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PIETRO BARBETTA, Figure della relazione. Digressione intorno al doppio legame, Edizioni ETS, Pisa 2007, pp. 153, Euro 15

( info@edizioniets.com )

 

[Pietro Barbetta insegna Psicologia dinamica e Psicodinamica delle relazioni familiari presso l’Università di Bergamo. E’ psicoterapeuta, Direttore scientifico della Scuola di Counselling presso il Centro Isadora Duncan di Bergamo, Didatta di Psicoterapia presso il Centro Milanese di Terapia della Famiglia. Tra le sue varie pubblicazioni si veda: Le radici culturali della diagnosi, Roma 2003; Anoressia e isteria, Milano 2005; Lo schizofrenico della famiglia, in corso di pubblicazione. Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, dopo l’indice del saggio, la sua introduzione]

 

INDICE

Introduzione 9

Capitolo primo 19

Isteria

Capitolo secondo 39

Memoria

Capitolo terzo 61

Ironia

Capitolo quarto 79

Occhio

Capitolo quinto 103

Ombra

Capitolo sesto 129

Delirio

Elenco delle opere d’arte e letteratura citate nel testo 151

 

 

 

Introduzione

 

 

Questo libro è una digressione, una deviazione dall’argomento principale, dall’ordine del discorso. E’ la strategia di scrittura che ho usato, un metodo di analisi. L’ordine del discorso caratterizza il campo disciplinare, quando si sente il bisogno di rivisitare il campo sono necessarie digressioni. Da tempo si parla di una svolta linguistica in psicoterapia, tale svolta sembra riguardare soltanto il dominio della conversazione, non quello del discorso. Il discorso sembra sempre un po’ lo stesso, è un discorso in buona parte prigioniero dei lemmi della medicina, senza una compiuta prospettiva epistemologica autonoma; costringe il clinico a regredire dal piano della diagnosi a quello della sintomatologia - per usare i lemmi del discorso medico - al fine di decostruirla e trovare i segni di una nuova semiologia, ancora da farsi. Questa debolezza non è necessariamente un limite, permette di usare diversi giochi linguistici e aiuta a mantenere aperta la conversazione con l’Altro.

E’ il caso che proponga subito alcune definizioni, in modo da non doverci tornare più sopra.

La conversazione è l’interlocuzione diretta di due o più corpi, il discorso il contesto linguistico, culturale e disciplinare in cui la conversazione è già sempre vincolata, la condizione che rende i corpi in conversazione corpi docili. Il discorso è la forma della civilizzazione, il contesto esterno e presupposto a ogni conversazione.

Il contesto è costitutivo di ogni scambio conversazionale, fa parte di un ordine predefinito. La conversazione non avviene nel vuoto, fluisce secondo uno scambio regolato che costruisce, momento per momento, un proprio contesto interno, ma accade sempre in un contesto esterno, il discorso appunto. Il discorso sistemico, da questo punto di vista, si presenta come un discorso intorno ai discorsi, un discorso di second’ordine.

Questo libro si riferisce principalmente a due analisti del discorso: Gregory Bateson e Michel Foucault. Bateson ha lavorato per un certo periodo in un ospedale psichiatrico di Palo Alto, vicino a San Francisco, e ha contribuito all’elaborazione di un nuovo approccio all’eziopatogenesi della schizofrenia, basato sulla comunicazione. La sue opere - brevi, frammentarie, a tratti enigmatiche - hanno influenzato generazioni di psicoterapeuti familiari. Si tratta spesso di digressioni, si parte da un tema e se ne sviluppano caratteristiche secondarie, come a farlo degenerare, lasciando il lettore un po’ istupidito e pensieroso. In psicoterapia le idee di Bateson sono diventate il punto di riferimento della scuola di Milano, in particolare di Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin [1].

Foucault, dopo la laurea in filosofia, ha avuto una formazione come psicologo presso un ospedale psichiatrico di Parigi. Da quella esperienza ha tratto il materiale di riflessione per scrivere una storia della follia che ha influenzato generazioni di studiosi. Le sue opere, spesso monumentali, hanno fornito un contributo importante al costruzionismo sociale. Foucault aveva definito il suo ambito disciplinare storia dei sistemi di pensiero, in più di un’occasione — soprattutto nelle sue lezioni al Collège de France - il suo metodo è consistito nel lasciar parlare le fonti, introducendo solo alcune glosse a commento, come se fosse già tutto lì da vedere, giocando sull’effetto di spiazzamento dovuto alla differenza tra la mentalità del lettore e ciò che trova trascritto o riportato. Foucault, soprattutto il Foucault del Panottico, è stato introdotto nel dibattito in psicoterapia da Michael White [2].

In Bateson e in Foucault lo spirito di indagine ha prevalso sullo spirito di sistema. Studiare i sistemi non significa essere sistematici, non bisogna confondere. Durante l’arco della loro vita hanno mutato spesso punto di vista, lasciando gli esegeti in difficoltà. Alcuni hanno preso un aspetto del loro pensiero per costruire una sorta di dottrina, più o meno ideologica. Gli ecologisti mistici hanno fatto di Bateson una specie di santone, alcuni psicoanalisti hanno tratto dal doppio legame un’associazione alla Ego Psychology o alle teorie dell’attachment; altri hanno ipostatizzato la teoria della schismogenesi per fare di Bateson uno stratega, in terapia e non.

Lo stesso è capitato a Foucault, diventato, volta per volta, ispiratore dell’antipsichiatria[3], apocalittico annunciatore di biopolitiche destinate ad annientarci, o, all’opposto, ispiratore di una specie di colloquio filosofico che intende sostituire la lettura di Seneca alla somministrazione delle benzodiazepine.

Spero che questo libro contribuisca a restituire spessore e complessità al loro pensiero. Per farlo richiede al lettore un esercizio, attardarsi un po’ dentro una scrittura che alterna e intreccia argomentazioni disomogenee, senza mai fornire una spiegazione, senza mai dire "cosa dobbiamo fare". La digressione pretende - un po’ come in seduta l’attenzione fluttuante è un metodo di analisi del racconto - di essere un metodo di analisi del discorso[4]. Uno metodo estraniato, caratterizzato dall’assenza di un senso pieno, dalla presenza della parola vuota. Corrisponde al mio modo d’intendere la psicologia dinamica, il cui insegnamento mi ha portato a rileggere Freud, Groddeck, Jung, Melanie Klein, Winnicott, Lacan, Gisela Pankow, Mara Selvini Palazzoli, e altri psicoanalisti più o meno eretici e controversi, per scoprirne le profondità, per coglierne i lati nascosti o dimenticati, per prenderne, ironicamente, distanza.

Le ricerca mi ha costretto pure a leggere o a indagare teorie e autori che hanno fatto la preistoria della psicoanalisi, come i medici: Carpenter, Morel, Krafft-Ebing, Lombroso, Kraepelin, Charcot, Bernheim, Janet, Bleuler; ma anche i maghi del Rinascimento - primo fra tutti Giordano Bruno — Mesmer —il magnetismo animale — Myers — la telepatia - e altri ciarlatani[5] le cui idee influenzano il modo di pensare occidentale ben al di là delle squalifiche scientifiche e morali loro attribuite.

Invero vi è un terzo autore di riferimento in questo libro, Gilles Deleuze. Vicino a Melanie Klein e a Winnicott, Deleuze dialoga con Foucault[6] e apprezza il pensiero di Bateson, al quale si riferisce soprattutto quando, insieme a Guattari, inventa la schizoanalisi.

Deleuze condivide la teoria del gioco di Bateson e l’individuazione, da parte dell’antropologo inglese, di un modello d’interazione alternativo alla schismogenesi: il palteau continuo d’intensità che si sostituisce al climax. Il lettore troverà questi argomenti svolti nel testo.

La proposta parte dal titolo e dal sottotitolo. Figure della relazione è una contrazione di Figure retoriche intorno alle dinamiche della relazione. Retoriche intorno alle dinamiche subisce una cesura, ma sopravvive in interlinea, è, in un certo senso, l’ombra del titolo. Ognuno dei sei capitoli corrisponde a un tropo della psicologia dinamica. Alcuni sono facilmente intuibili, isteria e delirio, altri necessitano di un supplemento di spiegazione, sebbene si tratti di parole ricorrenti in psicologia — memoria — psicoanalisi — occhio, ombra — psicoterapia - ironia. La memoria permetterà di parlare del trauma, l’ironia della distanza, l’occhio del narcisista, l’ombra delle inquietudini del soggetto.

Che significa tropi? Si estende e modifica il significato originario di ognuna delle parole, per produrre digressioni. Si esercita una sospensione del giudizio sul significato comune di queste parole, allo scopo di poterle torcere. I tropi sono figure sufficientemente distorte per mostrare ciò che si nasconde, sufficientemente ordinate per non disintegrarsi per effetto della torsione.

Sembra che in psicologia dinamica sia già stato scritto tutto, che non ci sia più spazio per l’immaginario e per ciò che dà da pensare; che la psicologia dinamica e clinica debbano solo raccogliere dati per falsificare o confermare (più spesso confermare) teorie complete, da corredare con qualche chiosa. A me non pare, forse faccio troppa pratica clinica e mi stupisco ancora di fronte alle strane storie dei miei pazienti, così affascinanti e creative.

Ceruti e Lo Verso[7] hanno osservato come l’invenzione di una nuova metafora in terapia sia destinata a trasformarsi in una categoria una volta entrata nel gergo scientifico. E’ un po’ la fine che ha fatto anche il doppio legame. Bateson se n’era accorto quando ci aveva messi in guardia dal contare i doppi legami come i pipistrelli nelle macchie di Rorschach[8].

Come vedremo nel testo, Bateson fu accusato da Haley di essere troppo vicino alla psicoanalisi. E’ un’accusa, se così si può dire, giusta. Bateson aveva frequentato quel gruppo di antropologi che negli Stati Uniti avevano introdotto la psicoanalisi come metodo di lettura delle culture Altre, aveva frequentato i convegni psicoanalitici, dove aveva incontrato Gisela Pankow - la quale aveva spiegato la teoria del doppio legame a Parigi durante uno dei seminari di Lacan - aveva, negli ultimi anni della sua vita, proposto un seminario di lettura dell’opera Sette sermoni per i morti ed era interessato alla teoria della sincronicità di Jung. Bateson non ha mai negato che alcune delle riflessioni della psicoanalisi fossero utili e feconde per gli sviluppi della cibernetica nel campo delle scienze umane.

Chi semmai ha preso la maggiore distanza critica dalla psicoanalisi è Foucault. Foucault aveva polemizzato con Derrida a questo proposito e si era persino distanziato da Deleuze privilegiando il termine piacere, in contrasto con il termine desiderio, troppo psicoanalitico, caro a quest’ultimo.

Per Foucault la psicoanalisi era un dispositivo di cura, una tecnologia del sé, dedicato alla trasformazione in discorso del desiderio incestuoso e rivolto a coloro che se lo possono permettere[9], sostituiva, in epoca laica, la pratica della confessione.

Tuttavia negli ultimi anni della sua vita le ricerche storiche intorno alla cura di sé e all’uso dei piaceri ci portano a pensare che, più che un dispositivo da condannare, la psicoanalisi possa essere considerata come una forma storica per costituire il soggetto, un’ermeneutica del soggetto, dalla quale assumere magari una distanza ironica, ma da studiare.

Questo libro cerca di sottolineare - al di là della storia dei vari gruppi psicoanalitici, delle scissioni e delle scomuniche reciproche - come le forme della psicoterapia siano state influenzate da elementi culturali, pratiche abitudinarie incarnate, visioni del mondo, che poco hanno a che fare con le scissioni. La Ego Psychology Nord-americana, la teoria dell’attachment inglese o la psicoanalisi lacaniana, così diffusa in Francia e in Argentina, sono, almeno in parte, il prodotto di climi culturali più ampi e di processi storici di lunga durata. Bateson direbbe che ognuna di queste correnti corrisponde a un carattere nazionale. S’intuisce perché in Italia abbia avuto maggiore diffusione la psicoterapia della famiglia. Si tratterebbe di scrivere, a partire da queste premesse, una nuova storia dei dispositivi psicoterapeutici in relazione ai processi di civilizzazione, così come si sono incarnati nelle diverse aree culturali dell’occidente. Lavoro che lascio ad altri.

Questo libro propone qua e là spunti per comprendere come la psicoterapia si sia costituita e sia diventata parte del processo di civilizzazione. Non lo fa in maniera sistematica, si limita a proporre alcune suggestioni. Il suo scopo è un altro, come suggerisce il sottotitolo: Digressioni intorno al doppio legame.

La teoria del doppio vincolo, in questa lettura, ha un debito con la teoria del vincolo psichico, così come la psicoterapia sistemica ha un debito con la psicoanalisi. La scena primaria della teoria del vincolo psichico è la scena dell’incesto. La bambina oggetto delle attenzioni sessuali del padre si trova in una condizione in cui la relazione affettiva di filiazione si presenta nel contesto di una relazione di sopraffazione, di abuso. A loro volta queste due dinamiche sovrapposte accadono nel contesto di una situazione d’indifferenza: il silenzio distratto o consenziente della madre.

Accade la parola che non si può pronunciare, come fa dire Pasolini al vecchio pastore che aveva trovato Edipo sul monte Citerone. Di qui la prima formulazione dell’eziopatogenesi dell’isteria: una memoria del corpo. La parola che non si può pronunciare si ripresenta nella forma del sintoma isterico, come un’ombra.

Poi Freud cambia opinione, cerca una teoria più complessa, si accorge, grazie anche all’autoanalisi, che la dimensione onirica contiene un immaginario più vasto. Melanie Klein vi aggiunge una dimensione pre-immaginaria, la posizione schizo-paranoide, in cui l’infante si trova assolutamente dipendente da un essere, l’adulto, potenzialmente distruttivo e sviluppa quel sentimento di ambivalenza carico di amore e aggressività. Insomma la psicoanalisi si accorge che il soggetto, prima ancora di costituirsi come tale, è già attivo nel processo di costruzione della relazione, è già interpellato. L’interesse si sposta dall’isteria verso la schizofrenia.

La prima formulazione della teoria del doppio vincolo propone una nuova scena. Non si tratta di una scena primaria, ma di una scena ricorrente: il figlio riceve un messaggio positivo nel contesto di un messaggio negativo e questi due messaggi accadono nel contesto di una situazione da cui non si può uscire. L’astrazione è maggiore, ma le caratteristiche della scena primaria ipotizzata da Freud possono essere un caso particolare di questa scena ricorrente. Se nella scena primaria il carnefice è il padre, mentre la madre appartiene alla zona grigia, qui il carnefice è anzitutto la madre, il padre appare perlopiù un bystanader.

Come Freud, anche Bateson si accorge che questa formulazione, benché più astratta, è riduttiva. Si rende conto che il doppio vincolo è una condizione costitutiva della comunicazione umana, che avviene sempre, che vi è un elemento d’interpellazione. Il più noto esempio clinico che illustra il doppio legame racconta di una madre che si reca in visita al figlio schizofrenico in ospedale. Quando il figlio le getta le braccia al collo, lei s’irrigidisce e quando il figlio se ne distacca annichilito gli dice: "non mi vuoi più bene? Non devi avere paura dei tuoi sentimenti".

Come mai la madre s’irrigidisca di fronte all’abbraccio del figlio schizofrenico non viene raccontato, resta un’opacità, ma qualunque madre con un figlio schizofrenico sa come sia difficile farsi abbracciare senza provare una certa angoscia.

Bateson si accorge anche che il doppio legame non è sempre fonte di patologia, che può invece essere l’origine della creatività umana. Di qui un’ipotesi intorno al doppio legame come forma costitutiva della relazione con l’Altro, un ripiegamento kleiniano.

Per comprendere a fondo il tema è necessario rifarsi a un’esperienza che Bateson riporta come autobiografica. Regalo dei fiori a una signora per introdurre un po’ di disordine estetico in una casa tenuta in ordine come un mausoleo, racconta, le dico che ho pensato ai fiori per introdurre un po’ di disordine, lei risponde: "non deve scusarsi, quando appassiranno li taglieremo". La mia intenzione di regalarle fiori allo scopo di fare dell’ironia sull’ordine di casa, è stata sconvolta in una presentazione di scuse. L’esempio deve essere letto al di là dell’episodio. L’Altro, nel doppio legame, è del tutto indifferente verso la mia intenzionalità, la corregge sistematicamente, disconfermandola. E’ questa la ragione per cui dal doppio vincolo non ci si può staccare, perché io, che non sono io, dico questo, che è altro, in questa situazione, che è un’altra, a te, che non sei tu. L’Altro è diventato la mia Ombra, mi legge nel pensiero e, quando non c’è, si fa sentire con le sue voci. Io non esisto come corpo discontinuo, separato, sono parte del corpo dell’Altro.

In Isteria, il primo capitolo, si raccontano i misteri della sincronicità, a cavallo tra scienza e ciarlataneria. Ci si domanda se sia stata l’ipnosi introdotta da Charcot come pratica clinica a suggestionare le isteriche o viceversa. Si osserva come il discorso sull’isteria abbia contribuito a gettare uno sguardo discriminatorio verso il femminile e come, in epoca post-moderna, vi abbiano reagito due modi di pensare — il post-modernismo puritano anglosassone e il post-strutturalismo libertino francese — solo apparentemente simili, in effetti del tutto agli antipodi. Infine si concede un po’ di spazio all’isterico maschio, oggi assai più diffuso, soprattutto nell’emergenza dei nuovi sintomi migranti nei migranti. L’Altro dell’isterica subisce una metamorfosi da medico a paziente.

Memoria è la continuazione di Isteria. Il capitolo esordisce con la storia di un paziente neuroleso e cerca di presentare il fenomeno della memoria come una condizione isterica. Il paziente, che perde la memoria di lavoro e presenta una forma esasperata di ipersessualità, si è trasformato in satiro. Ben al di là della memoria umana l’isteria diventa una resilienza al fenomeno dell’irreversibilità del tempo. Fu la psicologia associazionista britannica a descrivere il fenomeno isterico come un ritorno inquietante e traumatico del ricordo, una presentificazione dell’episodio terribile, della Cosa. Di qui la relazione stretta tra la memoria e il trauma. E, dopo il trauma, l’elemento più devastante, l’indifferenza dell’Altro, come ha scritto Primo Levi, autore che ogni clinico dovrebbe leggere[10].

A consolazione del trauma ecco giungere, con il terzo capitolo, l’Ironia. Le descrizioni di Primo Levi sono lapidarie, partono sempre da un dettaglio e lo descrivono. E’ dai minuti particolari che si disegna la composizione, a partire da quella posizione la composizione viene ricomposta, si apre una faglia che lascia intravedere la parola che non si può dire. Francis Bacon fa di ciò un’arte figurativa. Sul piano clinico questo capitolo è un omaggio a uno dei maestri dell’ironia: Gianfranco Cecchin. Cerco di rendere conto degli effetti pragmatici del suo stile usando un argomento caro alla filosofia analitica del linguaggio, la teoria dei condizionali controfattuali.

Occhio è un capitolo che, attraversando il tema del narcisismo, si muove nella direzione di introdurre le questioni legate al doppio legame e alla schizofrenia che verranno trattate estesamente negli ultimi due capitoli. Questo capitolo è una sintesi, con qualche aggiunta aggravante, del delirio filosofico di Nietzsche e Deleuze. Il delirio prende le mosse da una questione strettamente scientifica: se non è la funzione che crea l’organo, qual è l’origine dell’occhio? Si descrive la passione catturata dalla relazione tra l’occhio e la luce, come se occhio e luce fossero due amanti. Si tratta di un’allegoria. Il pensiero strategico in psicologia clinica cerca sempre di fornire una spiegazione della patologia a partire dalla funzione dei sintomi. Il metodo genealogico usato da Nietzsche conduce invece alle origini. Al di là dell’immagine di Dorian Gray si trova Molloy, un uomo che si va deteriorando. La funzione delle condotte narcisistiche è il dominio, l’origine il terrore del tempo che trascorre, il risultato la putrefazione. L’Altro nel quadro sono io.

Con il capitolo sull’Ombra l’analisi si va stringendo intorno al doppio legame, ma bisogna ripercorrere un’analisi storica e culturale in merito alla costituzione del soggetto moderno: il Self. Il Self è una forma linguistica che attraversa la costituzione della soggettività occidentale moderna. Perché ciò avvenga è necessaria un’operazione sintattica consistente nella sostantivazione di un pronome. Il soggetto, prima ancora di essere un ente psicologico è una posizione del discorso. Il capitolo non si concede tuttavia alle facili conclusioni sulla molteplicità dell’io, al contrario cerca, come può, di descrivere le forme differenti di costituzione del soggetto nella relazione con l’Altro, le forme della com-posizione. Ritiene, inoltre, che i modi della soggettività, che reificano e assoggettano, facciano parte del processo di civilizzazione e che, al di fuori di ciò, il caos rizomatico sia lontano dall’essere un’alternativa vivibile. Ciò che invece sembra emergere dagli studi storici intorno alla costituzione del soggetto è, per dirla con Foucault, una continua oscillazione tra piaceri e desiderio, tra cura e cultura di sé e rinuncia al sé, costituzione del desiderio nascosto.

Così continua Delirio, l’ultimo capitolo, dove si svolge un’ampia analisi dell’uso del termine degenerazione. Se i confini del soggetto assumono forme culturali, la loro lacerazione costituisce una degenerazione. La schizofrenia e il suo sintomo più eclatante, il delirio, sono la maniera in cui la lacerazione del soggetto viene descritta in epoca moderna, nel discorso clinico. Se in gran parte il termine degenerazione è stato accompagnato da un’idea di perdita, deterioramento mentale, impoverimento cognitivo, tara ereditaria, è anche vero che, in interlinea, il discorso intorno alla degenerazione ha sempre conservato un’inquietudine, come un dubbio terribile, in chi lo ha sviluppato. E se questi degenerati fossero dei progenerati? Il totalitarismo ha fatto piazza pulita della degenerazione - dallo sterminio dei pazienti psichiatrici, alla censura dell’arte degenerata — mostrando la faglia di un’inquietudine, la prova indiscutibile della superiore umanità del degenerato. In un mondo di eguali la degenerazione va eliminata.

Il libro non va necessariamente letto in senso progressivo, può anche venire letto in senso invertito. Suggerisco agli psicoanalisti, in generale più legati all’ortodossia, di leggerlo dall’inizio alla fine e ai terapeuti sistemici, più avvezzi all’eresia, di leggerlo a partire dal fondo, certo che gli ultimi due capitoli li possano interessare e che, man mano che la trattazione si svolge, il libro venga loro a noia. Non è neppure necessario leggerlo tutto, ogni capitolo ha una sua discontinuità rispetto agli altri, un’identità sua propria, sebbene in ogni capitolo ci siano rimandi a qualche altro capitolo, come in una somiglianza di famiglia.

Le illustrazioni sono sempre legate a un riferimento nel testo, sono da intendersi come un invito a guardare ciò che sta dietro alle descrizioni, a cogliere quanto non può essere descritto. Così l’elenco delle opere citate nel testo contiene un invito a praticarle. Direi che l’invito, generale, ma particolarmente rivolto ai giovani psicologi, è di rubare un po’ di tempo alle letture professionali per dedicarsi al teatro, al cinema, ai musei e a qualche opera di letteratura.

Santo Stefano, Liguria, 20 agosto 2007.

 

NOTE

 

1. Boscolo, L., Cecchin, G., Hoffman, L., Penn, P., Clinica sistemica, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.

2. Alcuni scritti di White sono stati tradotti in italiano, a cura di Umberta Telfner, in White, M., La terapia come narrazione, Astrolabio, Roma, 1992.

3. Anche Bateson è stato un importante riferimento per l’antipsichiatria. Più volte le mie posizioni sono state confuse con quelle dell’antipsichiatria, in particolare con le tesi di Ronald Laing, David Cooper e Aaron Esterson. La differenza fondamentale tra le mie analisi e quelle degli antipsichiatri inglesi consiste in una differente posizione riguardo la dialettica e la critica, rispetto alle quali io prediligo la differenza e l’ironia (cfr. Laing, R.D., Esterson, A., Sanity Madness and the Family: Families od Schizophrenics, Penguin, New York, 1964 e Esterson, A., Leaves of Spring: Study in the Dialectics of Madness, Tavistock, London, 1970). La posizione dialettica dell’antipsichiatria inglese, mi pare, produce una continua oscillazione delle posizioni dalla negazione della clinica all’affermazione della malattia.

4. Phillips, L., Jørgensen, M.W., Discourse Analysis as Theory and Method, Sage, London, 2002.

5. Il termine va inteso in senso ironico, Bruno, Mesmer e Myers furono trattati dall’accademia e dalla scienza ufficiale come ciarlatani. In effetti molti aspetti del loro pensiero si rivelarono fantastiche intuizioni intorno al misterioso funzionamento mentale. L’arte bruniana della memoria viene inconsapevolmente riscoperta da Lurija, Charcot e Bernheim recuperano il magnetismo e lo trasformano in una pratica clinica tutt’ora in voga e le teorie di Myers intorno alla sensitività e alla superiorità degenerativa del genio sono parte dei nuovi studi sulla schizofrenia. Gli accademici che dominavano la scena non furono certamente poco crudeli nei loro confronti, come da tradizione.

6. Foucault gli ha dedicato il testo Theatrum Philosophicum, citato nel testo e Deleuze ha dedicato a Foucault un’opera omonima (Deleuze, G., Foucault, Minuit, Paris, 1986. Tr. it. Foucault, Cronopio, Napoli, 2002).

7. Ceruti, M., Lo Verso, G., Introduzione a Ceruti, M., Lo Verso, G., a cura, Epistemologia e psicoterapia, Raffaello Cortina, Milano, 1998.

8. Bateson, G., Double Bind, 1969, in, Steps to an Ecology of Mind, Chandler, San Francisco, 1972. Tr. it. Doppio vincolo, 1969, in Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976.

9. Foucault, M., La volonté de savoir, Gallimard, Paris, 1976. Tr. it. La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano, 1978.

10. La biografa inglese Carole Angier ha intitolato la sua opera su Primo Levi Il doppio legame. Si tratta di un’opera che Levi aveva in programma di scrivere. Il doppio legame in chimica, Levi era laureato in chimica, designa un particolare tipo di legame delle molecole organiche. Per Angier si tratta anche dell’ombra che ha accompagnato Levi fino alla morte. Il lettore troverà alcuni riferimenti a ciò nel capitolo sulla memoria. Cfr. Angier, C., The Double Bond, Penguin, New York, 2002. Tr. it. Il doppio legame, Mondadori, Milano, 2004.

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