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- 16 Dicembre 2006, Genova -

CORSO AILAS

ASSOCIAZIONE ITALIANA LOTTA ALLO STIGMA

 

"OTTIMIZZAZIONE DEL TRATTAMENTO A LUNGO TERMINE PER LE SINDROMI DI SPETTRO ANSIOSO DEPRESSIVO"

Introduce questa giornata dedicata alla lotta allo stigma nei confronti della patologia psichiatrica la dott.ssa Rosanna Ceglie.

La domanda sanitaria riferita ai disturbi mentali è in costante aumento, tuttavia permane un forte stigma, nonostante sia in continua crescita anche l’interesse farmacologico nei confronti di questo tipo di patologia.

Il prossimo traguardo della ricerca sarà lo studio delle correlazioni tra patologia mentale e patologia organica: d’ora in poi curare patologie mentali vorrà dire anche prevenire patologie organiche (ad esempio sembra ormai assodata la correlazione tra depressione e patologia cardiovascolare).

Questo vasto campo di ricerca pone le basi per una ancor più stretta collaborazione fra psichiatri e medici di medicina generale (MMG) con gli obiettivi di diminuire l’incidenza di recidive e ricadute di patologie mentali, migliorare l’orientamento nelle opzioni terapeutiche, identificare strategie personalizzate, sviluppare un atteggiamento culturale volto a destigmatizzare il trattamento psichiatrico.

Primo intervento

Dott.ssa Ceglie: "ANSIA E DEPRESSIONE: LA REALTA’ CLINICA"

I MMG vedono spesso per primi i pazienti con disturbi di spettro ansioso- depressivo. Non esiste più il termine "disturbo ansioso depressivo" e anche se molti MMG e alcuni psichiatri continuano a usarlo non è più contemplato dal DSM-IV TR; si continua tuttavia a utilizzare il termine "sintomo ansioso-depressivo", perché spesso ansia e depressione coesistono in un’ampia varietà di quadri clinici. La relazione esistente tra questi due disturbi può essere interpretata secondo tre diversi modelli concettuali:

1- Modello quantitativo-unitario: ansia e depressione, varianti dello stesso disturbo, differiscono soltanto quantitativamente.

2- Modello qualitativo-pluralistico: ansia e depressione sono espressione di disturbi diversi e differiscono quindi qualitativamente.

3- Modello quali-quantitativo (cosiddetto "ansioso-depressivo" ) questo terzo modello è ancora alla ricerca di una precisa collocazione nosografica ed esprime la posizione ansioso-depressiva secondo cui sindromi combinate di ansia e depressione (depressioni ansiose) differiscono quantitativamente e qualitativamente sia dalla depressione che dall’ansia isolatamente considerate.

La frequente coesistenza della sintomatologia ansiosa e depressiva viene portata a sostegno della prima posizione secondo cui i due disturbi costituirebbero un unico disturbo affettivo che varia nel tempo, nelle manifestazioni e nelle combinazioni di sintomi. Si sviluppa pertanto il concetto di spettro psicopatologico, forse legato ad una componente biologica. Ulteriori elementi a favore di questa teoria sono la coincidenza di fattori di rischio, di neurotrasmettitori (5-HT e NA) e di strutture anatomiche interessate (asse ipotalamo-ipofisi-corteccia surrenelica e locus coeruleus).

Secondo il modello pluralistico ansia e depressione sarebbero due entità separate: i pazienti depressi e i pazienti ansiosi differirebbero infatti per personalità, decorso, prognosi, adattamento sociale e risposta al trattamento. I pazienti ansiosi presentano infatti età d’esordio più precoce, tratti di personalità dipendenti e immaturi, durata più lunga di malattia, più elevata prevalenza di disturbi psichiatrici nei familiari di primo grado nonché peggior adattamento sociale e minor risposta alle terapie. Il disturbo d’ansia ha caratteristiche psicopatologiche diverse dal disturbo depressivo, di cui può tuttavia costituire un fattore di rischio.

In alcuni soggetti i sintomi di ansia e depressione assumono andamento cronico, però senza assumere gravità tale da configurare un disturbo di asse I, risponderebbero quindi ai criteri per una diagnosi (al momento solamente sperimentale) di disturbo ansioso-depressivo, come espresso nel terzo modello trattato.

Il concetto di spettro ansioso depressivo è basato sull’osservazione clinica, si riferisce ad un’ampia area di sintomi psicopatologici che includono sintomi tipici, sintomi atipici e tratti di personalità. Il concetto di spettro consente di valutare adeguatamente anche le forme psicopatologiche meno evidenti che sono spesso sottostimate. La malattia è quindi percepita come un continuum di gravità che include manifestazioni sindromiche e subsindromiche.

Un aspetto non trascurabile è legato all’evidenza che la patologia di spettro è in gran parte sottosoglia; i sintomi sottosoglia non possono e non devono essere considerati una condizione benigna ma vanno trattati tanto quanto i disturbi conclamati.

Da parte dei MMG parlare di "ansia" e "depressione" senza ulteriori precisazioni è scarsamente informativo per lo specialista che riceve il paziente in un secondo momento terapeutico; tuttavia ansia e depressione hanno molteplici quadri di presentazione e di sovrapposizione che rendono difficile stabilire una diagnosi univoca.

La dott.ssa Ceglie procede poi trattando i concetti di comorbidità sintomatica e comorbidità sindromica.

L’ansia intesa come dimensione psicopatologica è la norma piuttosto che l’eccezione nella depressione maggiore, così come l’anedonia è sintomo comune nei disturbi d’ansia; nelle scale Hamilton per l’ansia e per la depressione (HAM-A e HAM-D) i sintomi citati sono spesso sinonimi o equivalenti. Dunque la valutazione dei criteri diagnostico-nosografici da sola non basta ad inquadrare la malattia; i sintomi sono spesso collegati e interdipendenti (comorbidità sintomatica) ed è necessaria pertanto una valutazione multidimensionale.

Come già ampiamente sottolineato, disturbi d’ansia (vengono citati DAP, DOC, DAG, Fobia sociale e DPTS), e depressione, intesi questa volta come sindromi conclamate, sono i disturbi psichiatrici che più frequentemente si trovano in comorbidità (comorbidità sindromica).

Pesanti sono le ricadute sul piano clinico: maggior gravità, maggior frequenza di ideazione suicidaria, minor risposta al trattamento, durata minore dei periodi di remissione, maggior compromissione lavorativa e peggior adattamento psicosociale.

In conclusione la dott.ssa Ceglie auspica che i MMG possano acquisire maggior sicurezza nel porre diagnosi di patologie psichiatriche, poiché proprio il momento della diagnosi costituisce un passo fondamentale nell’iter terapeutico del paziente.

 

Secondo intervento:

Dott. Amedeo Ruberto : "OTTIMIZZAZIONE DELL’INTERVENTIO TERAPEUTICO, GESTIONE DEGLI EFFETTI COLLATERALI E COMPLIANCE"

L’intervento del dott. Ruberto ha come obiettivo la sensibilizzazione dei MMG riguardo la corretta impostazione della terapia antidepressiva.

Il MMG ha il dovere di spiegare al paziente, che si accinge ad iniziare la terapia, la differenza fra la fase del miglioramento clinico iniziale e la guarigione vera e propria.

Dal punto di vista clinico per risposta al trattamento s’intende una riduzione del 50% del punteggio HAM-D, mentre si parla di remissione quando il paziente non presenta più i criteri sintomatologici del disturbo; si ottiene la guarigione clinica in caso di stabilità della remissione totale a partire da 6-9 mesi dal raggiungimento della remissione.

Si tratta quindi di tre concetti ben diversi fra loro. Un recente studio, sottolinea il dott. Ruberto, ha dimostrato come una terapia antidepressiva prolungata per due anni dalla risoluzione della sintomatologia diminuisca sensibilmente il rischio di ricadute.

Il MMG che prescrive una terapia con farmaci antidepressivi deve avere la consapevolezza di prescrivere un farmaco che nell’85% dei casi è efficace, anche se talvolta la risposta al trattamento può non essere completa. È pertanto fondamentale che la terapia venga monitorata, soprattutto nel primo periodo di assunzione per poter bilanciare adeguatamente il dosaggio. È superfluo dire che il dosaggio deve essere pieno, per essere terapeutico!

È nozione acquisita sin dall’inizio degli anni ’90 che la risposta al trattamento è maggiore se questo viene iniziato in fase precoce. Rimandando l’inizio della terapia diminuiscono le probabilità di ottenere una remissione completa (probabilità più che dimezzate dopo un anno dall’esordio).

I pazienti che presentano comorbidità di ansia e depressione arrivano prima alla terapia (proprio a causa della maggior gravità della patologia cercano aiuto prima degli altri) e quindi hanno maggior probabilità di guarigione; tuttavia hanno anche maggior probabilità di ricaduta legata proprio alla presenza di comorbidità.

Ma quali sono i fattori che possono determinare la mancata risposta alla terapia o la ricaduta? In primis il numero degli episodi precedenti, la comorbidità e, come intuitivo, la gravità degli episodi precedenti (TS, manifestazioni psicotiche, severa compromissione funzionale).

Anche una terapia di ridotta efficacia influenza il rischio di ricadute; quali sono quindi gli elementi su cui vigilare per ottimizzare il trattamento farmacologico? Il dosaggio deve essere pieno e la durata del trattamento sufficiente perché il farmaco possa dispiegare appieno i suoi effetti; trials clinici hanno dimostrato che la sospensione del trattamento dopo l’ottenimento della sola risposta clinica si associa a presenza di sintomi residuali, 30-50% di ricadute nei 4-6 mesi seguenti e mancato recupero della funzionalità sociolavorativa.

L’adeguata educazione del paziente alla terapia e la corretta informazione riguardo gli effetti collaterali (sia precoci che tardivi) ne aumenteranno la compliance e la monosomministrazione del farmaco è da preferire perché riduce la percezione di patologia (oltre che essere più semplice). L’aderenza al trattamento si associa ad una minor percezione dello stigma.

La comparsa di effetti collaterali tardivi porrà il problema della diagnosi differenziale con sintomi residui di depressione, disturbi in comorbidità, altre patologie organiche e con la sindrome da discontinuazione degli antidepressivi.

Vengono infine trattati gli aspetti legati alle molecole utilizzabili in terapia.

Nella genesi del disturbo di spettro ansioso-depressivo sono coinvolti sia il circuito serotononergico che quello noradrenergico, sembrerebbe quindi utile cercare di agire contemporaneamente sia sul deficit di rilascio di serotonina che di noradrenalina (utilizzo di SNRI e NaSSA). I farmaci a doppia azione presentano effetti più rapidi (risposta iniziale dopo una decina di giorni anziché due settimane) e una più chiara relazione dose-risposta che ne facilita l’utilizzo anche nei pazienti meno rispondenti.

 

Terzo intervento:

Dott. Giuseppe Prestia: LINEE GUIDA PER IL TRATTAMENTO DI ANSIA E DEPRESSIONE E DELLA LORO COMORBIDITA’

I farmaci antidepressivi hanno simile efficacia nei pazienti con depressione maggiore, tuttavia è necessario scegliere il farmaco migliore in base alle esigenze e alla storia del singolo paziente in termini di tollerabilità, effetti collaterali a breve e a lungo termine, sicurezza (rischio overdose). Da considerare anche un’eventuale precedente risposta al trattamento con un farmaco in particolare o una preferenza del paziente.

Il trattamento antidepressivo va continuato alla stesso dosaggio per almeno sei mesi dopo la completa remissione dei sintomi per prevenire il rischio di ricadute ed anche oltre sei mesi in caso di depressione maggiore ricorrente e negli anziani. Se vi sono fattori di rischio aggiuntivi allora il trattamento andrà continuato finchè persistono i fattori di rischio; una ricaduta durante la fase di continuazione andrà trattata con l’aumento della dose o con il cambio dell’antidepressivo (ossia in modo analogo ad una mancata risposta terapeutica).

Da non sottovalutare neppure il rischio di una sindrome da sospensione: è consigliabile scalare la dose in almeno quattro settimane (fino a sei mesi in pazienti in trattamento a lungo termine). Se la sindrome si presenta ugualmente (in genere con distress somatico, sintomi simil-influenzali, disturbi del sonno e disturbi d’ansia) spiegare e rassicurare sono le uniche necessità, tuttavia se i disturbi sono comunque mal tollerati è possibile reintrodurre l’antidepressivo e scalarlo più lentamente.

In caso di mancata risposta alla terapia farmacologica occorre invece valutare una serie di fattori: adeguatezza del trattamento (in termini di dosaggio e compliance del paziente) e fattori di scarso out-come (lunga durata di malattia, difficoltà sociali croniche, depressione melanconica o psicotica, distimia, gravi disturbi di personalità ). Se dopo quattro settimane non vi è ancora risposta o dopo sei settimane c’è solo una risposta parziale allora si considera il cambio di classe di antidepressivo.

In caso di depressione associata a dolore somatico viene consigliato l’utilizzo di antidepressivi triciclici e soprattutto (per la minor incidenza di effetti collaterali) di venlafaxina.

Per quanto riguarda la terapia dei disturbi d’ansia è utile chiarire al paziente alcuni aspetti (timore di eccessiva sedazione o di sviluppare una dipendenza) perché possa accettare meglio la terapia e ottenere un miglior rapporto rischio/beneficio.

SSRI e venlafaxina sono indicati nella cura dei disturbi d’ansia, mentre è bene riservare le benzodiazepine ad un utilizzo di breve durata (il loro effetto precoce può essere sfruttato nel periodo di latenza dei SSRI).

Infine un cenno a terapie non farmacologiche: la psicoterapia può essere di grande aiuto, in particolare il dott. Prestia cita la psicoterapia del tipo "Risoluzione problema specifico" di durata particolarmente breve (sei sedute in tre mesi) che offre risultati promettenti. Vengono infine nominate, a titolo informativo, altre tipologie di terapia come la fototerapia, la brain stimulation, nonché la psicochirurgia.

 

 

 

Quarto intervento:

Dott. Costa: INTEGRAZIONE DEGLI INTERVENTI: FARMACOTERAPIA, PSICOTERAPIA, PSICOEDUCAZIONE.

I disturbi dello spettro ansioso depressivo traggono maggior beneficio da un intervento integrato; un intervento psicoterapico mirato, associato alla terapia farmacologica, può diminuire il rischio di ricadute. È stato dimostrato da numerosi studi come vi sia un miglioramento della prognosi legato ad una miglior compliance al trattamento. Risulta consigliata l’associazione in particolare qualora la risoluzione dei sintomi risulti incompleta o insoddisfacente ai fini di una completa ripresa funzionale del paziente, quando le ricadute siano numerose in pochi anni e quando la psicoterapia risponda ad un’esigenza manifestata dal paziente.

Per aumentare le possibilità di ottenere la remissione è utile spiegare al paziente la natura biologica della patologia di spettro ansioso-depressivo anche con l’utilizzo di materiale psico-educativo. È importante sottolineare che la collaborazione medico-paziente è una premessa essenziale alla risoluzione del problema e che l’obiettivo per il paziente deve essere la completa risoluzione della sintomatologia.

Da valutare anche gli aspetti relativi alle sindromi sottosoglia i cui sintomi vengono spesso erroneamente attribuiti, anche da parte dello stesso paziente, a qualche disfunzione di personalità. Tuttavia si è visto che il trattamento del disturbo sottosoglia determina un miglioramento globale funzionale di personalità.

Le sindromi sottosoglia potrebbero rappresentare un ponte tra la patologia conclamata e la condizione affettiva normale, esprimendo tratti comportamentali che diventano estremizzati nella patologia.

Infine il dott. Costa conclude facendo riferimento alla teoria dell’attaccamento e ai collegamenti teorici con i disturbi affettivi e d’ansia evidenziando come sviluppo psicopatologico sia spesso il risultato di una scarsa disponibilità delle figure d’attaccamento.

(A cura di Isabella D'Orta)

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