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Kyoto, Giappone venerdì 30 agosto 2002

La psichiatria in Giappone, resoconto del Simposio Satellite del Congresso Mondiale di Psichiatria

Un viaggio indietro nel tempo. Questa è l’impressione che si ha arrivando a Kyoto con l’ultra veloce treno shinkansen provenendo dalla modernissima Yokohama. Dai moderni grattaceli e dalla frenetica vita degli uomini salario della megalopoli Tokyo-Yokoama ci si trova proiettati in poco più di due ore in una dimensione apparentemente più vivibile e tranquilla. Kyoto, non è stata distrutta come Tokyo dai bombardamenti americani e mantiene con i suoi oltre mille templi un profondissimo legame con il suo passato e il ricordo del passato attribuisce immediatamente un senso diverso al fluire del tempo che si avverte a pelle appena arrivati nella modernissima stazione della città, costruita proprio a lato dei bellissimi templi Toji e Higashi Hogan-ji

Ed è proprio un viaggio nel passato quello che propone oggi il Simposio Satellite promosso dalle Associazioni Psichiatriche Giapponesi, Canadese e Americana a seguito del Congresso Mondiale di Psichiatria che si è concluso ieri a Yokohama.
Nel villaggio di Iwakura nella periferia di Kyoto infatti si è realizzata fin dai tempi più antichi una forma comunitaria di approccio alla malattia mentale che ora, dopo 1.000 anni dalla sua prima realizzazione in Giappone si intende riproporre in forma moderna.
La sede del simposio è quindi particolarmente importante perché intende indicare nell’intenzione della Società Giapponese di Psichiatria e Neurologia (JSPN) un netto orientamento verso la de-istituzionalizzazione di un sistema psichiatrico interamente basato sui manicomi che attualmente ospitano ben 363 mila pazienti.
A segnalare l’importanza “politica” dell’incontro erano presenti i vertici più alti delle Società Psichiatriche organizzatrici il Prof. Mitsumoto Sato (JSPN), il Prof Borenstein per l’APA (ma erano presenti anche il Prof. Sacks e la Prof.ssa Andreansen) e il Prof. Ganesan (Canada).
Si è trattata dell’occasione più ghiotta per capire cos’è la psichiatria in Giappone, capirne la storia le sue radici culturali e le possibili evoluzioni future.
Il programma del Simposio è visibile all’URL http://www.wpa2002yokohama.jp/kyoto-satellite/index.html

Informazioni generali sul Giappone
Il Giappone è un paese con un’area di 378 mila kilometri quadrati. La sua popolazione è di 127 milioni di abitanti (anno 2000) e l’area che comprende Tokyo e Yokohama vanta la più alta concentrazione urbana del mondo. La proporzione del budget per la sanità sull’intero prodotto nazionale lordo è del 7.1%. L’ alfabetizzazione della popolazione è del 99% sia per gli uomini che per le donne. L’attesa di vita è di 77.6 anni per gli uomini e 84.3 anni per le donne. Il PIL per abitante è di 23mila dollari l’anno, secondo solo agli USA.

L’organizzazione dell’assistenza psichiatrica in Giappone
L’organizzazione psichiatrica giapponese è rigidamente custodizionalista, sicuramente la più rigida tra tutti i paesi democratici. I trattamenti ospedalieri sono da sempre incoraggiati.
L’articolo 32 della Legge per la Salute Mentale varata nel 1965 attribuisce alle Prefetture Regionali la competenza e l’autorità di organizzare e garantire l’assistenza psichiatrica. Il fulcro dell’assistenza psichiatrica sono gli ospedali psichiatrici. I reparti psichiatrici degli ospedali generali si occupano dell’urgenza ed hanno a disposizione circa 8 letti ogni 10mila abitanti. In totale sono disponibili in circa 30 letti ogni 10mila abitanti: una mostruosità se consideriamo che i posti letto disponibili per i pazienti psichiatrici in Italia non raggiungono i 2 per 10mila. La durata media di una degenza psichiatrica è di 423.7 giorni.

Per le strade delle città giapponesi tutto è in regola: non ho incontrato in dieci giorni di permanenza un solo ubriaco, un solo tossicodipendente, un solo malato di mente per strada, nemmeno una persona con un comportamento strano o anche solo che alzasse la voce o gridasse. E questo a chi vuole le “strade pulite” non può che fare piacere, ma pensare che un cittadino su trecento è rinchiuso in manicomio, magari per l’intera vita, va rabbrividire.
Per una organizzazione tutta orientata alla produzione ed alla efficienza i malati mentali sono un disturbo non tollerabile come anche gli anziani, i disabili e tutte le categorie non produttive: alcuni anni fa si è addirittura proposto di far emigrare gli anziani in Grecia o in Spagna o in altri paesi dove risultava meno costoso il loro mantenimento.

Generalmente le strutture per acuti sono pubbliche, mentre una buona parte degli ospedali psichiatrici sono gestiti da privati.
Gli ospedali psichiatrici sono in genere molto ben attrezzati da un punto di vista clinico: 2/3 degli ospedali psichiatrici è provvisto di TAC ed il 23% di RMN, la disponibilità di farmaci moderni è buona.
Non esistono, se non come eccezioni strutture territoriali e nessun trattamento psichiatrico è erogato a livello dell’assistenza sanitaria di base.
L’articolo 32 permette trattamenti volontari, ma questi devono essere registrati e trasmessi alle Prefetture che controllano l’erogazione dei servizi: un sistema che ricorda l’ex Unione Sovietica.
Solo recentemente hanno iniziato a sorgere alcune esperienze psichiatriche improntate ad una dimensione comunitaria, ma è evidente che ci vorrà molto tempo prima che una reale de-istituzionalizzazione si realizzi in Giappone.
L’iniziativa che oggi si è svolta a Kyoto va in questa direzione.

La leggenda di Iawakura
La storia narra che nel 985 l’acqua della sorgente del villaggio di Iawakura, vicino al tempio di Daiunji, guarì l’imperatore Reizei che aveva presentato i sintomi di una grave depressione. La leggenda del potere terapeutico dell’acqua si diffuse in tutto il Giappone ed il tempio di Daiunji divenne meta di pellegrinaggio da parte di quanti, provenienti da ogni angolo del paese, cercavano nell’acqua santa il sollievo delle loro sofferenze fisiche e mentali.
La moglie dell’imperatore, la regina Masako, profondamente colpita dalla improvvisa guarigione del marito e della risonanza della guarigione, chiese di essere incenerita alla sua morte vicino al tempio e la sua tomba e tuttora visibile al lato ovest del tempio.
Nel 1072 la figlia diciottenne dell’imperatore Gosannjo, anch’essa affetta da una malattia mentale guari miracolosamente ed improvvisamente dopo aver bevuto l’acqua della sorgente di Iawakura. All’acqua santa venne attribuito allora un particolare potere di guarire le malattie mentali e degli occhi.
Poco dopo tuttavia una violenta guerra civile mise fine al pellegrinaggio per molto tempo, sino al 1640 quando non solo l’acqua santa del tempio ma anche una vicina cascata ridivennero meta di pellegrinaggio per malati mentali e oftalmologici.

Fu ad iniziare da quegli anni che alcuni malati mentali iniziarono a fermarsi per curarsi e pregare, in case alloggio chiamare Chaya, che ospitavano da 5 a 10 persone. Nel programma “riabilitativo” di una Chaya era previsto non solo la idroterapia e la preghiera (una arcaica forma di psicoterapia meditativa) ma gli ospiti svolgevano attività di lavoro, ginnastica e partecipavano ad escursioni.
Nel periodo più florido (1796-1882) il numero delle Chaya arrivò ad essere una decina, tutte intorno al tempio di Daiuji, mentre il contatto con la medicina occidentale, tedesca in particolare, incoraggiata durante tutto il periodo Edo, stava profondamente trasformando tutto l’impianto scientifico e culturale dell’allora Giappone.
Quando nel 1865 vicino al tempio di Nanzenji fu fondato il primo ospedale psichiatrico in Kyoto, l’organizzazione psichiatrica giunse a quella che oggi definiremmo una moderna organizzazione psichiatrica: una struttura clinica per le terapie mediche ed una rete territoriale e residenziale ad impronta riabilitativa.
Successivamente tale impostazione venne soppiantata dall’impostazione manicomiale e le Chaya dovettero chiudere per motivi finanziari.

L’emergenza psichiatrica giapponese
La depressione ed il suicidio in Giappone costituiscono un problema enorme: ogni anno oltre 33mila persone si tolgono la vita in Giappone ed il numero sta crescendo vertiginosamente: erano circa 20mila dieci anni fa e molti imputano alla crisi economica ed alla conseguente perdita di molti posti di lavoro la causa di questa che non possiamo che definire tragedia.
Il Governo Giapponese ha promosso un piano triennale per combattere il continuo aumento del numero di suicidi. il Ministero della Salute Giapponese ha costituito un gruppo di lavoro di 18 esperti composto da psichiatri, sociologi e architetti. Il mandato è studiare ogni possibile soluzione che possa ridurre o contenere il numero dei suicidi, intervenendo sui fattori medici, sociali ed anche architettonici. Molti suicidi avvengono infatti lanciandosi dagli edifici e sotto la metropolitana.
Ma ci vorranno almeno tre anni per verificare l’efficacia degli interventi proposti e nel frattempo circa 100mila persone moriranno.

La salute mentale nell’equilibrio sociale e culturale del Giappone
Anche per il Giappone i temi della malattia mentale e le soluzioni adottate per affrontarla costituiscono un indice sensibile per capire il delicato equilibrio determinato da fattori culturali, sociali, politici e scientifici.
Occorre considerare che i giapponesi vivono la loro vita con un sentimento profondo di pessimismo e di depressione.
Si racconta che negli uffici ogni tanto una impiegata scoppi a piangere per distribuire subito dopo a tutti i colleghi bigliettini di scuse.
I giapponesi si scusano continuamente, si sentono sempre in colpa o in dovere. Un occidentale rimane sconcertato appena arrivato in Giappone dall’eccessivo cerimoniale che accompagna un incontro: “irashaimasen, sumimasen”, benvenuto mi scusi, continuano a ripetere e poi si inchianano, e si inchinano ancora.
Dovere, colpa, obbedienza.
Pinguet, iamatologo francese, che vive a Tokyo da molti anni, ha scritto un libro sul suicidio “La morte volontaria in Giappone”. Scrive”…per un giapponese una festa è bella perché sa che finirà, una donna e bella perché sa che invecchierà, un fiore è bello perché appassirà – per gli occidentali invece è bello quello che è oggi o quello che ancora non è. ” I giapponesi vivono nella malinconica impressione dell’ukiyo-e, del mondo che passa, della fugacità di ogni cosa, della caducità della realtà. Il senso di morte se lo portano sempre dietro e proprio perché fugace amano la vita ancora di più, cercando di controllarla con rituali che danno l’illusione di fermare l’attimo, il momento, il tempo. Noi psichiatri diremmo che sono anancastici e ossessivi.
La vita è tutto un rituale, è tutta routine e non esiste lo spazio per l’esperienza e la creatività.
La radice di questo sentimento pessimistico va cercata nel buddismo, che parla dell’impermanenza delle cose. Le stirpi militari che hanno governato il Giappone per sette secoli hanno poi contenuto tale sentimento all’interno della disciplina e del dovere che ha trasformato i giapponesi in un popolo di moderni samurai, che combattono per il lavoro e l’azienda.
Da alcuni anni però l’economia giapponese è in profonda crisi e molti lavoratori hanno perso il lavoro: molti samurai del lavoro, come in un moderno hara-kiri, escono dalla vita, tolgono il disturbo e la vergogna.

Le speranze
Molti giovani giapponesi, contrariamente ai lori genitori che vivono per lavorare, iniziano a vivere e dichiarano di voler vivere di “arbeito” un nuovo termine giapponese che hanno ricavato dal tedesco e che significa “tempo libero dal lavoro”: non vogliono lavorare l’intera giornata, vogliono avere tempo libero.
Vi sono crescenti critiche al sistema di vita interamente centrato sul lavoro e l’efficienza, che attraversano l’interà società giapponese ma che faticano a diventare sufficientemente forti da produrre cambiamenti visibili.
La proposta che viene oggi dal Simposio Satellite a Kyoto e che riscoprire nel proprio passato una soluzione per andare avanti va in questa direzione.
Mentre mi appresto a riprendere l’ultraveloce shinkansen che mi riporterà a Tokyo mi viene da pensare “bisogna andare più piano e fermarsi a riflettere”.
Te lo auguro di cuore, Giappone.

Rubrica realizzata in collaborazione con

Associazione Laura Saiani Consolati - BRESCIA
http://www.psichiatriabrescia.it

COLLABORAZIONI

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