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Michele Bracco

Sulla distanza. L'esperienza della vicinanza e della lontananza nelle relazioni umane

con uno scritto di Lorenzo Calvi

Stilo, Bari 2001, pp. 124, # 10.000

di Federico Leoni

 

 

Michele Bracco è l’autore di un piccolo, prezioso libro da poco uscito per le edizioni Stilo di Bari e intitolato Sulla distanza. L’esperienza della vicinanza e della lontananza nelle relazioni umane. Piccolo e prezioso, perché offre al lettore, nel volgere di un centinaio di pagine, un’agile presentazione e un equilibrato bilancio del lavoro svolto intorno al tema dello spazio vissuto dalle scienze umane, dalla filosofia, dalla psicologia e psicopatologia fenomenologiche.

Dire spazio vissuto, tuttavia, è impreciso e insufficiente rispetto al percorso e alle convincenti conclusioni del libro di Bracco. Esso si apre, infatti, con una accurata ricognizione delle ricerche che sulla spazialità sono state condotte nell’ultimo trentennio in chiave antropologico-sociologica: quale sia la giusta distanza a cui gli uomini di diverse culture si situano, gli uni rispetto agli altri, a seconda delle diverse situazioni; quale sia la portata della sfera di agio entro cui noi stessi amiamo o tolleriamo o soffriamo la presenza dell’altro; quale soglia di prossimità segni il passaggio ad una relazione più intima, di cui, a loro modo, la carezza o lo schiaffo a pari titolo testimoniano.

Tuttavia, allo sguardo della fenomenologia, tratteggiare questo suggestivo panorama antropologico, svolgere con cura questo necessario esercizio di relativismo — che, solo, può peraltro mostrare preliminarmente l’insufficienza dell’abituale nozione obiettiva e geometrica di spazio — non basta. La fenomenologia domanderà ancora, infatti, l’essenza di quel fenomeno spaziale di cui si sono additate tali e tante sfumature possibili, interrogherà il segreto eidetico della distanza, per dire così, e della prossimità in quanto tali. Si dipartono così, in queste pagine Sulla distanza, due sentieri distinti e complementari. L’uno si orienta, e ci orienta, attraverso il vasto territorio della fenomenologia dello spazio vissuto appunto, dello spazio soggettivo: di quello spazio, cioè, che il soggetto incontra immediatamente e che, altrettanto immediatamente, il soggetto è. L’altro studia, al limitare estremo dell’esperienza e della vita del soggetto, nelle penombre della psicopatologia, le mutevoli fisionomie di una spazialità dilaniata dal delirio e dall’allucinazione, dalla melanconia e dalla schizofrenia.

Quello che qui si incontra è, allo stesso tempo, l’esperienza di uno spazio senza soggetto e di un soggetto senza spazio. Dice bene, Bracco, quando, riflettendo sul volto delle "cose" divenute indecifrabili e straniere, ad esempio nell’esperienza di una schizofrenia, osserva che esse non sono più le cose cui siamo abituati, non sono più quelle cose, cioè, che il linguaggio dice "oggetti": etimologicamente, elementi "gettati di contro", dunque situati a distanza, dunque più o meno sovranamente padroneggiabili da parte di chi li fronteggia.

L’implosione della distanza cui qui si assiste, l’annullarsi di quel "gioco" che consente il protrarsi e il ritrarsi dell’io e del mondo l’uno verso l’altro, l’uno grazie all’altro, l’uno nella sua differenza dall’altro, conosce infatti, qui, il suo grado zero. Nulla è più ob-jectum. Non c’è distanza. (Oppure — come non pensare anche questo rovesciamento? — proprio ora tutto diviene integralmente e implacabilmente oggetto. Non più "cosa" che l’io tenga a distanza, liberandosene e, al tempo stesso, liberando la propria possibilità di soggetto, ma irrimediabile incombenza, peso opaco che mi si scaglia contro, che mi aggredisce, che mi annulla.)

Che sia questo vissuto invivibile, questo spazio inabitabile il segreto cui la fenomenologia dello spazio conduce? La distanza sarebbe, allora, spazio originario, non ancora e propriamente qualcosa di vissuto o di inerente al vissuto, ma irruzione primordiale dell’esperienza, sua inaugurazione, sua iniziale lacerazione e accadimento in assenza.

Dopo un intermezzo, infatti, gradevole per la creatività con cui Bachtin, Rabelais, Binswanger vengono convocati e intrecciati sulla scena del discorso, conducendo lo sguardo a soffermarsi sui meccanismi attraverso cui ogni "cosa" del mondo si costituisce come quella cosa che è, tutt’uno con la rete di relazioni, provenienze, destinazioni entro cui essa è incontrata, è la voce di Emmanuel Lévinas ad accompagnare Bracco nella direzione cui si è fatto cenno. I temi del volto, dell’evento incommensurabile e inconcepibile dell’irruzione dell’altro sembrano suggerire proprio la percorribilità di queste tracce, in cerca di un pensiero capace di fare fenomenologia e di leggere il patrimonio della psicologia e della psicopatologia — di cui Lorenzo Calvi, in un breve e intenso scritto che chiude il volume, offre un’autorevole testimonianza — al di là del gorgo di quello psicologismo soggettivistico che tanto spesso l’ha tentata.

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