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CHE COSA CI FA UNO PSICOANALISTA IN UN EX MANICOMIO ?
di
Cosimo Schinaia ( Genova)

A Piero Leonardi e Dario De Martis


  • INTRODUZIONE
  • LA GARANZIA DI SIMBOLICITA'
  • LA GARANZIA DI NARRABILITA'
  • BIBLIOGRAFIA

  • LA GARANZIA DI SINBOLICITA'

    Negli ultimi anni sono notevolmente aumentate le esperienze riabilitative, attraverso forme di apprendimento semplice o complesso da parte dei pazienti, attraverso l'estrinsecarsi di qualità artistiche e creative, attraverso il manifestarsi di abilità manuali ed artigiane, attraverso la partecipazione ad attività ricreative e ludiche, attraverso veri e propri inserimenti in attività lavorative di tipo produttivo.
    Il vissuto prevalente di molti operatori è quello di mantenere aperte le potenzialità adattative dei pazienti, attraverso un sostegno continuato, senza che sia quasi mai veramente possibile immaginare per i pazienti esperienze completamente autonome. Il non concedere uno statuto di autonomia al paziente ha a che vedere con istanze di dipendenza da parte dell'operatore, che vede riconfermato il suo ruolo soltanto se il paziente continua ad essere da lui dipendente, come certe mamme che non permettono ai figli di crescere. Sapersi fermare ai risultati realisticamente possibili, evitando l'investimento narcisistico, purtroppo frequente nelle relazioni d'aiuto, è una disposizione che può essere più proficuamente acquisita dal gruppo di lavoro, se esso è coordinato da uno psicoanalista, che può evidenziare gli aspetti fusionali e confusivi della relazione che mettono a repentaglio le già scarsissime possibilità di separazione, così come potrebbero essere configurabili nella mente del paziente e nel contesto sociale di appartenenza dopo lunghissimi periodi di istituzionalizzazione.
    Questo vissuto di insostuibilità, che ha realistiche radici nella complessità del compito affidato agli operatori, rischia di diventare un freno alle possibilità riabilitative, se non si approfondiscono gli aspetti simbolici del fare e del fare insieme e non si elaborano alcune fantasie redentoristiche alla base di comportamenti cronicamente protesici. Se è vero, infatti, che con gli psicotici è importante fare delle cose insieme, è anche vero che queste cose devono restare delle attività che conservano un valore simbolico. La loro funzione è di aiutare il paziente a rimettere in moto dentro di lui un processo creativo e non a rispondere a un vuoto che bisognerebbe riempire o un difetto che bisognerebbe riparare (Hochmann, 1982). La riabilitazione, pertanto, dovrebbe agire non tanto perchè si interviene su un difetto dei pazienti, quanto perchè essi vengono reinseriti in un circuito di interesse e di desiderio e ciò a onta delle istanze distruttive, che quasi sempre hanno caratterizzato il loro sviluppo, ostacolandolo o rendendolo altamente disarmonico (Petrella, 1993).
    Lo scadere dell'attività nell'attivismo, oppure far si che la maniacalità prenda il posto dell'entusiasmo costituiscono pericolosi atteggiamenti difensivi per proteggersi dal panico derivante dal sentimento di invasione, di prosciugamento o, di contro, dal sentimento di inutilità e di impotenza, che così frequentemente caratterizzano l'incontro con lo psicotico. La pazienza e la gradualità sono le condizioni basali perchè "stati temporanei di lutto" (Jacques, 1970), legati a sensazioni di incapacità, limitatezza, tendenza a commettere frequentemente errori, possano via via essere vissuti e, quindi, tollerati, senza sfociare in una pseudonormalità, fatta di affaccendamento senza riflessione, che predispone al rischio di cadute catastrofiche difficilmente elaborabili, oppure nell'abbandono definitivo dell'esperienza riabilitativa, avvertita come eccessivamente frustrante (Schinaia, 1997). In una logica pedagogico-comportamentista, il paziente viene considerato come una persona cui offrire occasioni che gli sono mancate nel corso della vita e a cui insegnare come svolgere funzioni -di tipo professionale, artigianale o artistico- di cui nel processo di cronicizzazione ha perduto la conoscenza o la padronanza. Un approccio di questo tipo rischia di non tenere conto di due fattori fondamentali. Innanzitutto è necessario considerare che l'insistenza solo sul lato considerato sano del paziente, che è pure valida di per sè, può accentuare la scissione, costruendo quindi nel paziente una specie di falso sè, adattato alle richieste del contesto, ma separato dal suo nucleo interno drammatico e sofferente. In secondo luogo poichè il dramma di questo tipo di paziente è dato dalla debolezza delle forze coesive del sè, è necessariò che qualsiasi iniziativa terapeutica tenga conto di questo aspetto fondamentale e non tanto delle prestazioni in quanto tali. (Correale, 1991)
    Sono spesso incontri discreti gli unici permessi con i pazienti psicotici, e gli unici a rivestire una funzione eutrofica, incontri mediati dal fare insieme, o incontri appena abbozzati, che possano rispettare i profondi bisogni di non coinvolgimento, o che possano attivare un interesse per l'altro senza muovere richieste grandiose e fusionali, che poi verrebbero sempre deluse inevitabilmente e traumaticamente. Si tatta di qualcosa di analogo alla "misura attenuata", così necessaria nella psicoterapia dei pazienti gravi (Arrigoni Scortecci, 1997) per cogliere il mondo interno del paziente, senza tuttavia perdersi in esso. L'antidoto per evitare che l'isolamento e l'abbandono possano surrettiziamente ripresentarsi anche quando sembravano debellati è una sorta di vigilanza empatica sulle relazioni che tutti i componenti lo staff intrattengono con i pazienti in tutti i luoghi d'incontro. (Corradi, 1998)

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