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CONVERSAZIONE CON MARCO BELLOCCHIO SUL SUO ULTIMO FILM: "LA BALIA"

Albertina Seta

Bellocchio risponde a una critica al film, espressa in tv dallo psichiatra M. Fagioli

D. Massimo Fagioli, psicoanalista dell'Analisi Collettiva - ricerca a cui lei partecipa da decenni - nonchè suo collaboratore, in passato, in ambito cinematografico, le rimprovera - molto affettuosamente - , a proposito de "La balia", di aver perso qualcosa della rivolta rappresentata dai "Pugni in tasca". A quanto pare (il riferimento e' alla trasmissione "Clochard", andata in onda l'11 giugno scorso, per l'emittente romana "Telesimpaty"), non è tanto un invito a tornare alla rivolta ideologica della giovinezza, ma la critica riguarda proprio la natura, la forza delle immagini di quel film, che ha ormai più di trent'anni. Cosa risponde?

R. Va bè, sono domande, provocazioni, complesse. E' chiaro che Fagioli si riferisce a "I pugni in tasca" per un certo tipo di brutalità potente. "I pugni in tasca" è proprio il film della rivolta e della sparizione della madre, in cui il protagonista perderà la sua stessa vita: insomma, è una rivolta che finisce male.
Però, evidentemente, lì ci sono immagini forti. Questo dice anche un'altra cosa: che la rivolta, non è necessariamente legata ai finali positivi. Ci può essere un film con un finale tragico, che però ha in sé immagini potenti, che risulta più di rivolta che non un film correttissimo e positivo, che è talmente modesto nel rappresentare e nel fare immagini che non ha nessun valore.
L'altra cosa, facendo una riflessione più di interpretazione, di analisi, potrebbe corrispondere a quanto si diceva prima: fatti storici, complessi, mi hanno portato a un momento di invisibile crisi; Fagioli mi pare che la individuasse anche nel fatto di aver fatto lui un film: il che, ha portato a un confronto - veramente aperto e radicale -, diverso dai rapporti che avevamo avuto nei tre film ai quali abbiamo collaborato: "Diavolo in corpo", "La condanna", "Il sogno della farfalla". Lì (nella nostra collaborazione, ndr), c'era, non dico una mediazione, però - giustamente, in misura diversa - era un lavorare insieme che portava a non distinguere perfettamente quale fosse dell'uno quale fosse dell'altro - intendo, l'apporto, le immagini, i movimenti -. Qui, Fagioli ha fatto un film e in qualche modo il confronto è netto: anche lui fa il cineasta, anche lui fa immagini cinematografiche. Di fronte a questa sfida, a questa provocazione, le reazioni possono essere due - potrebbero essere anche duecento, però...- Una , di chiudersi, di difendersi, e quindi inevitabilmente di ritornare all'antico, che forse, in parte, ma solo in parte, potrebbe essere il caso de "La balia", nel senso della ricostruzione del passato - anche se poi la ricostruzione del passato ha un'importanza relativa -, ma più che altro nel senso del pessimismo. - Ci tengo a non parlare di ricostruzione del passato, perché "La balia" non é un film storico/illustrativo, anzi, se mai, é un film intimistico che parla del presente -. Però (ne "La balia", ndr), ci può essere il sentimento di una crisi, che è vissuta più nella chiusura che nel confronto.
Perchè invece si può vivere la crisi in tutt'altro modo: in un tipo di battaglia aperta: il che, non significa raccontare di rivolta o di rivoltosi - come lo si faceva in passato -, che tirano le pietre oppure si ribellano - sia nei comportamenti personali che in politica -, ma fa capo a un sentimento della rivolta che sicuramente è presente nel film di Fagioli.
Ne "Il cielo della luna", al di là dell'originalità delle immagini, che sono immagini inconsce, la rivolta è proprio nel modo di Fagioli di fare cinema - che non è solo un discorso tecnico, nel senso che film così ne sono stati fatti tantissimi -, in come lui fa le immagini e nelle vicende dei personaggi che inventa e descrive. E' chiaro che lì, senza colpo ferire, senza che nessuno dia un pugno o uno schiaffo o strappi qualche cosa, c'è un'"essere contro" un'istituzione, una vita istituzionale.
La cosa più difficile è che - come ho già detto - sarebbe assolutamente patetico tentare di ritrovare la rabbia de "I pugni in tasca". Il discorso della rivolta è diverso dal discorso della rabbia: la rabbia e' un affetto ben rispettabile - tanti non hanno neanche quello -, però, se io andassi a pescare lì sarebbe un fallimento. Il problema è che la rivolta - quello è il difficile - va rappresentata e scoperta con delle immagini che superino il '68.

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