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Resoconto del trekking sul Kilimangiaro da parte della spedizione formata da operatori e pazienti psichiatrici

Commento di Carlo Saffioti (medico psichiatra)


branda della Kibo hut, 4700 m

Il significato di questa, come delle altre imprese della fondazione Bosis è duplice:
1) il primo riguarda i pazienti che partecipano e indica nuove modalità di intervento nella riabilitazione e risocializzazione. Come avevo avuto modo di verificare nelle precedenti esperienze (Piramide all'Everest e Patagonia) il comportamento dei pazienti si caratterizza con una grande capacità di adattamento alle realtà nuove che incontrano, per una forte solidarietà che si crea tra di loro e con tutti gli altri membri del gruppo (guide e operatori) per la partecipazione alle conversazioni e ai vari momenti di vita comunitaria. Non c'è stato in nessuno ritiro, depressioni abbandoniche o la riacutizzazione dei sintomi propri delle patologie di cui soffrono. E’ come se, a contatto con situazioni nuove, libere da pregiudizi, ruoli sclerotizzati, affettività distorte, legami simbiotici eccetera il paziente riuscisse a mettersi nelle condizioni di chi può ricominciare da capo il proprio rapporto con la vita. Il paziente scopre un modo diverso rispetto a quello oramai cristallizzato di relazionarsi con gli altri e le paure persecutorie e i deliri rimangono lontani. Le parti sane del paziente, sempre presenti, ricevono una scossa, una motivazione forte a riattivarsi. E’ solo transitorio questo periodo? Può anche essere, dipende poi da come esso viene metabolizzato dal paziente e e utilizzato nel rapporto con i terapeuti. Di certo, al costo di un ricovero ospedaliero di una settimana, pagato per altro da sponsor, ciascun paziente ha vissuto un'esperienza significativa e per un pò si è comunque allontanato, vivendo bene, dai fantasmi persecutori e deliranti. Il contatto diretto e forte con la natura, sopratutto quella della montagna, rappresenta un fattore importante: nel trekking, si è tutti uguali, non esistono differenze, non emergono aggressività ma solidarietà piena nel gruppo. La natura davvero quando è cosi incontaminata e dominante diventa una presenza continua che accoglie tutti: il sentirsi accolti è un bisogno cosi importante per i nostri pazienti.

2) il secondo significato è il messaggio forte che vuole essere dato a una società ancora cosi intrisa di pregiudizi nei confronti dei malati di mente che balzano agli onori delle cronache solo quando qualcuno, dopo aver sempre peraltro lanciato diversi S.O.S. non colti da alcuno, commette qualche episodio violento. E cosi tutti dimentichiamo che gli autori di tutte le peggiori e più grandi violenze sono sempre stati i “normali”. I pazienti della Fondazione Bosis rappresentano tutti i pazienti psichiatrici, e le imprese che hanno compiuto sintetizzano simbolicamente tutta quella molteplicità di iniziative terapeutiche, riabilitative, risocializzanti, che tante altre comunità cooperative servizi pubblici quotidianamente compiono per migliorare la qualità di vita dei malati psichiatrici, nel più assoluto silenzio o disinteresse. Ma è possibile che i malati di mente debbano andare sul Kili o sull'Everest e superare i 5000 m di altitudine per avere titoli positivi sui giornali e un po’ più d'attenzione da parte dell'opinione pubblica e così inviare, direi a nome di tutti gli altri pazienti un messaggio di fiducia e di speranza nei propri confronti col quale chiedere rispetto, accoglienza, cura, opportunità di vita in relazione ai propri bisogni e alle proprie risorse.

3) Mi permetto un’altra considerazione di carattere più politico: è necessario investire di più nella psichiatria , nella neuropsichiatria infantile e in tutte quelle altre patologie croniche, (penso ai disabili ed agli anziani ad esempio), nei confronti cioè di tutti coloro che hanno modalità di essere nel mondo diverse da quelle “normali” . Il cinque per cento del fondo sanitario dovrebbe essere destinato alla psichiatria. Questo non avviene in nessuna regione Italiana , neppure in Lombardia che pure è tra quelle all’avanguardia. Bisogna investire di più, molto di più, nella formazione degli operatori e nei diversi progetti di riabilitazione e risocializzazione che ciascun paziente dovrebbe vedere modulato sui propri bisogni. Questo presuppone, stante la scarsità delle risorse a disposizione, che vengano fatte delle scelte, individuate delle priorità, che la politica può fare solo se sorretta da una cultura un po’ diversa da quella attuale. Certamente la PET è necessaria , certamente tutti i trapianti ( e sono tra coloro che sostengono l’importanza delle donazioni d’organo) sono importanti e hanno salvato molte vite. Ma siamo sicuri che tutte, ma proprio tutte le PET siano necessarie, tutti ma proprio tutti i trapianti siano necessari per salvare la vita e non per prolungare agonie? Il trapianto della mano a carico del servizio sanitario fu davvero utile e necessario e così pure alcuni interventi di chirurgia vascolare nell’anziano o alcune trapianti di fegato nei neonati? Non si tratta di verifiche della appropratezza di una prestazione invece che un’altra. Si tratta di fare delle scelte che devono essere sorrette dalla societa’. Il discorso diventa ora difficile e non voglio essere frainteso. Oltretutto sto scrivendo queste note a 4700 metri e non vorrei che la sindrome d’altitudine non mi permettesse di esprimere compiutamente la mia riflessione. Vorrei insomma che per dare un’immagine positiva e per avere attenzione dall’opinione pubblica, i pazienti psichiatrici non dovessero scalare il Kilimangiaro. In molti casi è già un successo, frutto di un lavoro e di una relazione impegnativa, riuscire ad ottenere che un paziente grave riesca a fare da solo la spesa al supermercato. Ma di questi trapianti di vita che quotidianamente avvengono nessuno parla. Vorrei che la medicina non fosse mai, ma proprio mai, animata dall’arrogante onnipotenza che pretende di sconfiggere la morte e trasforma l’uomo in una cosa al proprio servizio . Fortunatamente la medicina è ancora consapevole che la propria missione è sempre e comunque quella di curare , senza pretendere di guarire in ogni caso, di farsi carico, di accogliere e aiutare l’uomo che soffre.

L’uomo, appunto, non un corpo.

Rubrica realizzata in collaborazione con

Associazione Laura Saiani Consolati - BRESCIA
http://www.psichiatriabrescia.it

COLLABORAZIONI

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