, e’ piu’ attivo che mai. Organizza tacitamente il suo spazio-panchina come un luogo attivo di incontri, reincontri, sguardi, amicizie, pensieri, decisioni. Sono gli altri ad andare da lui per parlare di affari (i colleghi), di drammi personali (la cognata), di chiarimenti e scoperte (il fratello, la donna dall’annegamento casualmente ritrovata). Un piccolo mondo privato si sposta, si trasferirsce dalle abitazioni e dagli uffici al piccolo parco con bar davanti alla scuola, uno spazio che via via Pietro abita e governa e adatta a se’, alla sua personale attesa, fino a che il lutto trovi una sua fine e un suo sbocco.

Si pensa comunenmente che se si sta fermi non si e’ attivi.

I pazienti, quando si lamentano della loro apparente inattivita’, ci dicono che devono "fare, fare, reagire". E’ faticoso a volte, e ci sentiamo impotenti e non capiti quando cerchiamo di convicerli, pur coi nostri mezzi analitici, che il tempo dell’attesa e’ un tempo vivo, ricco, che il lavoro del lutto non ha bisogno di grandi maratone o sceneggiate o ‘reazioni’ qualsivoglia, perche’ il processo e’ gia’ del tutto attivo dentro di noi, che il lavoro del lutto e’ appunto un lavoro, non ci lascia molta energia per fare altro.

Ci sono molti modi per organizzarci il nostro lavoro del lutto. Ne "La stanza del figlio" la coppia passa attraverso la rabbia e l’incolparsi reciproco, poi intraprende un viaggio di scoperta; nel bellissimo "Sotto la sabbia" di Ozon, una vedova allucina la presenza del marito morto (suicida, si scoprira’), rendendo la perdita come non avvenuta. Il Pietro di "Caos calmo" inscena una sorta di inconscia rappresentazione del lavoro del lutto ritagliandosi uno spazio dove l’attesa e la rimuginazione ossessiva possano avvenire al di fuori dei contesti dati, quotidiani e usuali.

Nei suoi Frammenti di un discorso amoroso, Roland Barthes scrive dell’attesa: "L’Attesa e’ un incantesimo: io ho avuto l’ordine di non muovermi. L’attesa di una telefonata si va cosi’ intessendo di una rete di piccoli divieti, all’infinito, fino alla vergogna; proibisico a me stesso di uscire dalla stanza, di andare al gabinetto, addirittura di telefonare; per la stessa ragione, io soffro se qualcuno mi telefona; l’idea che di li’ a poco dovro’ uscire (….) Tutti questi diversivi sono dei momenti perduti per l’attesa, delle impurita’ d’angoscia, poiche’ nella sua purezza, l’angoscia dell’attesa esige che io me ne stia seduto in una poltrona con il telefono a portata di mano, senza far niente"

Forse l’attesa amorosa e quella del lavoro del lutto hanno qualcosa in comune….

Trovo sia un merito del film, forse il maggiore, non avere affidato ad un Io narrante letterario il racconto della vicenda interiore di Pietro, perdendo cosi’ certo qualcosa del testo orginario, ma affidando quasi esclusivamente alle immagini il tessuto emotivo della storia interiore.. I dialoghi sono pochi, scarni, poco profondi, non e’ un film ‘parlato’ sebbene tratto da un romanzo, ma le immagini parlano, le sentiamo chiaramente, la voce interna di Pietro e’ affidata all’espressivita’ matura e piena di Moretti che, come detto, integra e adatta perfettamente il personaggio a se’.

Pietro sembra un uomo non particolare: tende ad evitare le tensioni forti e i conflitti (sviene alla riunione genitori, si sottrae), cancella le mail che potrebbero condurlo sulla possibile pista di un amante della moglie, sa pero’ essere un buon amico, sa osservare i dettagli affettivi della realta’ (il bimbo handiccapato che incontra ogni giorno), non si pone domande a cui non sa rispondere (amava la moglie, e lei lo amava?). Si sottrae alle memorie e alle consapevolezze troppo dolorese, ma non evita, non puo’ evitare quello accade nell’Attesa, in lui.

Qualche critico, ha parlato di ‘pausa’. A me pare che Pietro non si fermi, non stacchi la spina; solo che il suo movimento, il suo caos, si trasferisce completamento all’interno, dentro la sua mente, questo caos calmo, non agitato, fatto di non muoversi, come dice Roland Barthes. Quanto movimento in questo star fermi, persino apparentemente immobili!

Forse la parte meno riuscita del film, almeno nel finale, e’ affidata alla piccola Claudia: tocchera’ a lei il compito di assolvere il padre dal prolungarsi del lutto, e anche dalla colpa di non esserci stato mentre la madre moriva. Sara’ lei a lasciarlo andare, a dirgli di non venire piu’ davanti alla scuola perche’ i compagni la prendono in giro. Esigenze di realta’, lo sappiamo, la forza del principio di realta’ ci impedisce di trascinare i nostri lutti oltre tempo. Se non vi riusciamo, e’ la depressione. Se il conflitto di amore e odio dentro di noi non si arresta e le accuse verso la persona perduta si ritorcono verso di noi, e’ la malinconia. Lo sappiamo, lo vediamo ogni giorno.

Claudia e suoi compagnetti ("sai come sanno essere cattivi i bambini"), rappresentano un impietoso senso del reale che chiude l’attesa di Pietro, fa calare il sipario sul suo lutto e apre persino ad un possibile nuovo amore (la bella ragazza che tutti i giorni passa col cane e che da tempo guarda gelosa i suoi incontri).

Nonostante questo relativo happy end, "Caos calmo" e’ un film intelligente e, soprattutto, umano. Come e’ nello stile di Moretti, le case sono prive di televisori, abitate solo dalle persone e dai loro tentativi di comunicare, il ricordo non e’ enfatico o idealizzante, ma schiacciato in una sorta di banalita’ del quotidiano, dell’oggi, che preserva alla memoria solo la sensazione, e l’Altro e’ qualcuno di cui conosciamo poco o niente. Chi era sua moglie, per Pietro? Elenca nel suo rimugianre ossessivo le cose "che non sapevo di lei", e si accorge sono molte; la donna salvata dall’annegamento scopre, solo in questa occasione, che il marito l’avrebbe lasciata morire. L’Altro e’ qualcuno che ci vuole uccidere, e non lo sappiamo, o che semplicemente consultava i maghi per conoscere il destino, e della cui completa alterita’ ci accorgiamo solo casualmente, accidentalmente, o quando lo perdiamo.

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Il tema del rapporto tra Cinema e psiche è molto intrigante sia sul versante specifico della rappresentazione sia sul versante della interpretazione dell'arte cinematografica. Come redazione anche alla luce della sempre maggiore concentrazione dei media saremmo lieti che questa sezione si sviluppasse in maniera significativa e in questa logica contiamo sulla collaborazione dei lettori da cui ci aspettiamo suggerimenti ma soprattutto collaborazione.

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