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La regressione terapeutica e la funzione materna

Un ambiente è terapeutico se consente ai pazienti di esprimere le parti infantili e regredite, se consente loro di abbandonare gradualmente le difese del falso Sé adulto per cominciare a contattare un Sé regredito ma vero, cioè una parte bisognosa spaventata e ostile che tenta, anche se in modo ambivalente, di affidarsi alle cure del suo operatore.
Infatti una parte consistente della personalità del paziente è scissa e regredita ai primi anni di vita a causa del fatto che egli ha introiettato un ambiente “segretamente” negante la sua esistenza o alcuni diritti necessari alla sua crescita ( diritto al bisogno, diritto al rispetto, diritto al sostegno, alla autonomia, etc. ); per tale ragione egli inconsciamente continua a negare e odiare il suo Io regredito, così mantenendo la scissione.
Allora è importante riuscire a creare un ambiente terapeutico, una funzione materna che, contenendo la negazione ostile e autodistruttiva continuamente agita dal paziente, sia capace di accogliere e di proteggere il suo Io regredito, spaventato e sofferente ( anche quando nega il malessere ) e di rispondere al suo bisogno di attenzioni e di cure materne ( anche quando si mostra autarchico o attacca il legame con l'operatore ).
Alcuni gruppi espressivi, come quelli di Contatto o di Danza Terapia, possono incoraggiare la relazione madre-bambino tra operatore e assistito e facilitare l'acquisizione di un'adeguata cultura terapeutica. Anche la divisione della Comunità in piccoli gruppi-famiglia, con piccole equipes in grado di assicurare la continuità terapeutica, possono offrire ai pazienti dei rapporti maggiormente protetti e privati, dove rivivere, modificare e riparare l'ambiente primario introiettato. Ma la funzione materna della Comunità, passa soprattutto attraverso il lavoro dell'operatore che consiste:
* nel Maternage, cioè nel contatto e nelle cure materne ( la cura del corpo,delle sue cose, della sua stanza, etc. )
* nel saper ascoltare il paziente e comprendere il linguaggio primario con il quale spesso si esprime;
* nel saper recuperare la fiducia dopo gli attacchi al legame, i tradimenti al rapporto, il disconoscimento del bisogno e la negazione della dipendenza.
Affinchè la Comunità svolga questa fondamentale funzione materna, è necessario creare e mantenere il clima familiare ed affettivo di una casa, tutt'altro che facile da realizzare data la distruttività che sovente caratterizza la malattia mentale. Gli operatori devono fare molta attenzione a preservare il setting, cioè la funzione paterna della Comunità, perché serve a contenere l'onnipotenza e la distruttività.
Quando gli operatori sono eccessivamente permissivi, non rispetto ai bisogni dei pazienti, ma alla loro onnipotenza, o quando essi stessi la agiscono non rispettando i confini, l'ambiente familiare e affettivo, necessario alla terapia, si deteriora rapidamente; la casa diventa un'istituzione manicomiale, un ambiente freddo e persecutorio, che spinge tutti i partecipanti a isolarsi, a fuggire da ogni relazione, a rifugiarsi in una regressione patologica che può sfociare in una o più crisi psicotiche.
Bisogna infatti distinguere tra una regressione benigna, durante la quale il paziente incontra, per così dire, una “madre buona, cosa estremamente terapeutica perché consente al paziente di contattare il suo vero Sé e una regressione distruttiva o psicotica, in cui sperimenta una “madre cattiva” e l'odio che ha per lei; ciò lo spinge a distruggere ulteriormente il suo mondo interno.
Poiché, come s'è detto, la madre cattiva e odiata è stata introiettata dal paziente, egli tende a riviverla ed a proiettarla inconsciamente. Pertanto la regressione terapeutica è un processo che può richiedere un lungo lavoro di preparazione, prima che il paziente riesca a superare la paura, la diffidenza, la persecuzione.
A questo modello di Comunità come luogo di regressione terapeutica, capace di svolgere funzioni tipicamente materne, si contrappongono due modelli, secondo noi, patologici.
-Il primo modello è quello che non prevede una funzione materna; i suoi fautori sostengono in sostanza che la regressione non è mai terapeutica, che un ambiente familiare e la continuità terapeutica generano dipendenza nel paziente; che la Comunità non deve essere un' “isola felice” perché ciò lo aiuterebbe ad isolarsi; che il ricovero deve durare al massimo sei mesi, per evitare che il paziente appunto regredisca e si cronicizzi.
Questo modo di pensare, che nasconde proprio la paura della madre cattiva e della dipendenza da lei, propone in sostanza un modello patologico di Comunità dove è negata l'importanza della funzione materna, dove i pazienti sono confermati nel loro falso Sé conformista e ignorati nel vero Sé regredito, dove devono fingersi adulti e forti per negare la dipendenza e i bisogni, essere un po' maniacali e onnipotenti, magari accanirsi contro la parte debole di sé e dei compagni, come in caserma; così che le regressioni, benchè negate, si verificheranno lo stesso, e non essendo accettate dallo staff, saranno solo di natura psicotica e autodistruttiva.
-Un secondo modello patologico di Comunità è, a nostro parere, quello in cui viene apparentemente ammessa la regressione, ma si fa confusione tra diverse e opposte esperienze, nella convinzione illusoria che anche le regressioni psicotiche e distruttive abbiano, dialetticamente, una funzione terapeutica. Esse perciò non perevedono delle condizioni ambientali favorevoli ad una regressione benigna; non prevedono operatori con adeguata conoscenza ed esperienza analitica, in grado di accogliere il sé regredito dei pazienti, né un lavoro preliminare di contenimento dell'onnipotenza e di costruzione del legame e della fiducia. Questi teorici della regressione psicotica, sono di fatto promotori della distruzione del mondo interno del paziente, che invece di incontrare una madre buona incontra una madre cattiva e il proprio odio scisso e persecutorio.
Alcuni autori ritengono che la democrazia, la libertà e il permissivismo facciano parte della funzione materna della Comunità e che questa sia necessariamente in conflitto con la funzione paterna delle regole e della autorità; ritengono anzi che questo conflitto consenta lo sviluppo dell'Io e sia pertanto terapeutico. La nostra esperienza ci fa ritenere il contrario. Secondo noi la funzione materna consiste nell'accogliere i bisogni negati del paziente, non quella di lasciarlo soltanto delirare “liberamente” e razzolare in Comunità o per il quartiere.
Può essere svolta solo se è forte la funzione paterna, perché solo se è contenuta l'ansia, l'onnipotenza e la distruttività, si può accedere al Sé infantile, bisognoso, sofferente e negato del paziente; d'altro canto è possibile conservare la funzione paterna della Comunità solo se l'operatore ha stabilito un legame affettivo con il paziente, perché solo così egli è disposto a seguirlo, a rispettare il setting ed a partecipare ai programmi della Comunità. A conferma di quanto sopra, nella Comunità Majeusis si registra una partecipazione quasi totale ( in media del 90% ) degli assistiti a tutte le attività di programma, anche nei gruppi allargati ( 25 persone ), espressivi e analitici.

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