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MANIFESTO CONGRESSO
CURARE PER GUARIRE IN PSICHIATRIA

Roma.
Hotel Hilton Cavalieri
19-23 febbraio 2002

VII Congresso Nazionale della Societa' Italiana di Psicopatologia (SOPSI)

IL CONGRESSO ON LINE
MERCOLEDI' 20 FEBBRAIO 2002 - REPORT DELLA GIORNATA







Lettura Magistrale

D. Nutt (Università di Bristol, UK)

The brain mechanisms of anxiety and its treatment



La Sala Cavalieri ancora una volta e' piena.
Il professor Nutt, dell'Unita' di Psicofarmacologia dell'Universita' di Bristol, affronta, in termini neurobiologici, i meccanismi dall'ansia, sia fisiologica che nei Disturbi ad essa correlati, ponendo l'accento sui recettori gabaergici e serotoninergici. Ilustra dati acquisiti con la PET in cui vengono individuate le aree della corteccia prefrontale dorsolateraledestra e la corteccia parietale sinistra, come attivate in maniera anomala in pazienti affetti da Fobia Sociale.
Inoltre uno studio, con la stessa tecnica, relativo ai recettori GABA A ne riscontra una down regulation nel cervello di pazienti affetti da GAD.
Viene poi affrontato il problema dei recettori 5-HT (studiati tramite il nuovo marcatore C-WAY100635 ) che per i quali e' stata riscontrata una down regulation in pazienti affetti Disturbo di Panico trattati con successo con farmaci Serotoninergici, anche se rimane il dubbio che tale effetto sia indotto dai farmaci stessi e lo studio e' per questo ancora in corso.
Viene infine esposta la teoria per cui una deplezione di Triptofano, spiazzato da un aminoacido che compete con esso, possa essere implicata nell'eziologia dei disturbi d'ansia.





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Simposi Paralleli



Disturbi psichiatrici emergenti



Il simposio presieduto dal Prof. Ravizza e dalla Prof.ssa Marazziti ha voluto porre l'accento su quelle che sono state definite le ultime follie del millennio, data la recente diffusione di videopoker e Bingo nelle nostre città. Buona l'affluenza di pubblico nonostante il caldo soffocante della sala.
La prima relazione è stata presentata dalla Prof.ssa Marazziti relativamente a due studi sulla cleptomania e sul Comprare Compulsivo. L'esiguità dei campioni presi in esame, dovuto anche alla natura della patologia stessa, non permette risultati definitivi, ma sicuramente interessanti spunti di ricerca. Per ambedue i disturbi è possibile distinguere due sottogruppi, uno più vicino allo spettro bipolare e l'altro al DOC. Questo risultato comporta implicazioni sia a livello diagnostico sulla opportunità di differenziare tali patologie come disturbi autonomi che terapeutico vista anche la possibilità di scatenamento dell'impulsività nell'eventuale trattamento con serotoninergici nel gruppo in comorbidità con lo spettro bipolare.
La seconda relazione, tenuta dal Prof. Pallanti, di recente rientro da un'esperienza statunitense, è consistita sulla presentazione di evidenze neurobiologiche e di neuro-imaging nel Gioco d'azzardo patologico. I risultati sono al momento parziali ma già in fase di valutazione per una prossima pubblicazione sull' American Journal. Sembrerebbe comunque essersi evidenziata una maggiore attivazione della corteccia primaria visiva, del giro cingolato, del putamen e delle aree prefrontali 47 e 10 nei giocatori sottoposti ad un metodo che prevedeva il gioco vero, cioè con denaro, rispetto a quelli per i quali non vi era scommessa, a testimonianza dell'importanza del rischio come aspetto fenomenologico fondamentale della malattia. Diversi i trattamenti farmacologici utilizzati nei vari studi. Ultimamente è stato utilizzato anche il Naltrexone ( in concordanza con somiglianze con i disturbi da abuso) con discreti risultati nonostante gli effetti collaterali.
Il Prof. Ravizza ha riportato i risultati di due studi da lui condotti con paroxetina (11 pz) e fluvoxamina (31 pz) nel trattamento del Gioco d'azzardo patologico (videopoker e roulette) dal quale risulterebbe un significativo miglioramento clinico nel 70 % dei casi esaminati. 2 i limiti di queste ricerche come sottolineato dal relatore stesso: sono studi aperti e non a doppio cieco; la gestione delle risorse economiche del paziente affidato ai famigliari a scopo preventivo.




Gestione terapeutica del paziente acuto in SPDC: gli ambienti, gli operatori, le cure, le famiglie


Il simposio è stato molto seguito, i vari relatori hanno discusso, portando le loro esperienze, su temi molto concreti quali le problematiche relative al revolving door nell'SPDC, i cosiddetti casi difficili e le attività in SPDC. Da uno studio retrospettivo condotto da L. Rossi (DSM AUSL, SPDC di Ravenna) e Coll. presso l'SPDC di Ravenna relativo al triennio 1998-2000, che ha coinvolto 76 pazienti, emerge come il fenomeno sia in crescita e che i revolving door non presentino alcuna peculiarità che li identifichi in modo specifico, l'unico elemento caratteristico sembra essere il comportamento. Il relatore ha concluso con una provocazione, chiedendosi se questo fenomeno dipenda dal fatto che gli utenti poi dimessi dal SPDC ritornino perché non ricevono adeguate risposte nel territorio e nelle strutture residenziali, o perché si tratta di quelli più gravi.
V. Gatti (DSM, ASL Avellino 2) ha esposto, facendo un rapido excursus, quale era la iniziale funzione degli SPDC e di come invece il loro ruolo, dal 78' si è modificato, divenendo uno spazio che fornisce momenti di risoluzione impropria ed in genere temporanea, per degenti per i quali, invece, occorrerebbero risoluzioni strutturali e funzionali da ritrovare in altri ambiti del DSM. Questo vale soprattutto per quei pazienti definiti casi difficili. Inoltre ha evidenziato come essere caso difficile dipenda da un intreccio bio-psico-sociale, che incrementano il revolving door, nel quale giocano un ruolo significativo gli operatori del SPDC.
Infine G.M. Polselli (DSM, ASL Roma) ha portato l'esperienza maturata nel SPDC in cui ha sperimentato l'introduzione di alcune attività con gli utenti (cucina, lettura, musica, espressività corporea e rilassamento), soprattutto nelle ore vespertine, al fine di promuovere la relazione tra operatore ed utenti e di aumentare la compliance. Tali attività sono state ben strutturate e registrate.
Altra topica considerata è stata stabilire degli incontri peridici con le famiglie degli utenti con interventi anche di tipo psicoeducazionali.




I disturbi psicoalimentari nell'adolescenza

L'inizio dei lavori, che si sono svolti nella sala Cavalieri 1 registrando una discreta affluenza, sono stati introdotti da una breve premessa del prof. Pfanner che ha parlato dei disturbi psicoalimentari come di un problema-paradigma di tutta la psichiatria, definendoli come disturbi sociopsicosomaticidi grande rilevanza, inoltre, sarebbero i problemi circa la direzione patogenetica, con la necessità di un'impostazione della prevenzione ed una definizione dei fattori di rischio e dei fattori protettivi.
Il prof. Pfanner ha poi denunciato la mancanza di studi controllati sull'ontogenesi dei disturbi della condotta alimentare ed ha auspicato che si moltiplichino in futuro le ricerche sulla storia naturale, sulla patogenesi, la prevenzione ed i fattori di rischio
La prima relazione col titolo Psicopatologia dei disturbi anoressici nell'adolescenza è stata presentata dal dott. Muratori che ha illustrato i risultati di uno studio compiuto su un campione di 44 pazienti con anoressia nervosa ad esordio adolescenziale (età media 14,9). I risultati dello studio indicano una prevalenza dei restricter rispetto ai binge-eaters , una frequente comorbilità con i disturbi depressivi e, con percentuali minori, con i disturbi d'ansia e un assetto psicopatologico medio caratterizzato da una maggior rappresentazione del disturbo ansioso-depressivo e del ritiro rispetto ai cosiddetti disturbi esternalizzati.
Nello specifico del loro studio, il 27% dei pazienti non ha una psicopatologia associata; all'interno del gruppo dei pazienti con disturbi psicopatologici associati, la metà circa presenta un disturbo internalizzato puro (ansioso-depressivo classico) e l'altra metà un disturbo internalizzato misto.
E' stata poi affrontata la comorbidità con i disturbi in asse II sicuramente importante per la diagnosi e la prognosi dei disturbi alimentari; purtroppo,però, molto scarsa è la letteratura disponibile.
La seconda relazione dal titolo L'anoressia nell'adolescente maschio: contributo casistica è stata illustrata dal prof. Balottin che inizialmente ha fatto un'interessante review dei temi più importanti nell'attuale letteratura, soffermandosi sulla crisi del ruolo paterno e della famiglia patriarcale e toccando temi come la sessualità nei maschi con anoressia nervosa, l'identità di genere e l'orientamento sessuale ed i traumi familiari precoci fino alla figura di una madre dominante ed iperprotettiva. Quindi ha riportato i dati di una casistica personale con un campione di 11 pazienti che ha confermato molte delle osservazioni riportate dalla letteratura e ha accennato brevemente ai principali orientamenti terapeutici.
La terza relazione portava il titolo Psicopatologia dei disturbi anoressici in adolescenza. L'outcome dei disturbi anoressici dopo trattamento ospedaliero ed è stata esposta dalla dott.ssa Maestro. Sono stati descritti i risultati del trattamento in day-hospital di un gruppo di pazienti con DCA, facendo uso di tre tipi di scale di valutazione (CBCL, YSR e EAT-40) all'inizio del trattamento (T0) e dopo 10 mesi (T1).
Le conclusioni dello studio evidenziano come vi sia stato un miglioramento nei punteggi alla seconda valutazione (T1) solo alla CBCL, ossia nel test compilato dai genitori, i quali al T0, invece, percepivano la gravità del disturbo come leggermente superiore rispetto a quella autovalutata dai soggetti attraverso gli altri 2 test sopracitati. Probabilmente tali risultati sono da attribuire alla brevità del tempo trascorso tra un valutazione e l'altra e si ipotizza che ad un miglioramento delle condizioni fisiche del soggetto non corrisponda un miglioramento della percezione soggettiva (la malattia potrebbe essere meno agita sul piano sintomatico ma, d'altro canto, sembra esserci una maggior consapevolezza e mentalizzazione del problema). La dott.ssa inoltre suppone che la terapia di gruppo potrebbe aver ulteriormente condizionato i risultati, attraverso un influenzamento reciproco dei soggetti ed un rafforzamento degli aspetti di identità di malattia.
L'ultima relazione, intitolata Disturbi anoressico-bulimici in pre-adolescenza è stata presentata dalla prof.ssa Piccolo che si è soffermata sull'inquadramento nosografico e sui problemi di diagnosi clinica di tali disturbi. Nel corso del suo intervento ha analizzato e comparato due schemi diagnostici in uso: il DSM IV e la classificazione di Lask e Bryant-Waught, evidenziandone limiti e vantaggi.
La seconda classificazione, attraverso i criteri diagnostici GOS (Great Ormond Street) individua 6 gruppi di patologie: disturbo emotivo di rifiuto del cibo (FAED), Anoressia nervosa (AN), Bulimia nervosa (BN), Alimentazione selettiva (AS), Disfagia Funzionale (FD), Rifiuto pervasivo (RP).
Dalla casistica personale del suo gruppo sono emersi dati interessanti in particolare circa la distribuzione in relazione al sesso dei soggetti: il 100% dei soggetti con BN sono femmine, come pure la grande maggioranza dei pazienti con diagnosi di AN e FAED, mentre per la diagnosi di FD vi sono uguali percentuali tra maschi e femmine e per la diagnosi di AS tutti i pazienti erano maschi.
Al termine della relazione è stata espressa una preferenza per i criteri GOS, ritenuti maggiormente specifici per la fascia di età considerata (8-14 anni), per l'impiego di criteri diagnostici che facilitano una diagnosi più corretta e per una migliore distribuzione all'interno di una popolazione eterogenea come quella del campione osservato.
La discussione finale è stata ricca di interventi ma purtroppo l'esiguità del tempo a disposizione ha permesso solo una breve esplorazione dei temi sollevati.






Linee Guida degli interventi psichiatrici e psicoterapeutici sul territorio

A questo simposio sono intervenuti come relatori il prof Invernizzi di Milano il Prof Bassi di Bologna il prof Ferranini di Genova e la dottoressa Della Regione di Perugina; gli interventi sono stati estremamente precisi sul piano scientifico, ma anche molto aderenti alla realtà dell'impegno psichiatrico quotidiano.
Gli argomenti trattati hanno suscitato un ricco dibattito che è stato interrotto soltanto dalle esigenze temporali congressuali.
Una domanda del pubblico è stata diretta al prof. Bassi (che aveva esposto le Linee Guida degli interventi psicosociali) in merito all'inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici: è stata richiesta una precisazione riguardo al consenso di cui tale compito necessita, e una considerazione in merito alla situazione di confusione in cui versa la sua attuazione.
Il professore ha risposto che tre sono i fondamentali punti di incontro tra la teoria e la pratica: il recupero delle attività di base , il lavoro con le famiglie ed, appunto l'inserimento lavorativo. Per quanto riguarda i modelli, sono numerosi, soprattutto in cultura anglosassone, e sono reperibili sulle maggiori riviste di psichiatria.
Per quanto riguarda, invece, un'opinione personale, il prof. ritiene sia comunque necessaria la presenza di una struttura dedicata ed un lavoro di equipe, a livello del Dipartimento di Salute Mentale, poiché un solo operatore, qualunque sia il suo ruolo professionale, non può essere in grado di portare a termine il compito.
Poi luna domanda viene rivolta al prof. Ferranini, ed in maniera un po' provocatoria gli viene chiesto cosa intenda con l'espressione libera scelta, nell'ambito della disciplina psichiatrica. Il prof.riflette sul fatto che, partendo dal presupposto della parità degli erogatori, il problema dovrebbe essere consentire al paziente di scegliere il luogo di cura. Già è frequente che siano i parenti del paziente a scegliere; ma il problema principale sta nel trovare il punto di equilibrio tra la libera scelta di curante, di cambiamento, di gestione della propria terapia, e il diritto alla continuità assistenziale nel DSM che va a suo vantaggio.
Viene poi lanciato un invito ad un confronto di idee, tra le varie Regioni, riguardo alla nuova proposta di legge, vista la protesta nata tra i familiari dei pazienti.
Questa viene accolta dai relatori con la precisazione che la associazioni d parenti sono attualmente allineate alla linea della Società Italiana di Psichiatria.
Un'altra provocazione viene lanciata con la richiesta di fare il punto, non tanto sull'allineamento tra pubblico e privato, ma tra pubblico e Università.
Questa volta è il prof. Furlan (moderatore) a ribattere portando la propria esperienza personale, in quanto universitario e Direttore di DSM. Espone quanto sia problematico unire un ambiente di formazione ad uno di assistenza, senza fare torti a nessuno; considerando ad esempio che vi sono numerosi giovani in formazione, è spesso necessario effettuare suddivisioni della struttura in base alle diverse categorie professionali cui appartengono, e non invece in base alle patologie, cosa che forse risponderebbe maggiormente alle reali esigenze del paziente.
La conclusione è comunque che un' integrazione, non solo è auspicabile, ma indispensabile, partendo dal principio di necessità e non di condiscendenza; integrando formazione ed esigenze dell'utente.
Infine interviene il prof. Invernizzi ricordando l'importanza della supervisione, ad indirizzo psicodinamico o di altra impostazione, in modo che non si corra il rischio del passaggio dal sentimento di onnipotenza del singolo terapeuta all'onnipotenza di gruppo dell'equipe.



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