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Domenica 2 febbraio 10.15 (ora tanzanese): Insieme a 5.070 metri !


Sabato 1 febbraio: il villaggio di Horombo Hut appare ancora ammantato dal sonno. Per il gruppo Bosis una levataccia: ore 6.00, quando l’alba africana si lascia lentamente scrutare. Il freddo è pungente, l’acqua nelle vasche è gelata. Tutto è pronto per la partenza, nel gruppo aleggia una forte preoccupazione, si devono coprire 1000 metri di quota su un difficile percorso di 9.700 metri di lunghezza, lasciare Horombo Hut a 3.700 metri di quota per raggiungere il campo base Kibo Hut situato a 4.700 metri di altitudine.

Si parte alle 8.00: la cima del Mawenzi e il ghiacciaio superiore del Kili sono a quest’ora completamente illuminati; pur facendoci compagnia già da alcuni giorni, non ci si stanca mai di ammirare la loro bellezza. Matteo commenta: “ormai siamo parte di queste montagne, speriamo che ci siano amiche”. Anche Fabio commenta: “ho fatto l’alpino, se rispetti la montagna la montagna ti rispetta”. Il sentiero è polveroso e ghiaioso, si scivola spesso, e per la ripidità di certi tratti si sale molto lentamente; il paesaggio circostante, di eriche e macchia, a questa quota è molto spoglio. Dopo circa 3 ore di cammino, l’orologio di Giampietro Verza, la nostra guida alpina ed esperto hjmalaista, ci segnala quota 4000 metri: a tale quota avvertiamo il mutare repentino delle funzioni vitali del nostro organismo, il respiro si fa più faticoso, le tempie pulsano ripetutamente, la sudorazione è in aumento, si avverte un leggero senso di nausea; Verza con la sua competenza e la sua disponibilità, ci tranquillizza costantemente, ci indica come gestire la respirazione, dosare le forze, rimanere concentrati, compiere piccoli passettini e camminare in modo corretto, tecniche queste che se ben assimilate riducono la fatica: a 4000 metri la mancanza di ossigeno si riduce approssimativamente del 35%.

Il consiglio più prezioso è quello di ingerire molti liquidi. Si procede instancabilmente: ammirevole è l’amicizia che è nata tra Silvia e Ivan. Per il gruppo Silvia è diventata la mascotte, un punto di riferimento: è la meno allenata, è stata poche volte in montagna, soffre maggiormente la quota, e non calza neppure gli scarponcini da trekking ma dei semplici sandali. La coesione di un vero gruppo si misura soprattutto nelle difficoltà, e la sua validità nell’aiuto reciproco. Superati i 4000 m e un tratto di sentiero particolarmente duro, neanche il tempo di rifiatare che a tutti vengono i brividi: ora l’ultima parte del Kili si staglia prepotentemente in un cielo di un’azzurro intenso, e ai suoi piedi si stende una landa di deserto vulcanico, di sabbia fine e di roccia nerastra e lassù più in alto la zona nivale del Kili con il ghiacciaio dell’Ururu Peak. Nel deserto vulcanico definito anche zona alpina non c’è più la ricca vegetazione ormai lasciata alle spalle, solo vento, polvere, e cielo terso: la sensazione generale è quella di essere immersi nell’infinito e si diventa piccoli piccoli.

Sono circa le 15 quando in prossimità di un dosso il gruppo viene sferzato da raffiche violente di un vento freddo: Douglas, la guida Tanzanense ci indica la linea di confine tra il territorio Keniota e Tnzanense: ora siamo soli, alle nostre spalle il Mawenzi, davanti il Kili, alla nostra destra una distesa infinita di verdissime praterie Keniote e alla sinistra la zona alpina desertica del Kili. La stanchezza solca le facce di tutti, nessuno ha voglia nessuno ha voglia di parlare; i rimaneti 150

Metri di dislivello sono interminabili, si può intravedere il rifugio ma sembra di non arrivare mai. Sono circa le 17.00 e come una sorta di liberazione il gruppo è a pochi metri dal rifugio: ci prendiamo tutti per mano e ci disponiamo su di una fila orizzontale che taglia il sentiero; giunti in prossimità di un piccolo chorten di pietre con la scritta su una tavoletta di legno che riporta Kibo Hut 4700 m.s.l.m., ad una quota dove l’ossigeno si ridotto ulteriormente e approssimativamente del 43%, il grupo si dispone in cerchio, si stringe sempre più fino a compattarsi trovando la forza di gridare un caloroso urrà. Al campo base tutti ci osservano e qualcuno di altre nazionalità si complimenta con i ragazzi. Jorge Luìs Borges ha scritto: “un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, dei baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli, e di persone. Scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto.” Conoscendo i propri limiti e le proprie risorse, il gruppo della Fondazione Bosis aveva come proposito il sogno di arrivare al campo base del Kili: il sogno si è realizzato, la commozione la si legge sul volto di tutti quanti. Le condizioni metereologiche a 4700 metri mutano repentinamente: il freddo è intenso, qualcuno del gruppo soffre particolarmente l’alta quota, comunque tutto è sotto controllo. Al termine di febbrili consultazioni tra Lucchini e Testa i responsabili del gruppo, gli operatori, il medico psichiatra accompagnatore e la guida alpina, con il parere del capo guida tanzanense, verso le 21.00 si prende la decisione che raggiungere il ghiacciaio superiore è praticamente rischioso: causa il fortissimo vento, il freddo già a -18 gradi centigradi, il dover percorrere un sentiero ripidissimo di circa 600 metri di dislivello completamente al buio. Decisione saggia e di assoluta responsabilità tanto che durante la notte quasi tutti coloro che hanno tentato la vetta rientrano dopo qualche ora al campo base. Il gruppo condivide pienamente la scelta dei responsabili, anche se in qualcuno è forte il rammarico di non aver raggiunto la vetta. Altre febbrili consultazioni e considerate le discrete condizioni psico-fisiche di qualcuno del gruppo si decide di dare loro una chance: Ivan taglia corto dicendo: “se qualcuno di voi vuol tentare la vetta lo faccia pure ma sappiate che avete abbandonato il gruppo.” Questa battuta ti mozza definitivamente il respiro, nel più profondo intimo è ancora più freddo. Razionalmente balenano nelle menti le belle giornate trascorse insieme e il clima di assoluta amicizia che si è instaurato: solo ora possiamo rileggere ciò che è stato compiuto, l’aver coperto 3000 metri di dislivello in sole 3 tappe ciascuna di 1000 metri con una sola sosta di acclimatazione a 3700 metri di altitudine. Nessuno ha il diritto di rovinare l’atmosfera che si è venuta a creare, si decide di rimanere tutti insieme: è stata questa la vetta più difficile da raggiungere.

A 4700 metri di quota la notte è lunghissima e freddissima. Sveglia alla 7.00, una piacevole sorpresa, il vento è meno forte: il ghiacciaio superiore è poco sopra di noi, non l’abbiamo potuto calpestare l’abbiamo comunque accarezzato. Nell’esperienza nepalese del 1998 un gruppo della Fondazione Bosis riuscì a raggiungere la piramide del Consiglio Nazionale delle Ricerche collocata a 5050 metri nella valle del Kumbu alle pendici dell’Everest, ora, si prende la decisione di tentare il nuovo record: alcuni sono però stanchissimi e preferiscono rimanere al campo base in massima sicurezza. Gli altri si incamminano lentamente su per una ripide cresta rocciosa: si sale molto piano, la quota si fa sentire, ogni passo è ben ponderato, tutto è tremendamente difficile. Dopo circa due ore, alle 10.15 ora tanzanense di domenica 2 febbraio 2003 quando in Italia sono le 8.15, l’orologio altimetro di Verza emette l’attesissimo suono: siamo a 5070 metri di altitudine, è stato stabilito il nuovo record della Fondazione Emilia Bosis. Ci si abbraccia e qualcuno si commuove; sono tanti i pensieri che ora ti riempiono il cuore e la mente: ognuno di noi coprendosi la faccia con un fazzolettino di carta con impresso un sole giallo sorridente, trova la forza di gridare: “questo è il sorriso di fiducia e di speranza di tutta la Fondazione Bosis e di coloro che soffrono.” Il gruppo lascia il campo base di Kibo Hut verso mezzogiorno ed alle 17.00 circa rientra al rifugio di Horombo Hut. La stanchezza regna sovrana: siamo orgogliosi e felici per aver compiuto un’autentica impresa.

Rubrica realizzata in collaborazione con

Associazione Laura Saiani Consolati - BRESCIA
http://www.psichiatriabrescia.it

COLLABORAZIONI

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