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Il Sig. DONATO BILANCIA

1 - Esame psichico

2 - La storia della persona: sviluppo e iter successivo

3 - Considerazioni diagnostiche - Struttura e dinamica profonda della personalità

4 - Natura e significato dei comportamenti anomali

5 - Osservazioni conclusive

6 - Bibliografia

7 - Elenco di riferimento

 

2- La storia della persona: sviluppo e iter successivo

I dati che si hanno sui precedenti fisiologici e patologici sono pochi ma rilevanti per comprendere la persona. Sul problema dei familiari dovremo specificamente tornare.

La nascita sembra, in assenza di diverse notizie, essere stata regolare nè sembra vi sia stato nulla di rilevante nei primi tempi dello sviluppo, ove si eccettui un disturbo asmatico in tenera età. Il punto più importante è che, almeno fino alla prima adolescenza (sui 10-11 anni) soffrì di enuresi notturna, che causò rilevanti problemi di ordine psicologico. Frequentò le scuole elementari con un discreto profitto, dimostrando prontezza e buon livello intellettivo, profitto che divenne problematico, nella scuola secondaria (frequentata fino alla terza media) per il comparire di una serie di irregolarità della condotta, che resero in qualche modo inciampata e caotica la carriera scolastica, segnatamente in seconda e terza media.

Fece il servizio militare in età regolare, e qui trovò il modo di accorciarlo, dopo un breve ricovero all'ospedale di Sturla, facendosi registrare, egli dice, come "forza assente ".

Gran fumatore da un'età precoce, ebbe a soffrire di un disturbo laringeo (probabilmente una laringite ipertrofica) che gli diede una serie di disturbi e gli arrochì fortemente la voce, cosa che agli inizi fu in qualche modo a lui gradita per il modello più autorevole e virile a cui si conformava, ma che in seguito rese necessari due interventi chirurgici otorinolaringoiatrici (uno a Genova due anni fa ed uno precedentemente in Svizzera). Ad un certo punto si rese imperiosa l'esigenza di smettere di fumare, per cui egli seguì una serie di metodi di smoke aversion, tra cui anche una serie di sedute psicoterapiche specifiche, pare, in Svizzera, con nessun risultato positivo. Ebbe a subire due grandi traumi automobilistici: la prima volta nel 1972 quando precipitò con un camion da un viadotto autostradale producendosi gravi fratture multiple (tra cui il bacino), e rimanendo in coma per parecchi giorni. Fu ricoverato all'ospedale di S. Martino. La seconda volta nel 1990 quando la macchina su cui viaggiava, non guidata da lui, s'infranse contro un palo in Corso Aurelio Saffi: anche in questa circostanza andò in coma pare per parecchie ore ed ebbe una frattura del femore con un gesso d'anca, per cui camminò per mesi con un supporto.

Sul piano psichico, il signor Bilancia non ebbe mai, propriamente, ad una accurata indagine anamnestica, a soffrire di disturbi specifici, nosologicamente inquadrabili: non episodi propriamente psicotici di nessun tipo, nel senso di episodi deliranti-allucinatori, o propriamente episodi melancolici o bipolari, nè precisi sintomi neurotici: in verità, ebbe momenti depressivi rilevanti, ma del tutto connessi con situazioni di trascinabilità reattiva e legati ad eventi di grande entità (come il suicidio-omicidio del fratello col nipotino, o le situazioni di vissuto di tradimento e di sfiducia, o le occasioni di grave isolamento). La componente emotiva e fortemente disturbata non è connessa nel passato ad una forma psicopatologica nosograficamente definita, ma ad una complessa struttura di personalità che tratteremo a parte, e che assorbe anche le componenti ansiose, di tensione irritabile, di disforia, e glia spetti di idea prevalente e di ossessività che caratterizzano i suoi atteggiamenti mentali. Ebbe, alcuni anni fa, una esperienza psicoterapeutica cui si rivolse consigliato per i suoi problemi di irrequietezza e particolarmente per il problema del gambling (una ventina di sedute 4 o 5 anni fa). Nato 47 anni fa in un piccolo centro della provincia di Potenza, la sua famiglia si trasferì presto in Piemonte e poi in Liguria, quando il paziente aveva 4/5 anni (soffriva allora d'asma, come il fratello), tanto che egli si considera genovese e così appare dal suo accento e dal disinvolto e competente uso che può fare del dialetto: la sua famiglia mantenne sempre legami col paese d'origine, e la sua infanzia e forse adolescenza è costellata di viaggi al paese, con visite ai parenti, causa di notevoli conflitti e d'irritabilità marcata con sentimenti d'intolleranza imprecante.

I conflitti familiari devono essere stati, dal suo racconto, rilevanti. L'ambiente in cui nacque ed in cui crebbe era fortemente condizionato da un padre che egli ha sempre vissuto come egocentrico, scostante, autoritario fuori luogo e disinteressato. A sua volta, la madre è sempre stata vista come persona dipendente, sottomessa e quasi un prolungamento inerte ed un automa rispetto ai desideri ed alle direttive del padre (a suo parere, una classica educazione femminile di dipendenza di una famiglia meridionale).Non che i genitori non si occupassero materialmente di lui, ma era in realtà l'unica cosa che facevano. Esprime molto genuinamente verso la sua giovinezza ed i rapporti con la sua famiglia un vissuto amaro, di isolamento e di scostante disinteresse, di lontananza fredda, nonostante il suo continuo bisogno anaclitico, di concreto appoggio, che tuttora perdurerebbe, se solo fosse possibile. Narra con molta efficacia i rapporti con i genitori, mimando col telefono che si trova nella stanza la telefonata quotidiana serale che egli ha sempre fatto ai genitori, che non è mai riuscito a portare al di là di una imbarazzata comunicazione di dati concreti (" hai mangiato, si; come state, bene; come sta la mamma, bene, o ha mal di stomaco "), senza mai riuscire ad essere contenuto e compreso più intimamente."Una telefonata al giorno, per vent'anni, per vent'anni, vent'anni così!...)."Per loro, bastava mettere la minestra a tavola " e tutto finiva lì: l'aggressività emozionale, il senso di frustrazione, il risentimento verso il padre e, secondariamente, verso la madre sono vissuti e presentati con molta intensità, e "il non gli importava nulla " riferentesi al padre è espresso con un linguaggio molto più colorato e sconveniente. Il disprezzo e l'odio verso un padre, ricercato e aborrito insieme, si evidenzia nella sua descrizione ("era uno che faceva a gare a chi scoreggiava più forte ", "si sentiva orgoglioso perché aveva comprato la seicento di m.... del suo capoufficio da quattro soldi ") che rende ragione di un grande deterioramento del super-Io e dell'ideale dell'Io, attraverso l'acquisizione di modelli di identificazione deteriorati. Ma nel rapporto col padre alberga anche un risentimento, un rancore ed un odio anche più profondo, connesso al sentimento di frustrazione, di lesione e ferita narcisistica, di vergogna e di danno subito, che si delinea bene in alcuni episodi del suo racconto: nei viaggi di ritorno al paese, quando lui era bambino, quando vi faceva il giro a salutare i parenti (i termini con cui vengono definiti questi sono "giri di m....", e vogliamo notare che questa terminologia è specifica per questi episodi della vita, perché di solito il signor Bilancia non ha un modo di parlare scatologico), il padre soleva denudarlo per mostrare il suo pene a tre cugine zitelle, episodio di cui ancora oggi si sente profondamente ferito ed angosciato, e che pone all'origine delle sue turbe sessuali. Ancora, fino ad undici anni e forse oltre sofferse d'enuresi, ed egli, con molta amarezza e risentimento, riporta come mai il padre seppe far altro che deriderlo e rimproverarlo, aumentando la sua umiliazione, senza mai occuparsi di farlo vedere ad un medico, nonostante lavorasse come impiegato all'Inam, e fosse quindi circondato da medici. L'esposizione, al mattino, alla finestra o nel ballatoio dei materassi umidi, per farli asciugare, fatto sconsideratamente dalla madre, faceva diventare più cocente il suo senso di umiliazione e di vergogna, ed alimenta ancor oggi il suo rancore profondo e la ferita narcisistica.

Ciò che non potè mai tollerare, e che fu causa allora come adesso d'intense rimuginazioni e di profondo dolore rancoroso, fu il sentimento che egli ebbe di essere messo da parte, considerato secondariamente rispetto al fratello che lo precedeva di un anno e mezzo. Questa curiosa, inusuale, ma intensissima gelosia di secondogenito si approfondiva quando egli constatava, o credeva di constatare, le preferenze fatte dalla mamma al fratello, la porzione migliore, il piatto più buono, le cose più valutate, date al fratello e negate a lui. Come si vede, una profonda offesa, una intensa emozione negativa, un grande senso di defraudamento e di privazione umiliante si andavano delineando.

La sua autonomia da casa venne definendosi parallelamente all'atteggiamento trasgressivo. Dopo le elementari, alle medie, si formava in lui un comportamento antisociale, dal salto delle lezioni, al furto nelle tasche dei cappotti appesi a scuola negli attaccapanni, a furti nelle macchine e così via, fino a confermarsi e strutturarsi in modo preciso il mestiere del ladro.

In tutto questo periodo, dall'autonomia personale fino ad oggi, non riuscì mai a superare il sentimento di solitudine: vivere stabilmente con una donna era per lui impossibile, per l'inquietudine, la scontentezza, e la labilità dei rapporti che stabiliva. Solo una volta ebbe un rapporto più stabile, anche se non di convivenza, con una ragazza a cui "a suo modo " voleva bene, ma fu abbandonato per intervento della cognata, che consigliò alla ragazza di lasciarlo in un periodo in cui egli era in prigione in Francia. Questo episodio è vissuto ancor oggi con intenso dolore e profondo rancore verso la cognata.

Col fratello tentò un rapporto. Fino a vivere per un breve tempo con lui, sposato con una architetto, con un figlio: anzi è probabile che verso questo nipotino egli avesse un certo livello di identificazione, tanto che un giorno tentò di porre in discussione con suo fratello le sue modalità educative e di rapporto verso il figlio (non a torto, diremmo, considerate anomale). Ma non riusciva a comunicare col fratello, così come non era riuscito coi genitori e ad un tentativo di entrare in una discussione di questo tipo, il fratello, ombroso, lo invitò a "farsi i c..... suoi ". Per l'ennesima volta ferito, offeso, umiliato nelle sue istanze di importare qualcosa per i familiari e sentendosi trattare ingiustamente, se ne andò dalla casa del fratello e non tornò più, serbando, come si diceva, sentimenti di rancore e di disprezzo verso la cognata. In questa situazione si può comprendere il vissuto di profonda angoscia, non privo di venature colpevoli, per quel che accadde nel 1982. In quell'anno il fratello, che anch'egli, a parere del sig. Bilancia, con gravi difficoltà di comunicazioni in famiglia, aggravate da profondi dissapori con la moglie, si suicidò gettandosi sotto il treno col piccolo bimbo in braccio.

Le modalità della comunicazione datagli quasi casualmente, la prima notizia ai genitori che toccò a lui di dare, il riconoscimento delle salme straziate, che ancora toccò a lui, l'indifferenza, a suo dire, della cognata per la morte del marito e del figlio, sono rievocate con angoscia e senso di intollerabile dolore ancor oggi, e soprattutto alimentarono il sentimento di scacco, di ferita e di lesione interna, e, tramite un complesso meccanismo di identificazione con il bimbo immolato, il vissuto di abbandono e di cocente perdita d'affetto, fino alla morte.

La sua situazione si venne negli anni stabilizzando, nel senso che egli si raffermò in quella che egli chiama " la mia professione ", che candidamente e, bisogna dire, senza ironia, definisce " quella del ladro ". La vita che faceva gli rendeva bene economicamente (aveva, dice con semplicità, BMW e Porsche), ed il suo modello dell'Io, che riuscì a realizzare, era quello di un ladro ad alto livello, uno specialista, ladro nelle case, con capacità tecniche, in grado di inattivare un sistema di allarme e di forzare una porta blindata di una cassaforte, assieme ad un certo cosmopolitismo, sempre in giro per il mondo (con un doppio passaporto) e ad un certo grado di attitudine alla Arsenio Lupin di quello che ruba dove ce n'è e non danneggia nessuno.

Questa, diciamo così, professione clandestina, lo portò ad alcuni problemi colla giustizia. Dai 20 ai 30 anni fu spesso in prigione, globalmente, al suo computo, numerosi anni.

Nonostante la sufficiente riuscita di questo modello, gli dava in qualche modo la figura di un trasgressivo e di un criminale con un certo " a plomb " e ad un certo livello, tutto ciò non riusciva a superare i suoi profondi sentimenti d'insufficienza che si esprimevano nella solitudine e nella fragilità di fronte al tradimento. Il senso di solitudine era pressoché totale, ed egli faceva fronte a questo tramite una vita sociale forzosa, una sorta di tendenza artificiosa alle relazioni, che lo portava ad essere prodigo, a prestare e ad elargire denaro per ottenere compiacenza ed attenzione, per essere in altre parole voluto, e ad impegnarsi sempre più nel gioco d'azzardo (qualsiasi tipo di gioco, egli afferma): non c'è soggettivamente nella narrativa del signor Bilancia il vissuto soggettivo del "gambler", del gioco come discontrollo degli impulsi, ma piuttosto del gioco come tramite alla socializzazione, al rapporto cogli altri, al tentativo in realtà vano di superamento della solitudine interiore tramite la creazione di legami d'intesa e di solidarietà apparente. Finito il suo "lavoro", che tra l'altro non garantisce orari continuativi, finita l'attività nella piccola officina che aveva a casa, corollario necessario all'attività di scassinatore (torni, banco di lavoro per chiavi, passpartout ecc.) il senso di essere solo lo assaliva e veniva colmato con pseudoattività sociali e con il "gambling ", o indifferentemente, poteva portare a pranzo uno sconosciuto. Tuttavia non potremmo escludere che una tendenza al piacere del rischio, alla soddisfazione intensa, alla bramosia d'azzardo, non fossero presenti ad inquadrare certi aspetti di discontrollo pulsionale. Ma non c'è dubbio che il terrore della solitudine ha giocato qui un ruolo di primo piano. La sua tendenza alla prodigalità e alla grandiosità ("mi sono giocato almeno due miliardi ") è anche ovviamente legata al suo sentimento d'umiliazione e di vergogna del suo isolamento e del suo essere abbandonato antico ("mi vergognavo ad andare al ristorante da solo ").

Dal punto di vista sessuale il suo mondo interno e il suo comportamento hanno rilevanti aspetti di anomalia. Egli fa risalire l'inizio di tutto all'episodio che chiameremo delle tre cugine (aveva 7 anni): di fatto la sua identità sessuale è sempre stata labile, ha sempre avuto sentimenti di profonda insufficienza, non ultima la sensazione di avere un pene piccolo ed insufficiente, fino, nell'adolescenza, a gonfiarsi i calzoni con cotone per fare apparire un pene rilevante. La sua sessualità prevalentemente masturbatoria, nell'infanzia e nell'adolescenza, fino alla età adulta, era sostenuta da un mondo fantastico sul versante parafilico: le fantasie centrali (connesse alla masturbazione) erano di tipo fondamentalmente scoptofilico: una sorta di fantasie su visioni sessuali "rubate", donne intraviste di nascosto nelle loro nudità, colte in atteggiamenti scomposti. La sessualità, fondamentalmente praticata di rado, era raramente penetrativa, e la pratica usualmente messa in atto, quasi sempre a livello prostitutorio, era la fellatio. Il frequente uso di falli finti è ben comprensibile date le premesse. Ogni volta che si accorgeva che il rapporto tendeva appena a scivolare sul versante sentimentale, esso doveva considerarsi finito. Quello che in apparenza era riservatezza, ed una grande timidezza, sembra invece essere una presa di distanza per una grande angoscia del rapporto, con tutto ciò che di doloroso, tormentoso, pericoloso, frustrante e abbandonico esso contiene al suo interno. Confidarsi mai con nessuno, sembra essere stato assieme il suo motto e la sua condanna. E' piuttosto netto nella mente del signor Bilancia il concetto di scadenza e di evento chiave: si può dire che la sua vita sia caratterizzata da una serie di eventi emozionali a cui egli da il valore di "cut - off point " che segnano a scalino un nuovo momento emotivo nella vita: dal primo, quello infantile dell'esposizione del pene e dell'enuresi, che segna il senso di insanabile frattura coi genitori; al secondo, quello dell'abbandono della ragazza che rende definitiva la sua sfiducia nell'amore; al terzo, quello della terribile morte del fratello col nipotino, che dà un definitivo senso di sfiducia e di tradimento nella vita. Ma stranamente, non è a questi episodi che egli dà la maggiore importanza, ma a quello, avvenuto nel 1983, del senso di sfiducia, ferita e profonda delusione per il tradimento di individui che considerava amici, in occasione di un furto col ferimento di una persona in una casa di Croce Fieschi.

Un'altra volta, cui dà particolare importanza, fu quando fu turlupinato con una serie di banconote non false, ma "facsimile", da persona che gli doveva molto, il che lo ferì anche per la grossolanità della truffa, vissuta come insultante per la sua persona e la sua intelligenza. Il senso d'intolleranza della ferita narcisistica è evidente nella sua frase "vogliono metterlo nel c.... e sono anche permalosi, vogliono fare anche bella figura! è un insulto alla mia intelligenza! ".

Ma il senso di essere stato turlupinato, raggirato, la ferita narcisistica della frase udita "quello stupido lo ho agganciato "da parte di chi doveva essergli amico, ha trasformato, nel 1997, la scala e la dimensione della terribile richiesta di risarcimento e della vendetta della antichissima ferita narcisistica, trasformando l'intrusività nel mondo privato altrui del furto, in intrusione nella vita fisica altrui, dando così inizio alla carriera omicida, che ha fatto seguito a quella ladresca.


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