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CONVEGNO INTERNAZIONALE FENASCOP
"SOGNI e bi-SOGNI IN PSICHIATRIA"
16-19 maggio 2007
Hotel Villa Pamphili
Roma

IL CONGRESSO ON LINE - INTERVISTE DALLE SALE CONGRESSUALI
TERZA GIORNATA - VENERDI' 18 MAGGIO 2007

E' tanti anni che tu sei segretario della Fenascop, e hai un ruolo centrale. Serio oggi in una nostra intervista ha detto una cosa importante: è la prima volta che un ministro viene ad un vostro congresso, e questo ha un significato simbolico; che senso ha secondo ha secondo te la presenza ufficiale del ministro al congresso nazionale di quella che si può definire la più importante associazione delle comunità terapeutiche italiane in psichiatria? Che senso ha, tu come lo inquadri nell'evoluzione del vostro percorso, non tanto associativo, quanto di inserimento nel Sistema Sanitario Nazionale?

Credo che in qualche modo sia un riconoscimento da un lato del lavoro fatto dalla Fenascop sia nelle regioni che nazionale, e probabilmente anche il dover constatare che esiste questo tipo di realtà, che poi sono le strutture residenziali psichiatriche private, nel senso di gestione e proprietà, ma che in realtà come diciamo sempre svolgono un servizio pubblico.
Non dappertutto, ma spesso sono nate anche prima di quando siano nate quelle direttamente gestite dal servizio pubblico, ed è una cosa importante perché di fatto, secondo me, assistiamo, un pò in tutte le regioni, ad un'operazione di tipo culturale-politico. In base a tale operazione si sente una sorta di voglia di pubblico, nel senso di diretta gestione e anche un po' di mettere insieme quella che è l'assistenza alla persona, ma anche purtroppo nel senso di andare a confondere quella che è l'assistenza psichiatrica con altre cose che sono vicine, ma che hanno una specializzazione diversa, come i disabili, la disabilità mentale, e non solo, anche gli anziani.
Molto spesso assistiamo a provvedimenti regionali, che in qualche caso come Fenascop abbiamo impugnato anche recentemente, anche davanti ai TAR, in cui una persona, una volta che ha superato una certa età improvvisamente non è più "matta" , è solo anziana, per cui deve essere mandata in una struttura per anziani. Ora, è un a concezione burocratica secondo me della persona, che in qualche modo richiama anche un pò il manicomio: non ci sono i muri, ma la concezione della persona è un po' la stessa.

E' interessante quello che tu dici, perché ad Ascoli il presidente della Sip ha parlato proprio dei pazienti che invecchiano, che è un tema importantissimo, nel senso che lui ha sottolineato come l'aspetto vecchiaia può a volte essere pesante, ed è importante, anche perché spesso questi pazienti si ritrovano senza più l'apporto della famiglia, per motivi anagrafici. Al tempo stesso è anche vero che le strutture per anziani "pure", visto che spesso la patologia psichiatrica preesistente è tuttora presente, in una persona che è invecchiata ma che tuttora ha una patologia mentale in atto, non sono adatte né preparate ad accogliere questo tipo di paziente. Si crea quindi un corto circuito assistenziale dove in qualche maniera ci troviamo da un lato con gli adolescenti che nessuno se ne occupa, dall'altro con gli anziani "matti", mi si passi il termine, e sembrerebbe che nessuno sia in grado di occuparsene; tu cosa ne pensi?

Penso che si dovrebbe dare un po' più spazio, secondo me, a chi effettivamente opera da decenni, non solo Fenascop in sé, ma a chi ha gestito queste persone. Bisognerebbe dare più spazio a quello che è l'aspetto anche scientifico della cosa, e un po' meno all'aspetto diciamo così economico-burocratico; effettivamente ascoltare di più le strutture e gli operatori, ma non nel senso di ascoltare centinaia di psichiatri dei servizi, che fanno un lavoro differente, di tipo clinico, che magari hanno una overdose di lavoro, ma non si occupano poi di gestire il singolo al di fuori. Bisognerebbe credo in qualche modo discutere un po' di più, senza andare a cercare i manicomi dove non ci sono, e non vederli dove si stanno ricreando, senza mura in qualche modo, come dicevo prima.

Però c'è un problema a questo proposito, che non va sottaciuto: esiste una differenza di tipo assistenziale - terapeutico,tra il percorso terapeutico di un paziente giovane e adulto e il percorso terapeutico di un paziente anziano e cronicizzato. La cronicità è un concetto che in psichiatria esiste, con cui bisogna fare i conti. La domanda che ti pongo è : non credi, come Fenascop intesa come insieme di professionisti che si occupano di salute mentale, non tanto come un cartello di tipo sindacale, per intenderci, non credi che forse varrebbe la pena, visto che gli spazi in fondo ci sono dal punto di vista legislativo, immaginare una differenziazione di strutture in cui si studino dei percorsi diversi di tipo terapeutico per i pazienti cronici e anziani? Intendo dire che non si può riproporre la ricreazione del manicomio, ma quando un paziente è solo, senza genitori, anziano, con una pensione sociale come unico sostentamento, pensare di lasciarlo a casa sua potrebbe essere un errore di tipo terapeutico, non una cattiveria di tipo assistenziale. Al tempo stesso ho l'impressione che non esistano strutture che si vogliano specializzare in questo, perché temono di essere considerate dei piccoli manicomi, visto che lì il problema della lunghezza della degenza diventerebbe una "conditio sine qua non": un paziente entra dentro una struttura di questo genere, che deve avere delle capacità riabilitative interne, non delle capacità riabilitative proiettate verso un futuro all'esterno…diciamoci un po' la verità…

E' un discorso molto complesso, quindi è difficile, così come magari per quanto riguarda i minori c'è una specificità che è un po' particolare…
Io penso che la cosa importante sarebbe questa: la popolazione invecchia, e invecchia anche la popolazione con patologia psichiatrica, è normale, e il nostro paese ha una componente di vecchiaia significativa, anche più di altri paesi occidentali. Quello che secondo me sarebbe importante è ricordare che in realtà questa esperienza di cui tu parli, di strutture specializzate psicogeriatriche, in realtà esiste già, anche se sono quasi sempre un po' sperimentali e rischiano di diventare strutture che possono essere non manicomiali, ma devono andare oltre una gestione dell'economicità.
E' vero che possono evolvere in istituzionalizzazione, ma credo che sarebbe importante creare una serie di strutture competenti, che vanno dall'assistenza domiciliare a quella residenziale modulata, a seconda di un percorso in cui effettivamente una persona, come succede per qualsiasi area "altra" dell'assistenza sanitaria, ha delle esigenze di cura e quindi, a seconda di queste avrà una risposta, a casa sua o in una struttura residenziale. La persona potrà stare in un percorso dove si può andare avanti o indietro, a seconda della situazione, senza essere soggetti a delle scadenze che sono esclusivamente temporali e di tipo burocratico: purtroppo questo ad esempio lo vediamo in Lombardia, dove abbiamo appena impugnato una delibera di giunta regionale, che attua il piano di salute mentale già approvato qualche anno fa, in cui la tendenza è quella di dire : "Tu, dopo diciotto-trentasei mesi vai in una struttura con minore intensità, hai meno bisogno".
Paradossalmente c'è meno bisogno, per cui dopo una certa età non sei più matto, forse se sei "fortunato" sei uno psicogeriatrico, o comunque sei meno matto,e vai in una struttura che è inferiore per intensità riabilitativa e cura assistenziale, paradossalmente puoi solo stare malissimo e finire in un SPDC, in una struttura ospedaliera.
A me sembra abbastanza aberrante come concezione, così come l'altra concezione di dare delle risposte di tipo differente all'interno della stessa struttura: il che in sé è molto bello, perché sembra che si parta dalla persona, però bisogna centrarlo non con aspetti burocratici, ma con la possibilità di sopravvivenza della persona.
Che sia una struttura a diretta gestione pubblica o a gestione privata, comunque avrà un quantità definita di personale, di spese di affitto e via dicendo che sono costi fissi, che non possono essere abbattuti per decreto, e non è la stessa cosa che, per esempio, contenere la spesa farmaceutica dicendo che da oggi il farmaco avrà uno sconto del dieci per cento, c'è ben altro spessore economico da parte dell'industria farmaceutica di quanto non ce ne sia comunque sia del sistema pubblico nel suo complesso, sia delle strutture a gestione direttamente pubblica, o comunque privato, no profit o imprenditoriale accreditao.
Bisognerebbe secondo me uscire da questo tipo di ottica…

A me sembra che un tema che tu hai toccato e varrebbe la pena provare un po' a pensarci, è in realtà la questione dell'assistenza domiciliare, che, parlando della psicogeriatria e in ogni caso degli anziani, ha un senso ben preciso, perché in realtà probabilmente un sistema di assistenza domiciliare misto, pubblico e privato accreditato sul territorio potrebbe alla fine costare meno delle strutture residenziali in senso stretto, e comunque garantire una qualità di vita migliore al paziente che può, assistito adeguatamente, con livelli quindi di intervento anche elevati, rimane al suo domicilio. Avete pensato alla proposta di servizi di questo genere, che quindi rimangono all'interno dell'assistenza "psichiatrica" in senso lato ma escono dalla dimensione di residenzialità in senso stretto…I vostri associati hanno pensato a offrire servizi di questo genere?

Si, ci hanno pensato e non dico spesso, ma molte volte li hanno offerti e li stanno ancora offrendo.
I problemi sono che in primo luogo non è che l'assistenza domiciliare sia poi così più economica dell'assistenza in una struttura residenziale vera e propria, per il semplice motivo che anche nella struttura residenziale poi alla fin fine più dell'ottanta per cento del costo totale è dato dal personale, quindi proporzionalmente il risparmio non è così grande.
Tutto dipende da quanto personale si utilizza.
L'altra cosa è che in realtà ci si scontra anche un po' con tutta una serie di ostacoli dal punto di vista normativo, nel senso che questo presuppone effettivamente il ripensare tutto il sistema, inserire organicamente, attuare delle forme miste gestione pubblico-privato, accreditato ovviamente, e soprattutto anche non utilizzare, come spesso si è fatto secondo me a livello di assistenza alla persona, non solo in psichiatria, in qualche modo il personale esternalizzato, quindi fare appalti, cooperative sociali o quant'altre cose, al ribasso.
Purtroppo quello che spinge a fare queste cose non è tanto avvalersi di persone che hanno una flessibilità maggiore, meno vincoli proprio perché sono privati, a volte hanno anche motivazione o competenze magari specifiche per la professionalità che hanno al loro interno,ma la motivazione in realtà è di utilizzare gli stessi operatori che utilizzerebbe il privato con contratti di lavoro che sono meno costosi.
Questo comunque è una cosa che alla fine non paga sul medio e lungo periodo, perché gli operatori perdono la motivazione, fanno i concorsi ed entrano nel pubblico, sono storie già viste…
Inoltre in qualche modo l'ostacolo può essere anche la normativa, perché effettivamente l'assistenza domiciliare teoricamente non è soggetta ad autorizzazioni, ma la difficoltà è che io non posso avere come struttura un appartamento ed erogare prestazioni domiciliari ad una persona che ho messo in quell'appartamento.
Una soluzione potrebbe essere l'appartamento gestito da un soggetto terzo, il paziente stesso o da altri. Inoltre, anche nei limiti delle strutture fino a dieci posti letto, tale appartamento essere soggetto ad autorizzazioni sanitarie, e quindi investimenti, richieste, talvolta anche abnormi, nel senso che vengono richieste cose che in nessun appartamento di una persona "normale" sono obbligatorie, per esempio l'antibagno o la stanza spogliatoio per il personale

Concludendo, ho l'impressione che il problema sia anche quello di ritornare al vecchio concetto di "mettere al centro i bisogni", e conseguentemente nel momento in cui metti al centro i bisogni puoi anche riconoscere che le risposte ai bisogni possono essere differenziate. Coniugo questo concetto con l'idea che la ministra Turco ha di rendere competitivo il territorio rispetto al ricovero ospedaliero classico, e credo che ci sia bisogno di una modularità dell'intervento che va dall'SPDC fino a un ricovero, usiamo la parola, "cronico", per una persona che non ha altra soluzione.
Ho l'impressione che il vero problema, come dicevi tu, è quello di capire che a volte questo può costare di più, ma bisogna capire anche se noi ci proponiamo come obiettivo di far star bene la gente o di spendere poco. Fondamentalmente la questione è lì, non trovi?


Sicuramente, però io ho l'impressione che per quanto riguarda quello che hai detto, è vero che nella sanità ci sono i buchi, risono le problematiche, ma l'impressione, per lo meno in certe realtà, ad esempio la Lombardia, è quella che in realtà il denaro ci sia.
Il problema è che a volte il denaro viene tolto, per esempio da quella che è l'assistenza psichiatrica, e riversato in altre situazioni, oppure che non sia esattamente speso così bene…però purtroppo succede che nessuno risponde.
Non è per fare del qualunquismo, ma "mutatis mutandis" ci sono delle aziende di proprietà pubblica, come l'Alitalia, le Ferrovie dello Stato,che vengono gestite in un certo modo, e i cui manager vengono premiati e percepiscono stipendi favolosi, tanto da far venire il dubbio che questo succeda anche nella sanità, in qualche modo, per quanto riguarda per esempio l'assistenza psichiatrica.
Infatti si aprono strutture dove già ce ne sono parecchie, ed è una cosa abbastanza normale, ma per esempio se io ho un'offerta di strutture residenziali tra pubblico e privato, e addirittura la stessa regione in sede di ricognizione delle risorse dice che è eccedente, non le necessità, ma quello che dice il progetto obiettivo, perché devo aprire un'altra struttura come pubblico? Perché spendere denaro pubblico per aprirne un'altra? Potrei dire che non ho bisogno di così tanti posti letto e li chiudo, oppure che chi sta lavorando non lavora bene ed io ho bisogno di altro, ma comunque non ha senso tirare su i muri di un'ennesima struttura per poi magari togliere persone da quelle che stanno già esistendo…
E' inspiegabile che di tutte queste cose nessuno poi debba mai rispondere.e si tratta di questioni su cui effettivamente sarebbe molto più facile lavorare, mentre al contrario per esempio riorganizzare una rete ospedaliera comporta chiudere ospedali piccoli, problemi elettorali, problemi anche di ordine pubblico in qualche modo, e mi rendo conto che è difficile, magari un politico deve avere la responsabilità di farlo quando è necessario, per liberare delle risorse.
Ma su cose così piccole, più semplici, è inspiegabile, anzi è grave che avvengano, e che nessuno ne debba mai rispondere oggettivamente.
Secondo me ci sarebbe bisogno di nuove teste pensanti,come diceva anche Ferrannini in qualche modo ieri, ed altri relatori: forse c'è bisogno di cambi generazionali, poichè in fondo sono sempre le stesse persone che parlano sempre delle stesse cose.
Alcune in realtà ne parlano molto bene, con competenza, ma forse ci sarebbe bisogno di un po' di cambiamento, anche in questo campo

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