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Simona Argentieri, L’ambiguità, Einaudi, Torino 2008, pp. 123, Euro 9

Esce in forma di pamphlet un librettino nel quale la psicoanalista freudiana ortodossa (come ella stessa sottolinea a più riprese nel testo) Simona Argentieri, propone in sintesi i principali contributi psicoanalitici sui temi della mezza menzogna, della malafede e di quella che lei stessa chiama oggi "ambiguità", giustamente definita come quella modalità di scissione tra parti di sé che non viene "patita", ma "utilizzata" a fine di eludere "ansia, confusione, colpa e disagio". In parte sovrapposta alla nozione del suo maestro Eugenio Gaddini di "imitazione", l’ambiguità ha i suoi precursori nelle nozioni psicoanalitiche di "falso sé", "come se" e di "misconceptions", ma trova il suo principale teorico nello psicoanalista argentino Josè Bleger, che poi, negli anni ’70, dilapidò il suo genio clinico in un coacervo socio-psicologico contaminato dal marxismo.

Anche la Argentieri, dopo aver fornito una serie di aneddotiche esemplificazioni della nozione di ambiguità, perde un po’ per strada il suo acume strettamente clinico e si distende un po’ giornalisticamente sulle applicazioni di questo concetto in campo sociopolitico, familiare, di costume, e per quanto attiene la stessa tecnica e le finalità della cura analitica. Ce n’è ovviamente per tutti, da Nixon e Clinton agli psicoterapeuti non ortodossi, passando per traditori, politici bigami e promiscui, mariti frequentatori di trans e quant’altro. Nessuno ci si può più fidare di nessuno, ogni tipo di rapporto è puramente utilitaristico o strumentale e, quindi, occasionale, limitato a se stesso, comunque destinato a finire e così via, ma senza che ciò venga mai espresso, perché la consapevolezza resta, in tutte queste situazioni, "ristretta", e nessuno vuole sentir parlare di "colpa" e di limitazione della libertà personale. Conclusione: è necessario un ritorno all’ordine a tutti i livelli (compresa la psicoanalisi) ed una rinnovata dimensione etica in ogni comportamento.

Nonostante la generale acrimònia, le opinioni della Argentieri appaiono nel complesso più che condivisibili e segnalano quella generale perdita di autenticità e di trasparenza nei rapporti interumani a tutti i livelli, a favore di una totale e autogiustificazione del singolo rispetto ai propri comportamenti contraddittori e inaffidabili, che senza dubbio contraddistingue questo nostro tempo.

Infatti, senza opportune regole, senza un sistema normativo, ciascuno può galleggiare serenamente sopra la propria autoreferenzialità, ben difeso dal generale malcostume contro chiunque ponga la questione della coerenza.

Sebbene non citati in questo libello, siamo già intervenuti in modo molto approfondito sul piano clinico, psicopatologico, psicodinamico e psicoterapeutico sugli enormi problemi clinici dell’ambivalenza e dell’ambiguità nel 2006 con un articolo ("Il fascino discreto dell’ambiguità", Giorn. Italiano di psicopatologia) e con un libro ("L’ambivalenza e l’ambiguità nelle rottura affettive", Franco Angeli, Milano). Non possiamo quindi che rallegrarci perché anche qualcun altro, in modo indipendente, abbia sentito l’urgenza, sia pure senza uscire dall’hortus conclusus psicoanalitico, di portare alla ribalta questo genere di modalità di comportamento che può nascondere anche gravi e deficitarie strutturazioni dell’Io. I meccanismi comunicativi ambigui ed il relativismo culturale e istituzionale che li garantisce oggi contribuiscono ad occultare anche per lungo tempo questi difetti personologici fin quando il Reale, con i suoi compiti e le sue richieste inderogabili, non li rivela. Dietro il discorso sociopsicologico ed etico si nasconde cioè una vera patologia della personalità, estremamente diffusa (diciamolo pure, l’epidemia borderline e narcisistica), che può divenire impossibile curare finquando, appunto, il sistema di opinioni oggi dominante (superficialità, relativismo, livellamento, garantismo e giustificazionismo ad oltranza, pari opportunità per tutti, assenza di memoria storica etc.) non lo consentirà.

Psicopatologi e psicoanalisti sono quindi i primi ad avvertire l’urgenza di una generale inversione di tendenza (della vera e propria Weltanschauung) che, senza regressioni moralistiche e integralismi, richiami comunque l’importanza del riconoscimento dell’autenticità del singolo individuo e nei rapporti interpersonali come un valore da promuovere perché, in fondo, solo su di esso si può costruire qualcosa (di Reale), sia sul piano personale che su quello sociale.

La speranza è, quindi, che su questi temi il dibattito si allarghi a vari livelli, anche se, come la stessa Argentieri più volte sottolinea, la clinica e la terapia sono e restano quelli più importanti su cui questi concetti possono e devono essere applicati e sviluppati.

Riccardo Dalle Luche

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